«Ciò che nel silenzio non tace» di Martina Merletti

Sembrerebbe troppo tardi
ma tardi non è

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20 aprile 2021

«Non chiedere mai prima di aver dato, diceva». Dare, prima di chiedere, è qualcosa che fanno molte delle protagoniste di Ciò che nel silenzio non tace  (Torino, Einaudi 2021, pagine 280, euro 18), il primo romanzo di Martina Merletti che attraversa più di mezzo secolo di storia italiana.

La scena si apre nell’agosto 1944. Nel carcere Le Nuove di Torino una suora prende in braccio il neonato di una prigioniera in transito per Birkenau e lo addormenta con una pezza imbevuta di vino. Fattolo scivolare nel cesto della biancheria, riesce a portarlo fuori, salvando così anche la vita di sua madre.

Nel 1999 una giovane sale in moto dopo aver casualmente scoperto che quella antica vicenda la riguarda da vicino. Sembrerebbe troppo tardi, ma tardi non è, e così poco a poco – dopo un doloroso tempo di campi nazisti, occupazione, bombardamenti, fughe, ritorni e salite del dopoguerra – la trama si ricompone. Che poi è la sola via per sconfessare l’arte sottile dell’oblio, che dà solo la fragile illusione di lenire ogni sofferenza.

Attorno a elementi realmente accaduti (e raccontati dall’autrice in calce al libro), Martina Merletti costruisce un romanzo tenue e deciso, interessante anche perché capace di declinare le tante forme che può assumere la categoria dell’accoglienza. Come concetto storico, antropologico, spirituale, psicologico ed esistenziale. Accoglienza davanti alla Storia e alle storie, alla genitorialità, al bisogno, all’identità personale e altrui.

In un fluire narrativo ben scritto e orchestrato, Ciò che nel silenzio non tace  è anche, necessariamente, un romanzo di tante domande. Dove però non c’è solo la consapevolezza che molte non avranno risposta né per i protagonisti né per noi, ma piuttosto la forza di riconoscere che già il fatto stesso di porsele, quelle domande, è una conquista («Teresa non poteva non chiederselo: perché aveva pensato che il silenzio fosse l’unico modo di sopravvivere? Erano le domande, ora, a tenerla insieme»). Una conquista che può, a volte, arrivare anche dopo decenni, facendo finalmente trovare il bandolo per perdonare innanzitutto se stessi.

Tra Aila, la ragazza della moto, e la sua storia, c’è anche l’incontro con il mondo delle religiose, un mondo poco conosciuto e rappresentato in tutta la sua complessità. È l’incontro con suor Giuseppina – tra i fatti veri della Storia tessuti da Merletti c’è Giuseppina De Muro (1903-1965), la superiora delle Figlie della Carità che, assieme a padre Ruggero Cipolla, fu vicina ai detenuti del carcere giudiziario torinese in ogni possibile modo.

Ma è, soprattutto, l’incontro con suor Emma, che non sarà facile dimenticare per le sfaccettature, la profondità e la curiosità con cui Merletti la rappresenta. Un po’ come era stato – restando alla letteratura cronologicamente più vicina – per suor Jeanne e suor St Saviour, le affascinanti religiose coprotagoniste de L’ora nona  (Torino, Einaudi 2019, pagine 272, euro 17, traduzione di Monica Pareschi) della scrittrice statunitense Alice McDermott.

«C’è tanto dolore in queste vicende, Aila. O almeno, questo è quello che ho visto io. Tanto di quel dolore che alle volte, se si vuol continuare a vivere, non fa bene guardarlo troppo a lungo». Eppure c’è chi lo guarda, scegliendo di non tacere. Scegliendo così di accogliere.

di Giulia Galeotti