Giornata della Terra

Cinquantuno anni
di allarmi inascoltati

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22 aprile 2021

Dal 1970 il riscaldamento globale da minaccia è diventato realtà evidente


Ventidue aprile 2021, scocca il 51° compleanno della Giornata Mondiale della Terra. Mezzo secolo di impegno civile che ha coinvolto decine di migliaia di organizzazioni e mobilitato ogni anno miliardi di persone. Cinquantuno anni di alfabetizzazione climatica, di mobilitazione civile, di educazione ambientale, di ardite battaglie nella sempre più affollata arena mediatica. Ma è servito a qualcosa? Certo qualcuno potrebbe pensare che adesso è finalmente arrivato il momento degli ambientalisti, che finalmente il mondo si è accorto delle cogenti verità gridate al vento per cinque decadi. Ma la verità purtroppo è molto più graffiante di così. La verità è che dal 1970 ad oggi il riscaldamento globale si è trasformato da una minaccia per il futuro ad una realtà che condiziona negativamente le vite di tutti noi.

Negli ultimi 170 anni le nostre emissioni di anidride carbonica sono aumentate del 48% e la temperatura del pianeta è salita di 1,18 °C. Il mare ha assorbito molta parte di questa sostanza deleteria è si è scaldato a sua volta di 0,33 °C. Sembrerebbero valori trascurabili ma, come il covid ci ha insegnato molto bene, il nostro è un ecosistema molto fragile e cosi è successo che abbiamo cominciato a riversare in mare 413 miliardi di tonnellate di acqua ogni anno dai ghiacciai polari e 199 miliardi di tonnellate da tutte le altre superfici nevose del pianeta. Risultato: il mare si è alzato di quasi 18 centimetri cominciando a sommergere i territori costieri. Con gli attuali trend di riscaldamento, a fine secolo l’innalzamento dei mari potrebbe toccare la sconvolgente misura di 1,8 metri con il conseguente sfollamento di 600 milioni di persone. A Parigi i Paesi membri delle Nazioni Unite si erano impegnati ad abbattere le emissioni del 45% entro il 2030 ma ad oggi abbiamo piani di contenimento solo dell’1%. E dal 1992 ad oggi ben 25 conferenze internazionali sul clima delle Nazioni Unite non hanno saputo fermare questo progressivo peggioramento. Per dare un’immagine di questo comportamento: è come se ci trovassimo ad avere il tubo di scappamento della nostra automobile che porta i gas di scarico nell’abitacolo, e mentre i passeggeri gridano all’autista di spegnere i motori, lui si limitasse a non andare troppo veloce condannando se stesso e i passeggeri a morte certa.

Di recente è stato pubblicato dall’economista indiano Sir Partha Dasgupta — professore a Cambridge e alla Stanford University — uno studio commissionato dal governo inglese per comprendere la situazione economica globale. Credo che questo lavoro sia andato ben oltre la sua missione ed abbia offerto al mondo un vero e proprio manifesto dell’unica economia oggi possibile se vogliamo superare l’attuale crisi socio-ambientale. Ci sono sette evidenze che caratterizzano molto bene l’economia della biodiversità tratteggiata dal professor Dasgupta.

In primo luogo le nostre economie sussistono proprio grazie alla natura dalla quale ricavano tutte le materie prime e nella quale riversano tutti i prodotti di scarto. In tale quadro l’unica difesa che abbiamo da una perdita della sussistenza stessa della nostra economia è tutelare la biodiversità che la rende capace di sopportare il carico di stress che le diamo con la nostra azione. La seconda evidenza del trattato inglese riguarda la nostra evidente colpa di non aver mai voluto affrontare in modo sostenibile il rapporto economico con la natura. Certamente qualcuno singolarmente l’ha fatto, ma collettivamente non abbiamo mai preso in carico questa primaria necessità. Negli ultimi vent’anni il capitale umano pro capite è aumentato del 13% a livello globale mentre lo stock di capitale naturale pro capite è diminuito di quasi il 40%.

Al terzo punto l’economista indiano evidenzia come in tutto questo non abbiamo saputo restare neanche entro i limiti di tolleranza del nostro pianeta, generando tassi di sfruttamento insopportabili per la rigenerazione naturale di cui pagheranno il prezzo soprattutto le future generazioni. I tassi di estinzione sono da 100 a 1.000 volte superiori al tasso naturale generando così una irreversibile perdita di biodiversità che nessuno potrà mai restituirci. La quarta evidenza definisce come alla base di tutto questo ci sia un profondo e diffuso fallimento istituzionale. Il prezzo dei prodotti non è in alcun modo proporzionale al valore ambientale sottostante, quanto piuttosto al profitto che questo deve generare. Questa scelta è l’emblema di quanto distanti dalla verità siano oggi le istituzioni che arrivano addirittura a finanziare con trilioni di dollari operazioni che danneggiano l’ecosistema molte volte per semplice indifferenza al tema. Le ultime tre evidenze guardano infine la soluzione che siamo chiamati a trovare: a) in primo luogo dobbiamo tutti accettare che la natura non è solo da rispettare ma va considerata la premessa indispensabile di ogni possibile economia terrestre. La natura è parte integrante dell’economia la quale deve fondare su di essa i propri modelli di produzione e di scambio; b) dobbiamo cambiare il modo in cui pensiamo, agiamo e misuriamo il successo. Chiunque di noi sarebbe disposto a rinunciare a qualche punto di guadagno se in cambio avesse garantite felicità e successo nelle relazioni umane, e certamente il Pil non potrà mai misurare tutto questo; c) infine è necessario comprendere quanto questa enorme trasformazione non sia affatto impossibile. Sembra una sfida senza speranza ma la verità è che l’unica condizione necessaria è che tutti siano disposti a volerla davvero. Serve cioè solo un po’ di consapevolezza e di autentico impegno da parte di tutti. È questo a rendere incredibilmente prezioso il messaggio della Laudato si', che ha saputo portare nel cuore degli uomini, al di là del credo o della cultura di appartenenza, il desiderio di conquistare una visione della vita meno centrata sul profitto e molto più attenta alla ricerca della nostra felicità.

di Pierluigi Sassi