«Igor Trocchia. Un calcio al razzismo» di Igor De Amicis e Paola Luciani

Se la partita è giocata
nel campo della coscienza

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20 aprile 2021

Il 30 dicembre del 2018 Diego Armando Maradona, scomparso inaspettatamente cinque mesi fa, pubblica su Instagram un messaggio contro il razzismo. «Ho giocato sette anni con il Napoli e anch’io ho subito cori razzisti da alcune tifoserie. Ricordo ancora gli striscioni che recitavano “Benvenuti in Italia”», scrive il pibe de oro a sostegno di un calciatore contro cui s’è manifestato in campo un analogo e intollerabile episodio. Nulla dunque sembra essere cambiato. Da nord a sud, nel calcio (e altrove), gli insulti razzisti continuano a susseguirsi, come fosse naturale, normale. Lo dicono le cronache, i fatti, la quotidianità.

E proprio su un caso di razzismo — un caso di razzismo nel calcio — ruota il romanzo liberamente ispirato alla storia di Igor Trocchia, l’allenatore d’origine partenopea che, in provincia di Milano, sempre nel 2018, ritira dalla finale di torneo la sua giovane squadra (il Real Spinazzola), rischiando la squalifica: impossibile accettare frasi irrispettose contro uno dei giocatori, guarda caso di colore. Per quest’azione, «per il suo esempio e la sua determinazione nel rifiuto e contrasto a manifestazioni di carattere razzista», mister Trocchia è insignito nel 2019 della nomina di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana.

Il libro che racchiude la vicenda realmente accaduta s’intitola non a caso Igor Trocchia. Un calcio al razzismo (Torino, Einaudi Ragazzi, 2021, pagine 128, euro 10) ed è firmato, per la collana «Semplicemente eroi», da Igor De Amicis e Paola Luciani. Consigliato ai ragazzi dai 9 anni in su, ciò che, relativamente al libro stesso, preme sottolineare è il fatto che non s’incentri esclusivamente sul tema del razzismo. Gli autori del resto, sviluppando una galleria di personaggi frutto di fantasia, raccontano sì, quanto accada di negativo in questo mondo, ma pure quali siano gli atteggiamenti positivi da indossare per essere rispettosi dell’altro, e di se stessi.

L’accoglienza fa pertanto parte della trama del romanzo: non c’è nulla di nuovo sotto il sole, tuttavia esiste una minoranza di uomini ottimista, che sa impegnarsi a stare insieme, nonostante le differenze. I ragazzi della squadra di calcio — la loro età è tra i dodici e i tredici anni — ad esempio attraversano un momento buio nel corso della vita. Tra loro c’è chi fa i conti col bullismo a causa del proprio aspetto fisico (dal sovrappeso agli occhiali da vista), chi soffre la solitudine per la morte di un genitore, chi, ancora, è traumatizzato dalla memoria e dai ricordi della traversata in mare su un barcone, su una carretta fatiscente. Uniti dalla stessa passione, però, man mano questi giovani si accettano l’un l’altro, si “accolgono”, si rispettano e, insieme, riescono a superare qualsiasi problema («Ognuno di loro aveva un episodio, un momento, un frammento della propria vita, in cui si erano stretti l’un l’altro, in cui si erano aggrappati al compagno per superare l’ostacolo»).

Si tratta, così, di un libro sulla forza dell’amicizia, sull’andare al di là delle divisioni. Un libro sull’«impegno, il divertimento e la correttezza» nello sport, che da sempre cerca di battersi in maniera esemplare contro le discriminazioni. Basti pensare, solo per citare un caso, ai velocisti statunitensi Tommie Smith e John Carlos che nel 1968, sul podio dei Giochi Olimpici di Città del Messico, rivendicano diritti sociali e politici alzando il pugno chiuso al cielo; oppure, come fatto più recente, al cestista LeBron James che, sulle polemiche circa il suo impegno civile, ribatte: «Non c’è modo che io stia zitto di fronte alle ingiustizie e mi limiti allo sport (…). I ragazzi hanno bisogno di una voce». Pressoché la stessa cosa, tornando al romanzo, fanno dire gli autori all’allenatore Trocchia: «Non è una questione fra ragazzini. È una questione importante. La più importante di tutte (…). Se lasciamo correre, se minimizziamo, se facciamo finta che non sia successo è come se quel ragazzo lo insultassimo anche noi (…) Dobbiamo dare un segnale. Ora. adesso».

Igor Trocchia. Un calcio al razzismo è, infine, soprattutto, un libro sul bisogno delle giovani generazioni d’avere maestri ed educatori. Perché se non esiste nessuno che le guidi (emblematico il punto in cui nel romanzo sono gli stessi genitori «a farsi delle grandi risate» guardando il ragazzino che in campo sbaglia i passaggi) come faranno a trovare la strada? Servono modelli d’accoglienza, esempi d’umanità e tornando a Maradona, ma astraendoci dalla sua figura e vita d’eccessi, è significativo ricordare uno striscione argentino molto citato all’indomani della sua morte: «No importa lo que hiciste con tu vida, sino lo que hiciste con las nuestras» («non importa cosa hai fatto con la tua vita, importa quello che hai fatto con le nostre»). Ebbene, occorre circondarsi di chi insegni che una finale di calcio può anche venir perduta, ma non è così quando la partita la si gioca sul campo della coscienza e in ballo c’è la persona che si vuole diventare.

di Enrica Riera