La piccola comunità accoglie e assiste i rifugiati karen dal Myanmar

La grande generosità
dei cattolici thailandesi

 La grande generosità  dei cattolici thailandesi  QUO-101
06 maggio 2021

Non sono solo un “effetto collaterale” del colpo di Stato del 1° febbraio o e della sollevazione popolare che ne è seguita. Gli oltre 12.000 profughi di etnia karen che hanno raggiunto il confine con la Thailandia, dopo i bombardamenti dell’esercito birmano sui loro villaggi, sono gente inerme, civili innocenti, famiglie con anziani e bambini che cercano salvezza e pace. Gli osservatori già parlano di vera emergenza umanitaria che tocca i civili di etnia karen, popolo turco-mongolico a maggioranza buddista, originario del Tibet, presente nella zona orientale del Myanmar in uno stato con circa 3,6 milioni di abitanti, al 20 per cento cristiani. Da oltre 60 anni i civili karen (localmente chiamati anche kayin) vivono tormentati dal conflitto tra i militari e il Karen National Union (Knu), gruppo armato che negli anni Ottanta possedeva 10.000 soldati. Negli ultimi decenni il conflitto civile ha già causato oltre 500.000 sfollati interni e oltre 130.000 rifugiati, costretti a vivere in condizioni di estremo disagio nei campi profughi in Thailandia. Ora la pressione degli sfollati che cercano di attraversare il confine per cercare riparo e salvezza si va intensificando, mentre i militari del Tatmadaw (così è chiamato l’esercito birmano) continuano gli attacchi. Ad aggravare la situazione c’è la pandemia di covid-19 che non ha risparmiato l’ex Birmania, mentre le autorità thailandesi non sembrano intenzionate ad aprire le frontiere, ospitando già oltre 80.000 rifugiati birmani, divisi in 9 campi profughi.

Data la grave situazione, la piccola comunità cattolica in Thailandia non è rimasta sorda o indifferente alla nuova ondata di rifugiati: il fine è soccorrere, accogliere, aiutare i rifugiati in fuga dal Myanmar, nascosti nella foresta vicino al fiume Thanlyin, che segna confine tra le due nazioni. Francis Xavier Vira Arpondratana, vescovo di Chiang Mai, ha inviato un team diocesano di volontari laici, sacerdoti e suore per portare aiuti umanitari e promuovere iniziative di solidarietà. Il presule ha rivolto un accorato appello alle diverse comunità religiose e alle organizzazioni della società civile affinché si facciano avanti con aiuti in denaro o in beni di prima necessità da distribuire ai profughi, assiepati nei boschi.

Suor Aranya Kitbunchu, presidente della Federazione delle religiose in Thailandia, guida l’operazione di soccorso avviata grazie alla collaborazione tra la diocesi di Chiang Mai e Caritas Thailandia. «I profughi karen — riferisce a L’Osservatore Romano — sono in una situazione disperata: hanno bisogno di cibo, acqua, medicine per sopravvivere a questi tempi difficili, segnati da covid e povertà assoluta».

Anche l’Organizzazione delle donne Karen (Karen Women’s Organization), ha chiesto «una risoluzione urgente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite» per chiedere al governo thailandese di fermare il rimpatrio forzato dei rifugiati Karen. Secondo l’organizzazione, infatti, gli aiuti umanitari sono bloccati e i rifugiati sono vittime di respingimenti, quando cercano di varcare il confine.

La fuga della popolazione karen è motivata anche dalla grave crisi alimentare che si registra in Myanmar e che si sta estendendo alle zone più vulnerabili come le aree rurali, laddove si consumano o si sono riaccesi i conflitti armati fra le minoranze etniche autonomiste e l’esercito birmano. «Fra tre mesi un milione e mezzo di persone rischia la fame, e potranno essere oltre tre milioni entro sei mesi», ha denunciato un recente rapporto del World Food Programme.

Per questo la speranza per i karen è cercare di raggiungere i loro conterranei che già da trent’anni vivono in Thailandia. Quella che li aspetta, tuttavia, è una vita da reclusi: fuggiti da guerra civile e persecuzioni etniche rischiano di ritrovarsi ghettizzati e senza futuro, privati della cittadinanza, di fatto apolidi. Per i rifugiati è allora preziosa l’assistenza offerta dal Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati che da anni offre supporto a tre orfanotrofi, assistenza medica, cura degli anziani, delle vedove e dei disabili, sostegno nel campo dell'istruzione. La preoccupazione più grande riguarda il futuro dei giovani karen, nati nei campi profughi. Questi, concluso un iter scolastico, non hanno nessuna possibilità di lavorare, non possono avere una vita normale e vivono solo grazie agli aiuti umanitari forniti da diverse ong, cristiane e non. I volontari del servizio dei gesuiti continuano a seguire casi individuali, a fornire servizi sociali, assistenza finanziaria e legale ai richiedenti asilo birmani, per far sì che nei loro occhi non tramonti la speranza.

di Paolo Affatato