Il report annuale 2021 del Centro Astalli sui richiedenti asilo e i rifugiati

Vite precarie rese più fragili
dalla pandemia

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20 aprile 2021

Il 2020 è stato un anno in cui l’onda lunga dei decreti sicurezza e le politiche migratorie di chiusura, che hanno caratterizzato la normativa su immigrazione e asilo, hanno acuito precarietà di vita, esclusione e irregolarità. È quanto emerge dal Rapporto annuale 2021 presentato questa mattina, dal Centro Astalli. All’incontro, in modalità on line, oltre a padre Camillo Ripamonti, responsabile del Centro Astalli, hanno preso parte David Sassoli, presidente del Parlamento europeo e il cardinale Luis Antonio G. Tagle, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli.

«Il documento — ha detto il porporato — è una testimonianza di amore e di compassione che non è un semplice resoconto di attività. Il migrante soprattutto quello costretto a lasciare il proprio Paese può così raccontare la propria storia. Abbiamo potuto vedere e toccare il loro dolore quando hanno deciso di lasciare la patria a causa della violenza, della povertà e dei disastri ecologici. Potevamo quasi sentire le grida delle famiglie che si separavano mentre fuggivano dai pericoli. Arrivare in un nuovo Paese comporta nuovi pesi da portare: incertezze, rifiuto, manipolazione. La pandemia — ha ricordato — ha peggiorato questa loro situazione, ma grazie all’accoglienza, al rispetto e all’accompagnamento fornito dal Centro Astalli il loro viaggio oscuro è stato irrorato di luce». Il porporato, inoltre ha sottolineato che «i migranti sono “punti umani” tra i Paesi di origine e quelli di destinazione, ma l’esperienza del Centro Astalli ha anche dimostrato che i migranti giunti in Italia hanno saputo creare punti di solidarietà tra volontari, scuole, ordini religiosi, uffici governativi, fondazioni umanitarie, media e tante persone semplici di buona volontà». Inoltre, il cardinale Tagle ha evidenziato come i migranti siano «spesso accusati di causare problemi nella società, ma la testimonianza del Centro offre, invece, un quadro diverso. Sono capaci di formare comunità di cura e condivisione, possono istruirci. Se riuscissimo a concentrarci sul migrante ci renderemmo conto che proviamo le stesse gioie, gli stessi sogni, gli stessi dolori e le stesse ansie. Il migrante è una sorella, un fratello, una persona unica ma anche lo specchio di chi sono io».

Il 2020, quindi, segnato dalla pandemia da covid-19, dal lockdown e dalle misure restrittive per arginare la diffusione dei contagi, ha registrato un aumento degli arrivi via mare di migranti in Italia (34.000), dopo 2 anni di calo (23.000 nel 2018 e 11.000 nel 2019). L’impennata di arrivi dimostra che per molti migranti forzati la pandemia non è quindi il peggiore dei mali da affrontare. Violenze, dittature, ingiustizie sociali ed economiche costringono quasi 80 milioni di persone nel mondo a mettersi in cammino verso un Paese più sicuro. Allo stesso tempo però sono diminuite le richieste d’asilo in Italia: 28.000 (contro le 43.783 del 2019). Il sistema di protezione fatica a rispondere efficacemente ai bisogni delle persone approdate nel 2020 o già presenti sul territorio. In un anno di accompagnamento dei migranti forzati, complice la pandemia, il Centro Astalli ha registrato un aumento degli ostacoli frapposti all’ottenimento di una protezione effettiva, un intensificarsi del disagio sociale e della marginalizzazione dei rifugiati. Persone rese fragili da viaggi spesso drammatici, si scontrano con normative non di rado discriminatorie, rendendo le questioni burocratiche un potenziale vicolo cieco.

La richiesta di servizi di bassa soglia (mensa, docce, medicine) è forte su tutti i territori: si calcolano 3.500 utenti alla mensa di Roma, di questi più del 30 per cento è senza dimora, in stato di grave bisogno, e tra loro hanno chiesto aiuto anche italiani. Più di 2.600 utenti si sono rivolti al centro diurno a Palermo. A Trento si è avuta la necessità di trasformare un dormitorio notturno per l’emergenza freddo in un servizio di accoglienza di bassa soglia. A Bologna, invece, è stato dato in gestione al Centro Astalli uno spazio adibito a dormitorio.

