Don Carlo De Cardona protagonista del movimento cattolico alla luce dell’enciclica sociale

L’interprete calabrese
della «Rerum novarum»

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04 maggio 2021

Tante le iniziative programmate che si terranno, covid permettendo, tra giugno e agosto, per ricordare il 150° anniversario della nascita (il 4 maggio): innanzitutto la mostra bibliografica «Don Carlo De Cardona e i personaggi della Rerum novarum a Cosenza» curata dalla Biblioteca nazionale di Cosenza, che sarà consultabile anche attraverso il web. Due passeggiate: la prima a Cosenza nei luoghi che hanno visto la presenza decardoniana, il quartiere operaio dello Spirito Santo e Cosenza Casali dove nel 1907 venne costruita la palazzina denominata Casa operaia, primo esempio in Calabria di edilizia popolare; inoltre la visita all’istituto delle Suore minime della beata Elena Aiello che ospitò don Carlo dal 1940 al 1948. La seconda passeggiata, sulle rive del fiume Arente tra i comuni di Rose e di San Pietro in Guarano, dove la Lega del lavoro di De Cardona fece costruire una centralina elettrica che diede l’illuminazione pubblica al paese di San Pietro in Guarano, sette anni prima della città di Cosenza. Il Centro studi calabresi «Cattolici socialità politica», che ha già pubblicato tre quaderni dal titolo Studi e ricerche su don Carlo De Cardona e il Movimento cattolico in Calabria, curati da Demetrio Guzzardi, nei giorni a venire presenterà i documenti ai seminaristi del Pontificio seminario teologico regionale San Pio X di Catanzaro.

Carlo De Cardona aveva da pochi giorni compiuto 20 anni (era nato a Morano Calabro il 4 maggio 1871) quando, il 15 maggio 1891, il vecchio Papa Leone xiii aveva consegnato alla Chiesa l’enciclica Rerum novarum, di cui quest’anno ricorrono i centotrent’ anni dalla sua promulgazione. Gioacchino Pecci, eletto Papa nel 1878, a 68 anni di età, ereditò tutte le problematiche risorgimentali che aveva accumulato Pio ix . Nei suoi venticinque anni di pontificato portò nella Chiesa una «provvidenziale rivoluzione» in un clima di forte conflitto col neonato Stato unitario. Gli annali ricordano che la massoneria fece sapere che la cerimonia di insediamento del nuovo Papa sarebbe stata disturbata da elementi facinorosi e quest’ultimo fu, quindi, costretto a celebrarla nella Cappella Sistina e non nella basilica di San Pietro. Tuttavia, alla sera, le chiese e le case dei cattolici romani, fedeli al Papa, furono illuminate a giorno, a dimostrazione di una grande devozione al Pontefice.

L’enciclica Rerum novarum fu davvero fondamentale per porre l’attenzione sulla questione sociale, perché non solo analizzava e denunciava le situazioni di ingiustizia, ma proponeva un ventaglio di strumenti utili a superare la crisi. Il Papa condannò categoricamente il conflitto sociale, proponendo la cooperazione tra le parti, nel rispetto delle persone, della giustizia e della verità. Una prima stesura della Rerum novarum fu redatta dal gesuita salernitano padre Matteo Liberatore (1810-1892), da più parti considerato e stimato come il più grande filosofo di quei tempi, che aveva, tra l’altro, preso parte alla fondazione della rivista «La Civiltà Cattolica» e alla diffusione della dottrina di san Tommaso d’Aquino. Padre Liberatore insegnava sociologia cristiana alla Pontificia Università Gregoriana e aveva fra i suoi studenti il giovane Carlo De Cardona.

Il 15 maggio 1891, giorno di promulgazione dell’enciclica, resta una data memorabile per tutti quei credenti che accolsero l’invito del Papa: «Andate al popolo, eliminate lo sconcio della lotta di classe, difendete le ragioni e gli interessi dei proletari, e in genere degli umili, di fronte ai detentori delle ricchezze, facendo prevalere, nella vita pubblica, non la violenza, ma le regole dell’Evangelo e le esperienze sociali della Chiesa. Trasfondete nel corpo sociale uno spirito nuovo di giustizia e di fraterna benevolenza, svegliando ed educando il senso di solidarietà e di unità morale e civile, in tutti i campi del vivere umano».

