CHE MONDO CORRE
Cosa cambia nei social network

La rivoluzione dell’esclusività

(FILES) In this file photo taken on October 26, 2020 this photograph shows the logo of US social ...
21 aprile 2021

Tra i trend tanto incontrovertibili quanto significativi che possiamo derivare dall’anno della pandemia da covid-19, ve ne è uno, in particolare, che ha subito una forte accelerazione nel proprio processo evolutivo, diventando centralissimo per la relazione tra persone. Si tratta dell’uso dei canali digital e social che oggi, secondo la recentissima edizione dell’indagine globale di We Are Social, riguarda 490 milioni di utenti in più rispetto all’anno scorso, un incremento che porta il totale complessivo delle persone attive su queste piattaforme a 4,21 miliardi, in pratica del 53% dell’intera polazione mondiale.

Non aumenta solo il numero dell’utenza ma cresce, anche se a ritmi meno intensi rispetto al passato, anche il tempo che vi investiamo: più di due ore al giorno. Per la precisione quasi due ore e mezza. Il che vuol dire quasi un giorno intero a settimana, oppure, per dare un’idea delle proporzioni, 420 milioni di anni a livello collettivo mondiale.

È dunque sempre più evidente che gran parte della nostra vita si svolge attraverso queste piattaforme, tuttavia non ci siamo ancora posti la domanda sempre più essenziale, soprattutto in un momento storico di particolare criticità come quello che stiamo vivendo, se accanto a questo elevatissimo grado di pervasività dei social nel nostro quotidiano, corra di pari passo un grado altrettanto elevato di consapevolezza d’uso.

Faccio un esempio, in un Paese come l’Italia, dove le persone attive sui social sono 41 milioni, cioè 6 milioni in più rispetto all’anno precedente, la prima scelta per preferenza va ancora a YouTube e alla famiglia di applicazioni di Facebook, nell’ordine: Whatsapp, Facebook, Instagram e Facebook Messenger. Tuttavia, in un panorama di conferme, si sta facendo strada una nuova passione verso forme di socialità digitali basate su criteri di maggiore esclusività e selezione.

Anche se in realtà questa nuova deriva era già stata preannunciata da Mark Zuckerberg quando, nel 2019, parlando del futuro della sua creatura più famosa, Facebook, disse che sarebbe andata verso una dimensione di maggiore privatezza, che sarebbe stata cioè sempre più “salotto” e sempre meno “piazza”, oggi, intercettando nella necessità di privacy un’esigenza sempre più sentita dagli utenti, nuovi social si stanno affacciando sulla scena già con la capacità di cambiare il modo di interagire tra le persone.

La caratteristica principale di queste nuove realtà è quella di semplificarsi al massimo. Dunque, se fino ad oggi la complessità è stata un valore e la multifunzionalità un elemento di fascino, in questa nuova dimensione lo è l’essenzialità che sfrondata dalla ridondanza della forma si concentra sul culto della sostanza. In queste nuove piattaforme, per questa ragione, non troveremo sollecitazioni a scattare foto o a condividere video o a scrivere post poiché lo spazio e il tempo sono appannaggio esclusivo della voce. Solo spazi, dette “stanze”, in cui parlare oppure ascoltare il pensiero degli altri convenuti. ClubHouse è tutto qui — dicono — uno spazio digitale dove creare “stanze” temporanee nelle quali ritrovarsi per parlare,  proprio come si farebbe fisicamente in una casa con amici.

