L’anno di Fëdor Dostoevskij (1821-1881)
L’ultimo libro di Lucio Coco sulla divorante passione dello scrittore per la lettura

Quando sottolineava
il Vangelo con le unghie

La statua di Dostoevskij nei pressi della Biblioteca di Stato russa a Mosca
20 aprile 2021

Una divorante passione per i libri. Un nutrimento, una difesa, una speranza nei momenti più difficili, e drammatici. Un riferimento incrollabile.

Le letture di Dostoevskij nei tre mesi in cui era stato imprigionato nella fortezza dei santi Pietro e Paolo, erano state soltanto «i pellegrinaggi ai Luoghi Santi e le opere di S. Dimitrij di Rostov». Libri che lo avevano interessato ma che, in realtà, non erano stati che «una goccia nel mare». Come scriveva in una commossa lettera al fratello Michail, «di qualunque libro mi pare che sarei felice fino all’inverosimile».

Considerando il fatto che non pochi scrittori celebri nel passato abbiano disinvoltamente dichiarato la propria «autarchia letteraria», che li portava a giudicare non utile la lettura delle opere degli altri illustri colleghi, colpisce, a maggior ragione, la brama dello scrittore russo di assorbire quanto più possibile i talenti contenuti nella biblioteca universale. Un atto di umiltà, il suo, che equivale ad un atto di grandezza.

È dunque altamente meritorio il libro di Lucio Coco intitolato La biblioteca di Dostoevskij. La storia e il catalogo (Firenze, Leo. S. Olschki, 2021, pagine 124, euro 20), in cui, con ammirevole acribia e lucidità di analisi, illustra i frutti di una certosina ricerca condotta nelle biblioteche di Mosca e Pietroburgo. Una ricerca che è illuminante nel comunicare l’ardore con cui Dostoevskij si accostava alla lettura, da lui sentita come un fondamento irrinunciabile della sua sensibilità, del suo rapporto con il mondo: in definitiva, della sua stessa vita.

Lo scrittore era stato condannato a morte, poi la pena capitale era stata commutata ai lavori forzati, in Siberia, a tempo indeterminato. Non poté non avere un respiro di sollievo ma, al contempo, era ovvio prevedere che per lui si annunciavano tempi bui. La luce, per squarciare le fosche tenebre, sarebbe venuta dai libri. Nelle varie missive inviate al fratello il discorso, in quella drammatica ora, torna puntualmente, appunto, sui libri i quali, scrive, «sono la vita, il mio nutrimento, il mio avvenire». In un passo chiede al fratello di mandargli il Corano, la Critica della Ragion pura e «immancabilmente» Hegel, in particolare la sua Storia della filosofia. «A questi libri — chiosa — è legato il mio avvenire».

Il lavoro di scavo condotto da Coco permette dunque di conoscere gli autori cercati, con la bruciante passione del collezionista, dallo scrittore: tra questi figurano Erodoto, Tucidide, Tacito, Plutarco.

È probabile, scrive Coco, che al ritorno a San Pietroburgo, nel 1859, alcuni dei libri che si era procurato durante i dieci anni di carcere e di servizio militare sostitutivo avessero contribuito a formare il nucleo originario della sua biblioteca. Il Vangelo di Tobol’sk, che lo avrebbe accompagnato fino all’ultimo momento della sua vita, è certamente uno di questi. A giudicare dagli elenchi che aveva stilato la moglie Anna Grigor'evna, anche il Salterio in lingua slava e il Corano in francese dovevano far parte di questa dotazione iniziale. Gli anni del rientro pietroburghese furono segnati da un grande impegno dello scrittore come romanziere, come pubblicista, come critico letterario, ed è naturale che questo attivismo lo portasse a cercare numerosi libri. In un appunto degli anni 1874-1875, c’è un elenco cospicuo di opere da leggere nella biblioteca di Ems, località termale dove andava a curare la malattia polmonare che lo affliggeva. L’elenco contempla, tra gli altri, George Sand, Alexandre Dumas figlio, Gustave Flaubert.

