«Quando finisce la notte» di Francesco Cosentino

Crisi e opportunità

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24 aprile 2021

«Ma cos’è questa crisi?» era il titolo e il refrain di una canzonetta molto popolare degli anni Trenta del secolo scorso, scritta da Rodolfo De Angelis, resa celebre da Petrolini, e poi riproposta molti anni dopo, a ogni ricorrente crisi, dal Quartetto Cetra, e poi da Gigi Proietti. Ricorrenti perché ogni epoca ha la sua crisi, e “la” crisi, al di là di una apparente estemporaneità, appartiene all’ordinarietà di ogni vita. Siamo sempre dentro una crisi, solo che spesso non ce ne rendiamo conto o facciamo di tutto per nasconderla. Perché l’animo umano paventa la crisi: nel linguaggio comune il termine crisi ha sempre un’accezione ed un uso negativi. Ma se solo si prova a sostituire “crisi” con il corrispondente e quasi sinonimo “cambiamento” allora cambia tutto. Perché è innegabile che la crisi è sempre foriera di un cambiamento. E spesso di un cambiamento positivo, se solo si sa accogliere e attraversare la crisi in un certo modo.

E questo è il paradigma entro cui si snoda Quando finisce la notte (Bologna, Dehoniane, 2021, pagine 160, euro 13), l’ultimo libro di Francesco Cosentino, teologo, professore all’università Gregoriana e soprattutto prolifico scrittore. Cosentino ovviamente prende spunto dalla crisi presente della pandemia, che ha sconvolto alle radici il sistema di vita che ci ha governato fino al gennaio 2020. Un sistema improntato da velocità, interconnessione e consumo, applicati ad ogni aspetto della vita. Un sistema che prima dell’arrivo della pandemia aveva raggiunto un livello tale di saturazione, da far percepire a molti come vicino, annunciato ed ineluttabile (ancorché imprevedibile nelle forme) il cataclisma che è poi effettivamente arrivato. Cosentino si muove con perizia e distacco a sezionare i meandri della crisi che viviamo, tanto nelle dimensioni sociali, quanto più intime e psicologiche, ed anche, e soprattutto, nella vita ecclesiale, che produrrà — sta già producendo — nuovi assetti relazionali oggi già individuabili in nuce. La crisi non va respinta e neanche subita, ma accolta e attraversata. Vi sono tre modi di atteggiarsi di fronte alla crisi, avverte l’autore nell’introduzione «pensare che sia tutto perduto, credere che sia solo un imprevisto di percorso e che tutto tornerà come prima, oppure attraversare e vivere la crisi come opportunità di trasformazione». E questa è l’opzione lungo cui si snoda tutto il libro.

Tutte le questioni relative alla percezione di Dio, già trattate nell’ottimo precedente libro Non è quel che credi, sono, secondo il giovane teologo, velocizzate e amplificate dall’esplodere della pandemia. Il Dio onnipotente ma senza amore, il Dio giudice della forza e del castigo, non può che scomparire definitivamente davanti all’angoscia del male imprevedibile e ingiusto. A quale Dio credere dopo la pandemia? Solo nel Dio dell’amore, il povero, l’impotente che soffre e cammina con noi, che vince il mondo lasciandoci scacciare dal mondo e cioè morendo sulla croce. Non c’è risposta plausibile al male innocente, ma c’è la consolazione di un Dio che lo conosce, che lo ha sperimentato lui stesso, che sa cosa proviamo nel dolore perché l’ha provato; la peculiarità del Dio dei cristiani. Quale la Chiesa che ci attende alla fine della crisi, o almeno a quale Chiesa dobbiamo guardare? Su questo Cosentino non lascia spazio a mediazioni, nel linguaggio e nel contenuto. Ha da essere una Chiesa che archivia definitivamente la spiritualità tridentina.

La pandemia se da un lato ha consentito la ripresa della preghiera domestica, della Parola condivisa e metabolizzata, dell’essere chiesa nel “piccolo gruppo”, dall’altro lato ha visto anche manifestazioni di ritorno ad un approccio tutto clericale, fatto di messe private e individuali, dove basta il solo prete anche se il popolo non c’è e dove la sospensione delle Messe ha gettato nell’angoscia, a volte scomposta e paranoica, molti credenti. La Chiesa del domani va immaginata piuttosto con al centro la Parola di Dio, il primato dell’evangelizzazione sulla sacramentalizzazione diffusa, e soprattutto un reale protagonismo del popolo di Dio. Un protagonismo basato — e questo è il terzo passaggio del libro — su una spiritualità che non si risolva più nelle sole cose celesti, ma risulti realmente incarnata, soprattutto incoraggiando la scoperta di Dio nella ferialità e ordinarietà della vita quotidiana, come insegnano due grandi figure — pur diverse tra loro — come Karl Rahner e Adriana Zarri, da cui l’autore attinge a larghe mani.

Un testo in definitiva, questo di Cosentino, che, al pari del precedente, andrebbe letto, meditato e discusso, non solo individualmente, ma all’interno delle comunità, come utile esercizio di ripensamento e formazione.

di Roberto Cetera