ANNIVERSARI
A colloquio con Luca Dal Fabbro, Presidente dell’Istituto Europeo ESG

35 anni fa il disastro nucleare
di Chernobyl
esempio di potenza autodistruttiva dell’uomo

L’aula di un asilo nella città “fantasma” di Chernobyl ( Reuters)
26 aprile 2021

A 35 anni dalla più grande catastrofe ambientale provocata dall’uomo, nel mezzo di una crisi globale pandemica e di fronte alle minacce del cambiamento climatico e della perdita di equilibrio degli ecosistemi, ricordare Chernobyl significa pensare a un modello equo e sostenibile di sviluppo come unica strada per la sopravvivenza del creato, come evidenziato con coraggio da Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’. «A monte di qualsiasi dibattito sul nucleare, occorre valutare limiti e contraddizioni dell’attuale modello di produzione e distribuzione dell’energia — premette Luca Dal Fabbro, Presidente dell’Istituto Europeo ESG e Managing Partner del Fondo Circular Value Fund — perché siamo di fronte alla sfida più impegnativa dell’umanità: come garantire energia a tutti gli esseri umani a costi sostenibili e senza causare metastasi nel creato?».

L’aprile del 1986 segna la fine di un’epoca: prima di allora gli incidenti erano stati localizzati e circoscritti, anche mediaticamente. In quel momento, tutto il mondo aprì gli occhi sugli effetti, duraturi e devastanti, sanitari, ambientali ed economici, di una sciagura nucleare. I contorni della tragedia si estesero dai confini di un Paese all’altro, invadendo le foreste del Nord Europa come i territori balcanici. A che scopo?

Tutto per un esperimento-pilota, teso a spingersi fino ai limiti della reazione di fissione nucleare, allora raggiunti. La potenza dell’incendio del reattore 4, Lenin, fu 500 volte quella della bomba di Hiroshima: la radioattività liberata nel cielo dell’Ucraina uccise 30 mila persone, nell’immediato e nei decenni successivi, determinò mezzo milione di sfollati, svuotò cento fra città e villaggi. E non possiamo dimenticarci di cinque milioni di persone colpite da gravi patologie, di migliaia di neonati malformati in tutta Europa, di 2.800 km2 di flora e fauna contaminati in eterno. Possiamo solo dire che ha rappresentato il più terribile esempio della potenza autodistruttiva dell’uomo.

La tecnologia nucleare, come dimostrano gli incidenti di Three Mile Island (1979), Chernobyl (1986) e Fukushima (2011), è un pericolo per oggi, ma ipoteca anche il futuro, per la gestione delle scorie.

Le minacce insite nel nucleare sono diverse e legate anche all’estrazione, lavorazione e trasporto dell’uranio. Insieme ai timori associati alla proliferazione delle armi nucleari, gli oppositori del nucleare temono il sabotaggio da parte dei terroristi delle centrali, la diversione e l’uso improprio di combustibili radioattivi o rifiuti di combustibile, nonché le perdite naturali dal processo di stoccaggio a lungo termine irrisolto e imperfetto di scorie radioattive. Rifiuti e incidenti nucleari a parte, ci sono alcune prove che questa energia non è sempre sicura. Gli impianti nucleari sono sistemi centralizzati, e, dunque, vulnerabili. Sono costosi da costruire, gestire e mantenere, e dipendenti da input di materie prime ad alta intensità energetica per l’estrazione e la lavorazione. La stabilità del loro sistema di alimentazione dipende da impianti di raffreddamento, che richiedono molta disponibilità di acqua. Con le mutevoli condizioni climatiche, la siccità, le inondazioni e il potenziale innalzamento del livello del mare, una maggiore dipendenza dall’acqua non è una buona idea. Inoltre, i costi di installazione del fotovoltaico sono in forte e progressiva diminuzione, mentre quelli del nucleare restano stabilmente alti.

Tuttavia, spegnere oggi le centrali nucleari esistenti significherebbe compromettere la sicurezza degli approvvigionamenti mondiali con possibili crisi energetiche globali dalle conseguenze non facilmente prevedibili.