Dostoevskij, rileva Coco, aveva sentito l’esigenza di redigere una lista di “libri necessari”, in modo da dare un ordine organico e funzionale a un contesto che, proprio perché caratterizzato da una fervente passione, rischiava di andare fuori controllo. Ed è significativo al riguardo — e Coco registra il dato con perfetto tempismo — che sul finire della vita Dostoevskij abbia voluto stilare altri elenchi di “libri necessari”. Questa volta egli non scrive per sé, ma pensa alle letture che dovrebbero svolgere i giovani. In una lettera del 18 agosto 1880 a Nikolaj Ozmidov, suggerisce come letture per la figlia Walter Scott, Dickens, Don Chisciotte, Puskin, Gogol.

L’autore segnala quindi che se si passano in rassegna i libri religiosi che occupavano gli scaffali della sua biblioteca, oggi quasi del tutto scomparsa, è possibile raggrupparli facilmente per soggetto. Anzitutto i testi sacri.

C’erano diverse edizioni del Nuovo Testamento in lingua russa ed in lingua francese. La Bibbia era presente nell’edizione sinodale del 876, mentre a sé stanti vi erano il libro di Giobbe e quello dei Salmi. Separatamente vi figuravano un Vangelo di Luca e un’Apocalisse in francese stampati a Parigi rispettivamente nel 1860 e nel 1861. Un posto rilevante tra i libri religiosi era occupato dalle opere di spiritualità, equamente suddivise tra autori classici e moderni. Tra i classici figurano i Discorsi ascetico-spirituali di Isacco il Siro, uno dei libri più amati dallo scrittore, che più volte ritorna, quasi come un memento spirituale — osserva Coco — anche nei Fratelli Karamazov.

Volendo dare una rappresentazione schematica della biblioteca di Dostoevskij secondo un ordine tematico, è possibile raggruppare il patrimonio del fondo librario in quattro sezioni: letteratura, filologia, storia della letteratura, critica, folklore; teologia, filosofia, storia; sociologia, diritto, scienze naturali, medicina, arte, letteratura per ragazzi, dizionari; libri e periodici in lingua straniera, per un totale di 549 libri. Anche se risulta essere poca cosa di fronte, per esempio, ai più di ventiduemila volumi della biblioteca di Tolstoj, si tratterebbe comunque di un lascito cospicuo, se non fosse che a noi oggi della biblioteca di Dostoevskij rimangono ventinove libri. Di altri diciassette restano solo alcune copertine, di frontespizi, degli occhielli, oppure dei fogli di sguardia conservatisi perché vi era una dedica o un pensiero dell’autore e del donatore: reperti, questi, che, scrive Coco, «danno l’idea di uno smembramento e anche del trattamento violento che toccò in sorte alla biblioteca dello scrittore».

Evidenzia l’autore che i numeri indicati dimostrano come «il vaglio della Storia sia stato nei confronti del patrimonio librario dostoevskiano altrettanto duro e severo di quanto lo sarebbero state in seguito le censure di regime o gli stessi roghi dei libri». Difficile seguire il destino di questa biblioteca. Dopo la morte dello scrittore, i suoi libri presero vie diverse. Fu la vedova Anna Grigor'evna a redigere le prime liste di volumi da far pervenire a varie destinazioni. Anna ricordava che durante i quattro anni di lavori forzati «Fedor Michajlovic non si separò mai dal Vangelo» e che «in seguito, quel libro si trovò sempre sul suo tavolo, e quando aveva qualche dubbio, lui apriva il Vangelo e leggeva le righe che gli cadevano sotto gli occhi».

E anche il 9 febbraio 1881, il giorno della sua morte, Dostoevskij, seguendo un’abitudine consolidata, volle accostarsi a quel “sacro libro” che lo accompagnava da più di trent’anni e sul quale durante la vita, a partire dai lontani tempi della prigione, aveva lasciato tanti segni della sua attenzione. Segni, scrive Coco, che vanno «dalle sottolineature a matita, alle tracce di inchiostro, dalle pieghe angoli delle pagine ai graffiti lasciati dalla penna secca oppure, quando proprio mancava tutto, soltanto dalle unghie».

di Gabriele Nicolò