L’arcivescovo di Cosenza, monsignor Camillo Sorgente (1823-1911), anch’egli di Salerno, conosceva molto bene padre Liberatore e, appena il giovane Carlo De Cardona finì gli studi e fu ordinato sacerdote il 7 luglio 1895 a Cassano all’Jonio dal vescovo cappuccino monsignor Evangelista Di Milia, Sorgente lo volle accanto a sé per organizzare le iniziative sociali del movimento cattolico. Questo proprio perché sapeva dell’ardore infuso da padre Liberatore ai suoi studenti della Gregoriana. Le attese di monsignor Sorgente non andarono deluse. De Cardona, oltre a insegnare filosofia ai seminaristi di Cosenza, divenne il leader di un autentico movimento di popolo che cambiò radicalmente le condizioni sociali del Cosentino.

«Il mondo è diviso fra quelli che vivono rassegnati e quelli che vivono sperando», era una delle frasi ricorrenti del moranese. I suoi molteplici interessi si rivolgevano alla promozione integrale delle fasce più fragili della popolazione. La sua opera fu espressione di un profondo radicamento nella terra natia e nel contempo di visione fortemente partecipe dell’azione del movimento cattolico nazionale: dall’Opera dei congressi alla Democrazia cristiana di Romolo Murri, dal Partito popolare di Sturzo alla Democrazia cristiana di De Gasperi. Si impegnò direttamente dentro le istituzioni amministrative (consigliere comunale dal 1904 al 1920 e provinciale dal 1905 al 1923). Fu instancabile animatore di giornali cattolici («La Voce cattolica», «Il Lavoro», «l’Unione del lavoro»). Fu pacifista, antifascista e costretto a lasciare la sua terra durante il fascismo. Fu soprattutto vicino ai bisogni di contadini e operai. Costruttore di solidarietà con la promozione delle leghe del lavoro e di una fitta rete di Casse rurali. Costruttore di comunità che avevano l’obiettivo di una promozione globale delle classi subalterne attraverso l’istruzione e la lotta per il miglioramento delle condizioni economiche, morali e di sicurezza del lavoro. L’opera decardoniana risultò vincente per quasi un trentennio (1898-1935), poi il fascismo, in modo subdolo, recise alcune delle strutture più importanti e cadde l’oblio su don Carlo e su quello che insieme a tanti coraggiosi uomini e donne aveva costruito.

Risuona in questo sacerdote l’eco delle parole di Papa Francesco quando dice che la politica, quella con la P maiuscola, è martirizzante. De Cardona ha saputo saldare il cielo e la terra, la preghiera e l’azione sociale; è stato un mistico, un innamorato di Gesù Crocifisso ed è vissuto tutto proteso a fare la volontà di Dio conformandosi a Cristo. L’amore verso gli ultimi è stato per lui causa di incomprensioni e tuttavia non si è mai arreso davanti a nessun ostacolo. Don Carlo fu visto dal fascismo come un dissidente e fu ostacolato pure da tanti esponenti dello stesso mondo cattolico. De Cardona ha ideato e realizzato le Casse rurali perché sapeva che, se un contadino o un artigiano chiedeva un prestito senza sufficienti garanzie, nessuna banca glielo avrebbe mai concesso; volle che i poveri potessero accedere al credito senza dover ricorrere all’usura. I tre principi cardini della dottrina sociale della Chiesa furono codice culturale di vita per don Carlo: la destinazione universale dei beni, i beni comuni e la sussidiarietà. Si può sostenere, senza ombra di dubbio, che don Carlo ha interpretato l’economia secondo un indirizzo civile di comunione. A lui spetta il merito di aver anticipato, nella fedeltà alla dottrina sociale della Chiesa, i contenuti del concilio Vaticano ii . Ringraziamo il Signore per il dono di don Carlo De Cardona alla Chiesa calabrese, nell’attesa del riconoscimento della sua beatificazione.

di Francesco Savino
Vescovo di Cassano all’Jonio