Messaggio del patriarca Bartolomeo

Una nuova libertà

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30 aprile 2021

«Mentre celebriamo la Pasqua, confessiamo nella Chiesa che il Regno di Dio “è già stato inaugurato, ma non ancora adempiuto”. Alla luce della Risurrezione, le cose terrene assumono un nuovo significato perché sono già trasformate e trasfigurate. Niente è semplicemente “dato” ma tutto è in movimento verso la perfezione escatologica». Sono le parole del patriarca ecumenico Bartolomeo, arcivescovo di Costantinopoli, nel suo messaggio per la Pasqua che la Chiesa ortodossa celebra il prossimo 2 maggio, nel quale viene sottolineato come la solennità non sia solo una festa religiosa, anche se la più significativa. «Ogni divina liturgia — osserva infatti Bartolomeo — ogni preghiera e supplica dei fedeli, ogni festa e commemorazione di santi e martiri, l’onore delle icone sacre, la “gioia abbondante” dei cristiani (2 Corinzi, 8, 2), ogni atto di amore sacrificale e di fraternità, la sopportazione del dolore, la speranza che non delude mai il popolo di Dio, è una festa della libertà». Una festa in cui è rappresentato e associato «tutto ciò in cui crediamo, tutto ciò che amiamo e tutto ciò che speriamo come cristiani ortodossi»; da cui «tutto deriva la sua vividezza, attraverso la quale tutto viene interpretato e in cui tutto acquista il suo vero significato. La Risurrezione di Cristo — ribadisce il messaggio — è la risposta dell’amore divino all’angoscia e all’attesa dell’uomo, ma anche al “desiderio” del creato che geme con noi». Nella Resurrezione riusciamo a cogliere appieno significati quali «facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza» e «Dio vide tutto ciò che aveva fatto, ed ecco, era molto buono», precisa il patriarca.

Il trionfo di Cristo sulla morte appartiene quindi a tutti, accompagnando l’umanità dopo la caduta che ha causato «la sospensione del nostro cammino verso la “somiglianza divina”». Con la Pasqua del Cristo risorto, invece, «la via verso la deificazione mediante la grazia è nuovamente aperta per “l’amato da Dio”», compiendosi così il “grande miracolo”, che guarisce la “grande ferita” e cioè il genere umano. L’immagine più appropriata per descrivere meglio questo “passaggio” è individuata da Bartolomeo nell’icona della Resurrezione conservata nel monastero di Chora, a Istanbul, dove «vediamo il Signore della gloria che discese nelle profondità dell’Ade e vinse il potere della morte per sorgere come datore di vita dalla tomba», sollevando con sé l’intera umanità «dall’inizio alla fine, come nostro liberatore dalla schiavitù del nemico». Liberi in Cristo, pertanto, e beneficiati da questo dono di grazia, puntualizza il primate ecumenico, atto a rafforzare «il nostro viaggio e la nostra condotta in questa nuova libertà, che contiene anche il ripristino del nostro rapporto con il creato». Non solo: in questa nuova condizione l’uomo non è più intrappolato negli “assoluti terreni” come «gli altri, che non hanno speranza» (1 Tessalonicesi, 4, 13). La nostra speranza, prosegue il patriarca, è Cristo, anzi «l’esistenza compiuta in Cristo e lo splendore dell’eternità» che «i confini biologici della vita» non sono in grado di definire: la morte non è la fine della nostra esistenza. «Nessuno abbia paura della morte, perché la morte del Salvatore ci ha resi liberi», rimarca Bartolomeo. «Ne è stato tenuto prigioniero e la ha annientata Colui che discese agli inferi» per renderci la libertà in Cristo, definita nel messaggio l’“altra creazione dell’uomo”: essa è al contempo «anticipazione e modello del compimento e della pienezza dell’economia divina nell’“ora e sempre” dell’ultimo giorno, quando i benedetti del Padre lo incontreranno, «vedendolo e visti da lui, godendo dei frutti dell’infinita piacevolezza» che promana dall’Onnipotente.