Ufficio oggetti smarriti

Niente trucchi

 Niente trucchi  QUO-099
04 maggio 2021

Ci sono oggetti smarriti che provengono da autori che, fortunatamente, smarriti non sono più. Chiedigli un po’ è una poesia/racconto breve di Ray-mond Carver che narra di una giornata al cimitero di Montparnasse (Parigi) assieme al suo secondogenito (avuto con la moglie Maryann) Vance Lindsay. Come non preciseremo mai abbastanza le poesie non si “spiegano”, al massimo si sta un po’ con loro e ci si saluta. Tuttalpiù, esattamente come faremo noi, si può tentare di individuarne i punti caldi, gli angoli nei quali scorre il sangue della vita. Come sempre, quando si parla di Carver, il sangue scorre nelle semplici e infinite. Cosa contiene questa poesia, di che parla? «— Che modo di passare una giornata a Parigi! —, / gli vien voglia di dire. E infatti lo dice. / Sa il francese. S’è messo a parlare / con un guardiano canuto che s’è offerto / di farci da guida. Così in tre lentamente / camminiamo lungo file e file di tombe allineate». Una passeggiata mattutina nel cimitero di Montaprnasse, con suo figlio che sa il francese e un guardiano del cimitero col quale Lance, si è messo a chiacchierare. Tutto qua? Affatto. Niente trucchi da quattro soldi diceva Carver stesso, niente di epico o strappalacrime per farci sapere quel paio di cose che vuole condividere con noi circa suo figlio, l’uomo del cimitero e il sole di quella mattina. Carver vuole vedere le tombe di alcuni grandi autori, Guy de Maupassant, Sartre, Sainte-Beuve, Gautier; i Goncourt; Paul Verlaine e Charles Baudelaire. Il guardiano vuole mostrargli altro. Per esempio quella di chi inventò il sommergibile, o magari di un cantante (Maurice Chevalier) o di una ragazza (anch’essa cantante) che si è spenta a soli ventotto anni. La sua tomba è coperta di rose rosse. Insomma Carver vuol vedere le tombe di coloro che lo hanno ispirato. Il guardiano, fra sommergibili, chansonnier e ragazze senza fortuna, forse sta facendo lo stesso. E Lance? A lui sembra non importare nulla a parte il guardiano, col quale chiacchiera e misura il suo francese. «È come se lui e il guardiano ormai fossero vecchi amici / e io fossi qui per esser tenuto buono. / Il guardiano dice qualche cosa e poi mette / una mano sopra l’altra. Sorride. Alza le spalle». I morti fanno luce sui vivi, a Lance questo è chiaro. Portare un figlio al cimitero è come sussurrargli per sempre questa frase: non aver paura. Come una promessa. Quando ti accorgi che tuo figlio lo capisce, c’è quasi sempre il sole. Ti viene voglia di dirglielo... che capisci che ha capito, che di ogni cosa, letteralmente, “vale la pena”. Ma l’amore fra padre è figlio è una galassia silenziosa. Carver è colmo della luce che zampilla, da suo figlio. Per dircelo non indugia sulla tenerezza con la quale Lance parla col suo nuovo amico guardiano e lo fa sentire importante, il pudore di padre “costringe” Carver a nascondere quel fuoco di bene, nella misteriosa dimestichezza di un ragazzo con il francese. «Al che noi tre riprendiamo a camminare. / Il guardiano preferisce far questo che altro. / Si accende la pipa. Guarda l’orologio. È quasi ora / di pranzo e di bere un bicchiere di vino. / — Chiedigli un po’ se vuole esser sepolto / in questo cimitero, quando muore. / Chiedigli un po’ dove vuole esser seppellito —. / Mio figlio è capace di dire qualsiasi cosa». Erano venuti per scovare l’indirizzo dei morti, si sono ritrovati di fronte a qualcuno che non prende nemmeno in considerazione l’ipotesi di morire. E il sole, nel finale della poesia, sembra essere d’accordo e illumina le mani di un guardiano che pensa al varietà.

di Cristiano Governa

 Chiedigli un po’


Con riluttanza mio figlio entra con me  oltre i cancelli di ferro del cimitero di Montparnasse.
— Che modo di passare una giornata a Parigi! —, gli vien voglia di dire. E infatti lo dice.
Sa il francese. S’è messo a parlare
con un guardiano canuto che s’è offerto
di farci da guida. Così in tre lentamente
camminiamo lungo file e file di tombe allineate.
A quanto pare, stanno tutti qui.
Fa caldo, c’è pace e il rumore delle strade
parigine qui non arriva. Il guardiano vuol condurci
alla tomba dell’inventore del sommergibile
e a quella di Maurice Chevalier. E a quella
di Nonnie, la cantante morta a ventott’anni.
ricoperta da un mucchio di rose rosse.
Io voglio vedere le tombe di scrittori.
Mio figlio sospira. Lui non vuol vedere niente.
Ne ha viste abbastanza. Ha oltrepassato la noia,
s’è rassegnato. Guy de Maupassant; Sartre; Sainte-Beuve;
Gautier; i Goncourt; Paul Verlaine e il suo vecchio amico, Charles Baudelaire. Dove ci soffermiamo.
Ma ci sono diversi nomi incisi sulla lapide di Baudelaire
e non capisco che ci stanno a fare.
Il nome di Charles Baudelaire è stretto tra quello  della madre che per tutta la vita gli ha prestato soldi  e s’è preoccupata della sua salute, e quello del patrigno, un pedante che detestava, ricambiato,  lui e tutto quello che lui rappresentava.
— Chiedilo un po’ al tuo amico —, gli dico.  Lui glielo chiede.
È come se lui e il guardiano ormai fossero vecchi amici
e io fossi qui per esser tenuto buono.
Il guardiano dice qualche cosa e poi mette
una mano sopra l’altra. Sorride. Alza le spalle.
Mio figlio traduce. Ma ho già capito.
— Come un sandwich, papà —, dice mio figlio.  — Un sandwich Baudelaire —.
Al che noi tre riprendiamo a camminare.
Il guardiano preferisce far questo che altro.
Si accende la pipa. Guarda l’orologio. È quasi ora
di pranzo e di bere un bicchiere di vino.
— Chiedigli un po’ se vuole esser sepolto
in questo cimitero, quando muore.
Chiedigli un po’ dove vuole esser seppellito —.
Mio figlio è capace di dire qualsiasi cosa.
Riconosco le parole tombeau  e mort
sulle sue labbra. Il guardiano si ferma.
È ovvio che stava pensando ad altro.
A battaglie sottomarine. Al varietà, al cinema.
A qualcosa da mangiare e un bicchiere di vino.
Non certo alla putrefazione, non al decomporsi.
Non all’annichilamento. Non alla propria morte.
Ci guarda in faccia, prima l’uno, poi l’altro.
Chi vogliamo prender in giro? Che razza di scherzo è?
Ci saluta e se ne va.
Diretto al tavolo d’un caffè all’aperto.
Dove potrà togliersi il berretto, passarsi
le dita tra i capelli. Sentire voci e risate.
Il tintinnio concreto delle posate.
Dei bicchieri. Il sole riflesso sui vetri.
Il sole sul marciapiede e sulle foglie.
Il sole che s’insinua sul suo tavolo. Sul suo bicchiere.  Le sue mani.

( Orientarsi con le stelle  [Minimum Fax, 2013] traduzione di Riccardo Duranti e Francesco Durante)