Certo. Alimenterebbe tensioni geopolitiche tra Paesi importatori ed esportatori di energia. Occorre non cadere negli estremismi, ma tentare un sentiero equo e sostenibile. L’umanità ha un bisogno ineludibile di energia elettrica per sopravvivere e deve produrla senza emettere in atmosfera anidride carbonica proveniente dalla combustione fossile. Vanno affrontati, oltre al riscaldamento globale, anche altri fenomeni degenerativi, come l’acidificazione degli oceani e l’aumento delle quantità delle sostanze plastiche nelle acque, l’inesorabile degradazione della biosfera terrestre e la rapida perdita di terreni boschivi e desertificazione. Tutti connessi alla stessa radice del problema: un modello di sviluppo insostenibile di cui la produzione di energia è cardine.

Come possiamo passare dalla logica del consumismo sfrenato ad un’ottica circolare di condivisione delle risorse?

La direzione, già indicata dai “sustainable goals” SDG’s delle Nazioni Unite, è quella sostenuta da Papa Francesco, quando sprona leadership e governance mondiali ad abbandonare vecchi modelli di sviluppo ancorati alla “turbo” finanza e finalizzati alla massimizzazione del profitto. Questo rappresenta un messaggio spartiacque in ingresso nella nuova epoca: parole che sono fonte di ispirazione per le generazioni future.

Cambiare paradigma, rivoluzionare le attuali tecnologie, richiedono ricerca ed investimenti importanti.

Già, ma è accettabile che in moltissimi Paesi avanzati gli investimenti in difesa/armamenti siano molto superiori a quelli di tutela dell’ambiente e sulle fonti pulite di energia? Detto ciò, non possiamo permetterci di chiudere tutte le centrali nucleari del mondo: quel che, però, possiamo fare è sostituire la fissione nucleare con rinnovabili, stoccaggio di energia tramite idrogeno e, grazie alla ricerca, con nuove tecnologie a zero emissione e senza rischi. Dunque, se è vero che l’energia nucleare è oggi la seconda fonte di elettricità a basse emissioni di carbonio, che con l’energia idroelettrica costituisce la spina dorsale della generazione di elettricità a basse emissioni di carbonio, fornendo insieme tre quarti della produzione globale a basse emissioni di carbonio, è anche vero che dall’incidente di Chernobyl in poi, diversi Paesi, tra cui Germania, Italia, Svizzera e Spagna, hanno previsto la graduale eliminazione dei loro programmi nucleari, ed è probabile che un processo di parziale dismissione del nucleare toccherà tutto il pianeta entro il 2050, anche e soprattutto per l’invecchiamento degli impianti. Infatti, l’età media della flotta mondiale di centrali nucleari è di quasi 30 anni e L’Agenzia Internazionale dell’Energia (I ea ) prevede che quasi 200 reattori saranno dismessi già entro il 2040.

Mantenere gli accordi di Parigi è già un grande traguardo: da più parti si ipotizza la continuità delle centrali nucleari fino alla messa a regime delle energie rinnovabili.

Il ruolo del nucleare in un futuro a basse emissioni di carbonio è stato oggetto di un lungo e controverso dibattito. Alcuni scienziati del clima e organizzazioni internazionali sostengono lo spostamento globale verso l’energia nucleare, allo scopo di affrontare l’emergenza climatica e soddisfare la crescente domanda mondiale di elettricità; altri che le fonti di energia rinnovabile siano il percorso più sicuro ed economicamente sostenibile verso un sistema elettrico a basse emissioni di carbonio. Secondo Fatih Birol, Direttore esecutivo dell’I ea , oltre alle energie rinnovabili, all’efficienza energetica e ad altre tecnologie innovative, il nucleare contribuirebbe significativamente agli obiettivi di energia sostenibile e di sicurezza energetica, e secondo Bill Gates, le innovazioni nell’ambito delle tecnologie nucleari (in cui ha parecchio investito) faranno del nucleare una forma sicura ed accessibile.