Ma dove sono i migranti che non riescono a raggiungere l’Europa? Sono bloccati nei confini degli Stati da cui scappano, non riescono a raggiungere un Paese sicuro, in cui chiedere protezione. L’aver bloccato gli ingressi a causa della pandemia e la mancanza di azioni di soccorso e ricerca nel Mediterraneo da parte di governi e dell’Ue, non ha bloccato i flussi irregolari di migranti ma ne ha reso solo meno visibili le conseguenze. Nel 2020 sono stati oltre 11.000 quelli soccorsi o intercettati nel Mediterraneo, riportati in Libia e lì detenuti in condizioni che le Nazioni Unite definiscono inaccettabili. A questi si aggiungono le oltre 1.400 vittime accertate di naufragi nel corso del 2020.

Dal report, inoltre, si evince che accompagnare i migranti forzati in un contesto di per sé già non facile e aggravato dalla pandemia ha rappresentato una sfida che lo scorso anno si è fatta più complessa. «A partire dal permesso di soggiorno — si legge nel documento — molte delle persone che abbiamo incontrato ci hanno manifestato la difficoltà di ottenerlo o rinnovarlo». Secondo padre Ripamonti, il moltiplicarsi di ostacoli burocratici, uniti alla situazione di emergenza sanitaria con molti uffici chiusi al pubblico, il rallentamento dell’attività delle commissioni territoriali e delle procedure di ricorso, la digitalizzazione di molti servizi, hanno finito per escludere un numero crescente di migranti dall’accoglienza e dai servizi territoriali aumentandone incertezza e disorientamento. Il Centro Astalli continua a ritenere che investire nell’integrazione sia una priorità. Molti servizi sono stati impegnati a far sì che all’emergenza si rispondesse con soluzioni progettuali che guardassero al futuro dei rifugiati. Nel 2020 a Roma sono state sostenute oltre 600 persone, il 30 per cento in più rispetto al 2019. Anche a Trento lo sportello lavoro ha registrato un aumento di oltre il 30 per cento del numero degli interventi effettuati. Anche la perdita del lavoro — ha spiegato il presidente del Centro Astalli — ha colpito duramente i rifugiati che da anni vivono in Italia in totale autonomia». Molti sono rimasti senza occupazione ed esclusi dall’accesso agli ammortizzatori sociali.

Un’attenzione costante è stata data al sostegno di percorsi di inclusione avviati e che hanno rischiato di interrompersi a causa del covid-19: sono stati molti, infatti, i rifugiati tornati dopo anni al Centro Astalli preoccupati riguardo l’impossibilità di pagare bollette e mensilità di affitto o addirittura di provvedere al mantenimento e alla scuola dei figli. Per spezzare il circolo vizioso di divisioni e discriminazione che sembrano diffondersi con la pandemia, «crediamo — spiegano — sia importante investire nel patrimonio sociale delle nostre comunità, valorizzando le diversità che le possono rendere più ricche e forti. In tutte le realtà della rete territoriale ci si sforza di costruire spazi di cittadinanza e giustizia, cercando soluzioni che vengano incontro alle esigenze dei rifugiati e della società che li accoglie. Nei progetti di sensibilizzazione del Centro Astalli in circa 200 istituti scolastici di 15 città italiane sono stati coinvolti circa 15.000 studenti per la gran parte raggiunti con la didattica a distanza che ha richiesto un impegno creativo da parte di volontari e rifugiati nel ripensare le modalità di comunicazione con studenti e insegnanti. «Abbiamo sperimentato la forza di un patto generazionale: tanti giovani — conclude padre Ripamonti — si sono offerti di fare servizio volontario anche nei periodi più duri, per permettere così ai volontari più anziani di rimanere a casa».

di Francesco Ricupero