Ma è davvero così? Siamo sicuri sia davvero “tutto qui”? A mio avviso la risposta è no perché alla causa concorrono molti aspetti di complessità che non possiamo lasciare che siano trascurati. Uno di questi è il tema della sicurezza. Se prendiamo ClubHouse, che è il fenomeno social del quale oggi tutti parlano, per quanto l’azienda tenda a sottolineare la garanzia dell’inviolabilità dei dati dei propri utenti, sono invece in molti a ritenere, primo tra questi è lo Stanford Internet Observatory, che ClubHouse a oggi non possa fornire alcuna promessa di privacy per le conversazioni tenute ovunque nel mondo. E al riguardo, recentemente anche il Garante italiano della privacy ha inoltrato alla società in oggetto una richiesta di chiarimenti circa potenziali violazioni del Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali. In attesa di una risposta che ci auguriamo esaustiva, quel che si registra ancora una volta è che il successo di un’applicazione non va di pari passo con l’attenzione ai diritti delle persone ed al rispetto dei loro dati. Molte persone sono ancora infatti disposte a mettere in secondo piano, talvolta anche ultimo, la tutela di loro stessi. È una notizia nota infatti che non sarebbe un problema per la società, intercettare le conversazioni che accadono nelle varie stanze, registrarle e conservarle per intero o in parte. Questo si configura come un enorme problema sia in termini di sorveglianza che di sicurezza che di manipolazione e influenza.

Per capire come questa nuova generazione di network possa essere un mezzo per influenzare qualsiasi attività, basta pensare al caso GameStop e a come una multinazionale di videogiochi già in fase di declino, nel gennaio scorso sia diventata oggetto di una forte speculazione finanziaria vestita da sfida ai big della finanza statunitense scatenata dai giovani investitori retail concordata su un forum di discussione on-line chiamato Reddit (frequentato mensilmente da circa 430 milioni di utenti attivi). Questi ultimi, attraverso la piattaforma di trading on-line Robinhood, hanno fatto aumentare il valore di listino per azione da 17 dollari a 483. Una operazione senza dubbio speculativa ma che è stata raccontata attraverso i social come una sorta di riscossa dei piccoli risparmiatori contro lo strapotere dei grandi speculatori come se vi fosse una speculazione buona e una cattiva.

Allo stesso modo anche l’ascesa di ClubHouse può essere spiegata attraverso una narrativa che la vuole posizionare in netta contrapposizione con quella prima generazione di piattaforme social come Facebook, ritenuta oramai attraente solo per un pubblico di utenti più adulti, i boomer per dirla con il linguaggio dei giovanissimi. Dunque, seguendo la sua vocazione di social accessibile solo su invito e destinato ai soli dispositivi con sistemi operativi Ios, strizza l’occhio a una certa immagine di esclusività. Un’esclusività ulteriormente sottolineata dal fatto che i contenuti possibili sono solo audio, sono chiacchierate in diretta, e in quanto tali non sottoponibili a modifiche, artifici o abbellimenti. Così passa l’idea che il modello proposto è quello di uno spazio altamente valoriale poiché non esistono filtri con i quali modificare od abbellire il contenuto e poiché vi è una forte selezione all’ingresso.

Proporre un social che si fondi su un concetto di esclusività nell’epoca della globalizzazione è certamente una risposta all’esigenza dell’utenza, o di buona parte di essa, di sovvertire il modello esaltato dalle altre piattaforme di networking potenzialmente infinito e per questo di massa. Ma è un’esclusività reale? Il dato di fatto inconfutabile è che rispetto a maggio 2020, quando con solo 1.500 iscritti ClubHouse era stata valutata 100 milioni di dollari, oggi, grazie a un ulteriore giro di finanziamenti e alla rapida crescita a oltre 9 milioni degli iscritti, ha raggiunto il valore di un miliardo.

È lecito quindi chiederci su quali tra gli attori di questo palco globale ricadano gli effetti più benefici di simili rivoluzioni quando queste concentrano il profitto nelle mani di pochi e delegano il rischio ai molti. È lecito e a questo punto urgente avviare una lunga riflessione su quali siano i nostri reali bisogni in termini di creatività e innovazione. Non è il profitto ad essere sotto accusa ma la questione qui, ora, è quella delle priorità, se cioè in un mondo carico di complessità come quello contemporaneo più che di imprese che si arricchiscono tout court non servano maggiormente quelle innovazioni e quegli innovatori capaci di un sentire e di un agire che elevino l’umanità guidandola sì con mente imprenditoriale ma anche con cuore sociale e anima ecologica.

di Oscar di Montigny