Approfondimento
Dilagano contagi e morti per Covid

Tragedia indiana

Parenti di vittime del Covid recuperano i resti dei propri cari dopo la cremazione dei corpi in cataste di legna fuori dai crematori (Reuters)
30 aprile 2021

La seconda ondata della pandemia ha travolto l’India e devastato grandi città come Delhi, Mumbai, Lucknow e Pune per poi accanirsi sugli insediamenti urbani più piccoli e sui villaggi, da dove le notizie giungono in maniera più rarefatta. Quel che è certo, però, è che gli ospedali non hanno più posto e che i funerali devono svolgersi nei parcheggi delle autovetture.

Il Paese è afflitto da una cronica carenza di posti letto in terapia intensiva e molte famiglie sono costrette a spostarsi per chilometri nel tentativo di far ricoverare i loro cari. Nella regione di Delhi, popolata da venti milioni di abitanti, gli ospedali sono pieni, non vengono ammessi nuovi pazienti e le persone hanno cominciato a morire lungo le strade. A mancare, poi, è anche l’ossigeno ed il governo ha dichiarato che mobiliterà le scorte possedute dalle forze armate per provare a contenere la situazione. Nel corso delle ultime settimane i siti di informazione ed i social media sono stati sommersi da immagini, strazianti, di pazienti che faticano a respirare in assenza di ossigeno medico.

Numerosi pazienti, da Delhi ad Amritsar passando per l’Uttar Pradesh, sono deceduti in ospedale dopo che le strutture mediche non sono riuscite a procurargli l’ossigeno necessario. L’ossigenoterapia, come insegnato dalla prima ondata di coronavirus, aiuta i pazienti colpiti da Covid moderato e severo a migliorare, e inoltre evita che la maggior parte di questi ultimi venga sottoposta a ventilazione.

L’India si trova nel mezzo di una crisi umanitaria senza precedenti. La carenza di test diagnostici impedisce di capire la reale portata dell’epidemia e il personale sanitario è costretto a lavorare senza poter fare sempre affidamento sugli equipaggiamenti per la protezione personale. A queste problematiche va ad aggiungersi, poi, la carenza di posti letto e quella di ventilatori. I governi di tutto il mondo hanno iniziato a comprendere, seppur in ritardo, la gravità della situazione ed hanno inviato aiuti. Gli Stati Uniti stanno inviando scorte di ventilatori, test diagnostici ed equipaggiamento per la protezione personale dei sanitari ma anche il Regno Unito e l’Unione europea stanno provando a fare la propria parte. Persino il Pakistan, storico rivale geopolitico di Nuova Delhi, si è impegnato ad inviare ventilatori e macchinari per la produzione di ossigeno.

A detta degli esperti, la crescita esponenziale della curva dei contagi dell’India non lascia ben sperare su una possibile evoluzione positiva, almeno nel breve termine, della situazione. Dal 21 aprile sono stati registrati oltre trecentomila nuovi casi al giorno ma la crescita è travolgente se si pensa che il muro dei duecentomila contagi era stato sfondato appena il 14 aprile.

Sino alla metà di marzo, invece, il numero delle infezioni quotidiane oscillava tra le diecimila e le ventimila. Questo stato di cose potrebbe essere stato provocato da alcune varianti del virus tra le quali spicca la B.1.617, che preoccupa per la presenza di due mutazioni significative. Alcune mutazioni, che sono comuni in tutti i virus, potrebbero aver velocizzato la diffusione dell’infezione e l’alta densità della popolazione indiana potrebbe aver creato un ambiente perfetto per le mutazioni del virus. L’allentamento delle misure restrittive, deciso dal governo alla metà di febbraio in seguito alla diminuzione dei casi, è stato probabilmente prematuro ed ha facilitato la diffusione del virus e l’aumento dei contagi. A complicare le cose ci sono state le campagne elettorali per diverse elezioni.

La campagna vaccinale, lanciata alla metà di gennaio, si sta tramutando in un sostanziale fallimento, dicono gli analisti. L’India ha completamente vaccinato meno del due per cento delle sua popolazione, stimata in 1.3 miliardi di abitanti ed i centri di inoculazione in tutto il Paese cominciano ad essere privi di dosi. Si tratta di uno sviluppo imprevisto dato che la nazione ha decenni di esperienza in questo settore e può produrre più dosi rispetto a tutte le altre nazioni del mondo. Va detto che l’esecutivo non ha sfruttato l’esercito per raggiungere le vaste aree rurali ed ha basato la campagna sull’uso di alcuni strumenti tecnologici che hanno impedito ai più poveri di partecipare.

Sino al primo maggio, infine, i vaccini sono riservati ad alcuni gruppi prioritari come gli anziani e i lavoratori sanitari mentre solamente a partire da questa data saranno disponibili per tutti i maggiorenni.

Il paradosso è che l’India, sino all’inizio di marzo, era uno dei più grandi esportatori del vaccino AstraZeneca, prodotto nell’azienda privata Serum Institute. Questo strumento veniva utilizzato per acquisire influenza politica in Asia meridionale e nel resto del mondo. Più di settanta Paesi, da Gibuti alla Gran Bretagna, hanno ricevuto vaccini prodotti in India per un totale di oltre sessanta milioni di dosi. Il peggioramento della propria battaglia contro il coronavirus ha però portato a un ripensamento, alla netta riduzione delle esportazioni (con prevedibili conseguenze per le nazioni destinatarie) ed all’accaparramento di tutte le dosi possibili per il fabbisogno interno. Il governo del primo ministro Narendra Modi esercita, infatti, un controllo diretto sul numero di vaccini esportati.

Ci sono pochi dubbi sull’emergenza umanitaria che si sta dispiegando in India in questo momento e appare certo che la popolazione non ha raggiunto alcuna immunità di gregge nei confronti del Covid-19. Il possibile collasso del sistema sanitario indiano potrebbe avere gravi conseguenze dando vita ad una crisi umanitaria in grado di indebolire la lotta globale contro il coronavirus e ridisegnando la mappa geopolitica dell’Asia a vantaggio di alcune grandi potenze.

di Andrea Walton