In altre parole, l’energia nucleare svolgerebbe un ruolo nelle transizioni verso l’energia pulita a patto che venga quanto prima sostituita da rinnovabili e nuove tecnologie generative a zero emissioni?

Le opzioni per compensare la possibile riduzione di capacità nucleare nel futuro includono nuove centrali elettriche a gas, maggiore stoccaggio (come accumulo con pompaggio, batterie o tecnologie chimiche come l’idrogeno) e interventi sulla domanda, in modo che i consumatori siano incoraggiati a ridurre in tempo reale i consumi in risposta a input sui prezzi. Occorre, però, anche lavorare sulle grandi interconnessioni elettriche nord-sud, ad esempio, le connessioni con l’Africa sub sahariana, in cui produrre in futuro grandi quantità di energia solare da destinare poi all’Europa.

Ma per raggiungere una traiettoria coerente con gli obiettivi di sostenibilità — scrive la I ea — compresi gli obiettivi climatici, l’espansione dell’elettricità pulita dovrebbe essere tre volte superiore di quella attuale, in modo che l’85% dell’elettricità globale provenga da fonti rinnovabili entro il 2040. In caso contrario, emergerebbe una grave carenza di energia pulita, e questo ricadrebbe sull’eolico e sul solare fotovoltaico, costretti ad ulteriori accelerazioni per colmare il divario.

Infatti, insieme a massicci investimenti in efficienza ed energie rinnovabili, sarebbe necessario un aumento dell’80% della produzione globale di energia nucleare entro il 2040, oppure, in alternativa, come auspicabile, occorrerebbe investire massicciamente sulle rinnovabili, su idrogeno e, in prospettiva, sulla fusione nucleare, riducendo contemporaneamente, e preventivamente, le emissioni, in forte crescita, dei Paesi in via di sviluppo.

Come fare ciò senza costringere questi ultimi al sottosviluppo?

Occorre più coraggio, osando maggiormente in un settore come quello finanziario, allo scopo di evitare che i Paesi in via di sviluppo divengano i primi emettitori di anidride carbonica, senza frenare la loro crescita, cosa che non sarebbe né equa né accettabile.

In che modo?

Attraverso un ampio patto tra Paesi detentori del debito mondiale, finora i maggiori emettitori di anidride carbonica, Paesi debitori in via di sviluppo. Lancio una proposta: convertiamo l’enorme debito di questi Paesi, che li riduce “virtualmente” schiavi in “debito buono”, rendendolo spendibile per la transizione energetica globale, così da creare un mercato globale delle emissioni di anidride carbonica finalizzato a trasformare parte di quel debito in tonnellate di anidride carbonica (dollaro a tonnellata) che, negli anni, i Paesi in via di sviluppo eviteranno di emettere con nuova forestazione, installazione di energia rinnovabile e adozione al modello circolare.

E i Paesi e le industrie emettitori di anidride carbonica, comprando i crediti di anidride carbonica, utili ad acquisire il debito dei Paesi in via di sviluppo, finanzieranno i nuovi progetti energetici a impatto zero in Paesi dell’Africa e dell’Asia.

Esatto. Si produrrebbe energia solare in Africa e sarebbe trasferita in Europa tramite nuove interconnessioni elettriche e si produrrebbe idrogeno nei Paesi ricchi di sole e di vento e si utilizzerebbe dove serve (l’idrogeno non produce anidride carbonica quando viene usato per produrre energia): il tutto finanziato dal mercato dei crediti di emissione di anidride carbonica. Pensate che con questa soluzione ridurremmo il debito “zavorra” dei Paesi in via di sviluppo e potremo risolvere problemi di sviluppo e ambientali contemporaneamente. Quello che dico non è impossibile come non era impossibile andare sulla luna negli anni ’60. Si può fare! È la missione fondamentale dell’umanità e dobbiamo dedicarle tutte le risorse intellettuali ed economiche necessarie. Questa sfida è la più difficile che l’umanità deve affrontare e non potrà riuscirci una sola nazione o un solo presidente, ma solo lo sforzo comune e duraturo dell’umanità potrà garantire l’equilibrio degli ecosistemi per le prossime generazioni.

di Silvia Camisasca