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A 20 anni dalla firma della «Charta œcumenica»

Un faro per l’unità
dei cristiani in Europa

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21 aprile 2021

L’idea della Charta era nata all’indomani della seconda Assemblea ecumenica europea, che si era tenuta a Graz nel 1997


«L’unità per la quale il Signore ha pregato nel Cenacolo è una condizione della credibilità della testimonianza cristiana. Oggi più che mai, dobbiamo fondare la nostra riflessione su questo profondo rapporto che svolge un ruolo decisivo per l’impatto che il messaggio cristiano può avere sul mondo»: con queste parole Giovanni Paolo ii si rivolse al cardinale Miloslav Vlk, arcivescovo di Praha, con un messaggio alla vigilia della firma della Charta œcumenica, un documento pensato dal Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (Ccee) e dalla Conferenza delle Chiese d’Europa (Kek) «per promuovere, a tutti i livelli della vita delle Chiese, una cultura ecumenica del dialogo e della collaborazione e creare a tal fine un criterio vincolante», come si legge nell’introduzione alla stessa Charta. Il 22 aprile 2001, a Strasburgo, il metropolita ortodosso Jeremias, presidente della Kek, e il cardinale Vlk, presidente del Ccee, firmarono la Charta œcumenica. Un testo contenente Linee guida per la crescita della collaborazione tra le Chiese in Europa, che venne consegnato, il giorno stesso, a una delegazione di giovani cristiani d’Europa in modo da sottolineare, ancora una volta, che la Charta era un documento che doveva aiutare i cristiani a condividere i passi compiuti per la rimozione delle divisioni per vivere la missione di Cristo, Salvatore delle genti in Europa.

L’idea di un documento, sintetico e lineare, sull’ecumenismo per un impegno quotidiano dei cristiani in Europa per il dialogo, era nata all’indomani della seconda Assemblea ecumenica europea, che si era tenuta a Graz nel giugno 1997. Al termine dell’assemblea, che aveva visto una partecipazione di popolo, ben oltre le attese, tanto da darle una dimensione completamente diversa dalla prima che si era svolta a Basilea, nel 1989, ci si era interrogati su come vivere la nuova situazione geopolitica dell’Europa in una prospettiva ecumenica; si trattava di radicare sempre più la pluralità di tradizioni cristiane, soprattutto quelle che vivevano, dopo decenni di oppressione, nel comune desiderio della costruzione dell’unità visibile della Chiesa con dei gesti concreti, al di là dei dialoghi teologici, che procedevano anche in Europa.

Questo passaggio appariva fondamentale anche perché era evidente che il crollo dell’impero sovietico aveva aperto spazi di libertà, ma portava con sé memorie lacerate che coinvolgevano tutta l’Europa; la riscoperta dei valori dell’accoglienza e del dialogo doveva essere alimentata da una rinnovata azione ecumenica che doveva permeare la vita delle comunità locali, alle prese con problemi del tutto nuovi, con un radicale mutamento della realtà dell’universo religioso in Europa.

La redazione della Charta œcumenica, che deve molto alla paziente e appassionata opera di monsignor Aldo Giordano, allora segretario della Ccee, si era sovrapposta ai tentativi, che risultarono vani, di tenere, a breve, una nuova assemblea ecumenica europea e quindi ben presto la Charta assunse un significato che andava ben oltre le iniziali aspettative, pur rimanendo fedele alle impostazioni iniziali, cioè di offrire un testo, che aiutasse i cristiani a vivere la propria vocazione ecumenica a partire dal comune ascolto della Parola di Dio. Il testo firmato a Strasburgo era composto di tredici numeri, che affrontavano i temi dell’annuncio del Vangelo, della preghiera, del dialogo, del ruolo dei cristiani nella formazione dell’Europa, della riconciliazione della memoria, della salvaguardia del creato, divisi in tre parti (Crediamo «la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica»; In cammino verso l’unità visibile delle Chiese in Europa; La nostra comune responsabilità in Europa), con un continuo riferimento alla Parola di Dio e l’indicazione di un “impegno” concreto da assumere proprio per far crescere la comunione; gli ultimi tre numeri erano dedicati al dialogo con l’ebraismo, con l’islam, con le altre religioni e visioni del mondo, dal momento che, già nel 2001, era evidente il ruolo che i cristiani insieme potevano svolgere per favorire lo sviluppo di una cultura del dialogo, con una particolare attenzione ai rapporti con il mondo ebraico anche alla luce delle drammatiche vicende del xx secolo.

Si può dire che la recezione della Charta ebbe inizio il giorno stesso della sua firma: nel corso dei mesi, degli anni questa recezione prese una serie quasi infinita di strade; in alcuni casi, come in Svizzera, venne organizzata una cerimonia pubblica con la partecipazione dei rappresentanti delle Chiese, che facevano parte di Ccee e Kek, con la firma della Charta accompagnata dall’impegno a farla diventare pane quotidiano della vita delle comunità, nella consapevolezza che solo così si potesse far crescere il cammino ecumenico. In Italia, accanto alle iniziative regionali, come quella della Conferenza episcopale della Toscana, che la fece distribuire a tutti gli abbonati del settimanale «Toscana Oggi», o locali, come quella dell’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della diocesi di Palermo, che ne propose un’edizione commentata, fu la stessa Conferenza episcopale italiana a dedicare il convegno nazionale per i delegati diocesani per l’ecumenismo alla lettura e al commento della Charta œcumenica, nel novembre 2001.

Nella recezione della Charta, che ha avuto dei primi momenti di valutazione, in occasione del quinto e del decimo anniversario della sua firma, pesarono numerosi fattori, alcuni dei quali, come l’attacco alle Torri Gemelle, ebbero delle ricadute nelle dinamiche ecumeniche, che furono chiamate, anche in Europa, a confrontarsi con temi e aspetti che, pur trattati dal documento, avevano assunto delle prospettive completamente nuove. Nonostante le difficoltà incontrate nella sua recezione, a vent’anni dalla sua firma, in un tempo sconvolto dalla pandemia, che chiede di coltivare accoglienza e speranza, la Charta œcumenica costituisce un faro che, nella sua essenzialità evangelica, aiuta i cristiani a vivere nella luce la costruzione dell’unità in Europa, così da annunciare insieme che «Gesù Cristo, Signore della Chiesa “una”, è la nostra più grande speranza di riconciliazione e di pace. Nel suo nome vogliamo proseguire in Europa il nostro cammino insieme. Dio ci assista con il suo Santo Spirito!».

di Riccardo Burigana