Donne e uomini nella Chiesa/17
Il ruolo maschile e quello femminile nella creazione

Nel dialogo
il reciproco riconoscimento

Fra Bartolomeo, «Adamo ed Eva con Caino e Abele» (1512)
04 maggio 2021

Il secondo racconto della creazione dell’uomo e della donna nel libro della Genesi offre lo spunto per alcune riflessioni che partono dalla lettura del testo ma che intendono aiutare ad approfondire il senso della relazione tra le donne e gli uomini nell’oggi del mondo e della Chiesa. Due aspetti devono essere notati preliminarmente. Prima della creazione della donna l’uomo (maschio) propriamente non esiste ancora, ma l’Adam sta ad indicare l’umanità ancora non differenziata da cui, solamente in un secondo momento, emergono sia l’uomo che la donna. L’uomo (maschio), cioè, diviene tale quando trova accanto a sé un altro esistente, la donna, differente, ma a lui essenzialmente simile, come il testo indica chiaramente riferendosi alla creazione della donna da parte di Dio. Si può sicuramente affermare che, quindi, la nascita dell’uomo e della donna, nella loro concretezza, sia simultanea, poiché, soltanto quando sono l’uno accanto all’altra essi veramente esistono.

Fino a questo punto l’uomo e la donna sono insieme, l’uno di fronte all’altra, ma non c’è realmente relazione, perché quest’ultima si instaura con la parola, quando l’uomo, alla vista della donna, ne riconosce la coappartenenza e le attribuisce un nome che è molto diverso da quello dato agli animali, in quanto indica proprio la loro coessenzialità. È vero che qui l’uomo parla “della donna”, ma non “alla donna”, tuttavia la sua esclamazione costituisce senz’altro la premessa del futuro dialogo. Quando da questa parola iniziale nascerà il vero dialogo, solo allora, di fronte all’Io ci sarà un Tu capace di rispondere e, nella reciprocità, di dire a sua volta Io, interpellando colui o colei da cui è stato interpellato. Se alla parola dell’uno non segue la risposta dell’altro, al posto del dialogo vi è solo il monologo, che può certamente trasmettere contenuti di rilevante importanza, ma che non può mai stabilire la relazione che, per essere tale, deve sempre configurarsi come reciproca, nel mutuo scambio.

Da qui si è portati a porre un interrogativo di vitale importanza sia per le donne che per gli uomini: essi si parlano, cioè la loro è un’effettiva relazione, oppure sono solo l’uno accanto all’altra e restano, alla fine, ciascuno nella sua chiusura? Questa domanda è di particolare rilevanza oggi, poiché tutti siamo “bombardati” da messaggi che, però, non sembra possano dirsi propriamente parola umana, in quanto ad un’emittente fa riscontro un destinatario, ma non un vero interlocutore abilitato a rispondere ponendosi, quindi, come un Io. Queste considerazioni valgono, ovviamente, nel più vasto contesto sociale e culturale, ma viene spontaneo chiedersi se esse riguardino anche la Chiesa come comunità di fedeli e popolo di Dio in cammino. Storicamente, lungo duemila anni di cristianesimo, la parola è stata prerogativa prevalentemente maschile e le donne sono state, per lo più, le uditrici, ovvero le destinatarie di messaggi pensati dagli uomini, anche quando questi riguardavano proprio il genere femminile. Oggi nella Chiesa molte cose sono cambiate e le donne, seppure ancora in minoranza, sono presenti in ambiti, anche decisionali, dai quali tradizionalmente erano escluse.

Per poter concludere questa riflessione, si deve qui sottolineare che un momento costitutivo del dialogo è quello dell’ascolto ed allora ci si può chiedere se esso, al pari della parola, sia reciproco e se, cioè, la parola delle donne sia ascoltata, riconoscendole autorevolezza, come quella degli uomini. Quella che adesso si sta evidenziando non è un’istanza che scaturisca da rivendicazioni femministe ma sorge dall’interno delle esigenze di quel percorso di sinodalità al quale costantemente ci richiama Papa Francesco, in quanto non è sufficiente essere gli uni accanto alle altre ma è necessario essere entrambi soggetti di parola, degni di rispettoso ed attento ascolto reciproco.

di Giorgia Salatiello