La presenza femminile nella ricerca filosofica antica in un libro a cura di Maddalena Bonelli

Non solo Ipazia

 Non solo Ipazia  QUO-090
21 aprile 2021

«Mi scusi professore, devo farle una domanda: donne filosofe ci sono state?». Questo interrogativo mi è stato posto moltissime volte nel corso dei miei numerosi anni di insegnamento. Esso sorgeva spontaneo da parte dei giovani liceali già al termine del programma che prevedeva la presentazione del pensiero antico. Ciò era determinato dal fatto che né io come docente né il libro di testo avevamo sottoposto alla loro attenzione alcuna figura di donna filosofa. Magari, nell’indice onomastico del manuale era possibile reperire il nome di Ipazia, ma ciò non bastava a cancellare la convinzione, certo non immotivata, che la ricerca filosofica, almeno nella sua prima fase, fosse stata del tutto estranea alle donne. Anche spostandosi nell’ambito della storia della letteratura le cose non cambiavano di molto, ma qui almeno emergeva la figura della poetessa Saffo, la cui grandezza non poteva essere trascurata.

Il ricordo di questa piccola esperienza professionale mi ha fatto ancor più apprezzare il libro Filosofe, maestre, imperatrici. Per un nuovo canone della storia della filosofia antica, curato da Maddalena Bonelli per le Edizioni di Storia e Letteratura (Roma, 2020, pagine 210, euro 18) e dedicato proprio alla questione della presenza femminile nell’ambito della ricerca filosofica nel mondo classico.

Il primo dato da prendere in considerazione — e non casualmente di ciò si discute nella parte iniziale del volume — è quello concernente la valutazione che la stessa cultura greca dette delle donne filosofe. Scrive a questo riguardo la curatrice: «Le fonti antiche che riportano le testimonianze sulle vite e gli scritti delle donne filosofe antiche a volte sono viziate da pregiudizi di genere, che danno l’impressione di svalorizzare o di non prendere troppo sul serio l’impresa filosofica femminile». In questo contesto, un ruolo di eccezionale importanza viene giocato da Platone e Aristotele, i due sommi maestri del pensiero classico. Il primo, come asserisce Richard Davies, sembra lasciare aperto uno spiraglio alla possibilità che vi siano donne filosofe, in particolare nel celebre dialogo della Repubblica, laddove, in linea di principio, non esclude una presenza femminile ai vertici dello Stato. Tuttavia, egli si ferma ben prima e preferisce non approfondire la questione, rimanendo ancorato alla mentalità comune che certo non era incline ad accettare l’esistenza di filosofe capaci di governare gli Stati. Dai contributi di Elisabetta Cattanei e Arianna Fermani dedicati ad Aristotele si ottiene la conferma della posizione decisamente misogina del pensatore di Stagira: per lui le donne sono «maschi menomati», eterne fanciulle incapaci di scalare le vette del sapere.

Giunto a questo punto, il lettore sembra obbligato ad accettare la tesi della pressoché totale irrilevanza delle donne nel panorama filosofico dell’antichità. In realtà le cose non stanno proprio così e la seconda parte del libro lo dimostra grazie agli interventi di Caterina Pellò, Manuela Migliorati, Sara Belotti, Stefania Salomoni e Gemma Beretta, che indicano alcune piste di ricerca molto interessanti, che consentono una lettura diversa della questione e autorizzano una valorizzazione della filosofia antica al femminile.

Il primo segnale in questa direzione proviene dalle donne pitagoriche, che costituirono una presenza non insignificante: certo, a tale riguardo gli studiosi si trovano dinanzi a testimonianze piuttosto oscure, di difficile decifrazione, non prive tuttavia di una sufficiente attendibilità. Successivamente l’attenzione viene concentrata su Diotima di Mantinea, la cui reale esistenza storica resta in dubbio, ma che potrebbe aver svolto un ruolo non indifferente, quando si pensi all’importanza delle parole che Platone le fa proferire nel Simposio a proposito dell’amore. Assai interessante è l’intervento dedicato a Pompeia Plotina, moglie dell’imperatore Traiano, della quale non è stato ancora sufficientemente chiarito il rapporto con la scuola epicurea di Atene. L’ultimo contributo accolto nel volume riguarda Ipazia, sicuramente la più nota tra le filosofe antiche, della quale si cerca di ricostruire il pensiero, tenendo presente che di lei ci sono giunte soltanto testimonianze indirette.

La curatrice del libro non ci nasconde la complessità delle ricerche svolte e di quelle che dovranno essere ulteriormente approfondite; ma ciò non la scoraggia: «La speranza — scrive — che sta alla base del molto lavoro che ha condotto a questo volume sulle donne filosofe nell’antichità è che esso possa aprire a ulteriori sviluppi circa la loro valorizzazione e inclusione nella filosofia».

di Maurizio Schoepflin