DONNE CHIESA MONDO

Antesignane

Senza abito né clausura

Anonimo, Ritratto di Mary Ward, ca. 1600 (Wikipedia)
29 maggio 2021

Con Mary Ward la prima rivoluzione delle monache


Correva l’anno 1595 e a Mulwith, una cittadina dello Yorkshire, in Inghilterra, una bambina di dieci anni si opponeva alla volontà paterna, che pianificava per lei un matrimonio combinato e di prestigio. Nata in una ricca famiglia inglese, Mary Ward si fece guidare, fin dalla giovinezza, da una fede incrollabile, che di lì in poi avrebbe dato adito a pacati ma fermi contrasti con chiunque si aspettasse da lei una vita irreggimentata nei binari consueti. L’ultimo di una serie di tentativi di farla maritare fu tentato dal suo padre confessore, ma fallì nel momento in cui, durante la celebrazione della messa, al sacerdote si rovesciò inaspettatamente il calice.

Nel 1609, mentre le persecuzioni anti-cattoliche si facevano sempre più incalzanti, Mary attraversò la Manica per poter vivere la sua vocazione religiosa nel monastero francese delle clarisse di Saint-Omer. Vi giunse con alcune compagne e vi entrò, senza prendere i voti.

Ma la vita contemplativa, aveva bisogno di uno sbocco nella prassi e fu così che Mary Ward, aprendo una scuola a Sant-Omer, finalizzata specificatamente all’educazione delle fanciulle, diede vita alla Compagnia delle cosiddette “Dame inglesi”, poiché le sue appartenenti erano tutte cattoliche inglesi: un gruppo di donne dedite all’apostolato, non legate a una Regola, senza abito, né clausura. L’indissolubile legame con la spiritualità ignaziana, la vicinanza al carisma della Compagnia di Gesù, di cui Mary adottò spiritualità e stile di vita, valse loro il nome di “Gesuitesse”.

Oltre alla formazione delle giovani donne, le Dame inglesi aiutarono materialmente e sostennero spiritualmente i perseguitati e i prigionieri cattolici, annunciando Dio senza indossare alcun abito religioso, vestendo a volte anche alla moda,¬ per poter svolgere le opere di carità senza dare nell’occhio. Condotto da donne che avevano rifiutato la clausura, questo innovativo apostolato “attivo”, a vantaggio dell'educazione giovanile e della dignità femminile nella società e nella Chiesa, aveva come centro radiante la spiritualità ignaziana imperniata sul discernimento. Attraverso la meditazione e la preghiera, infatti, il legame di Mary con Dio si faceva sempre più stretto, intimo, colloquiale, al punto che nella sua biografia poté affermare che “Dio era molto vicino a me e dentro di me … lo vidi entrare nel mio cuore e nascondersi lì”. La sua libertà interiore nasceva proprio da questo rapporto “diretto” con il Signore di cui lei si sentiva “strumento”: rapporto cantato in modo partecipato, ma sommesso in una delle sue più belle preghiere: “O genitore dei genitori / Amico di tutti gli amici / Senza che io Te lo chiedessi / Mi hai preso sotto le Tue ali / A piccoli passi mi hai distolto / Da tutto ciò che non sei Tu perché / Te potessi vedere, Te amare /…/ O felice libertà nuova / Inizio di tutto il mio bene”.

Il discernimento la conduceva in tal modo a riflettere su quale fosse il progetto che Dio aveva su di lei e tale consapevolezza la liberava da ogni forma di possibile tentazione proveniente dalle “cose terrene”: ricchezze, onore, gloria non sfiorarono mai mente e cuore di questa pioniera di una vita religiosa femminile “contro-corrente”. Mary Ward, guidata dallo Spirito, dimostrò, così, nei fatti come le donne non fossero creature deboli e volubili, da destinarsi o al matrimonio o alla vita conventuale, ma fossero capaci di azione, preghiera, vita nel mondo. Quando, nel 1611, durante un rapimento estatico, udì le parole “Prendi lo stesso della Compagnia”, Mary aveva ormai acquisito una tale familiarità con le regole ignaziane del discernimento degli spiriti, da essere pronta a riconoscerne la provenienza e a quale “stendardo” tali spiriti appartenessero.

Operando nella consapevolezza di essere guidata dall’alto, seppe tener testa alle innumerevoli obiezioni e difficoltà a cui inevitabilmente andò incontro. Alle critiche delle malelingue per il fatto di parlare apertamente di cose spirituali davanti a uomini adulti, compresi i sacerdoti, ai commenti paternalistici di Thomas Sackville che vedeva le “Gesuitesse” come donne volubili e esaltate (“il loro fervore passerà, perché in fin dei conti non sono che donne”), Mary, rivolgendosi alle sue compagne, ribatté: “Tra donne e uomini non c’è una differenza tale da far pensare che le donne non possano fare grandi cose e ci si accorgerà che le donne in futuro, come spero, faranno molto”.

Ma la santità della vita ordinaria di Mary Ward e il suo progetto, troppo avanzati per quei tempi, continuarono ad incontrare ostacoli e diffidenza, fino a giungere, nel 1631, alla soppressione da parte di papa Urbano viii della sua opera ormai diffusa in diversi paesi d’Europa. Accusata di essere “eretica, scismatica e ribelle alla Santa Chiesa” e ritenuta pericolosa per il suo sforzo di dare dignità e ruolo alle donne nella chiesa cattolica, fu “invitata a soggiornare” per qualche mese nel monastero delle Clarisse di Monaco di Baviera. Mary rifiutò di firmare la dichiarazione di colpevolezza preparata dagli inquisitori e nel 1637 intraprese un lungo viaggio alla volta di Roma, per incontrare direttamente il papa. Quando, due anni dopo, le fu concesso di tornare in Inghilterra, poté aprire, con poche compagne, alcune comunità, prima a Londra e poi nel villaggio di Heworth, dove morì nel 1645.

La sua congregazione fu approvata solo nel 1703, mentre la Santa Sede approvò in via definitiva il suo Istituto della Beata Vergine Maria solo nel 1877, a condizione che non comparisse il nome di Mary Ward. Bisognò attendere i primi del Novecento perché il clima mutasse e fosse ufficialmente riconosciuta quale fondatrice. Nel 2003 la congregazione assunse il nome di “Congregatio Jesu”, dopo aver ricevuto dal padre gesuita Pedro Arrupe le Costituzioni ignaziane adattate alle donne, secondo quanto era volontà di Mary Ward.

Se nel 2009 le fu attribuito il titolo di Venerabile, il processo per la sua beatificazione è in attualmente in corso per la pratica eroica delle virtù da lei esercitata in vita.

di Elena Buia Rutt