A colloquio con l’assistente ecclesiastico Claudio Giuliodori

Per fare un buon ateneo
bisogna essere santi

 Per fare un buon ateneo bisogna essere santi  QUO-088
19 aprile 2021

Un grande progetto educativo, formativo e accademico che affonda le sue radici in una ferma convinzione: per fare un buon ateneo «bisogna essere santi». È su questa prospettiva che l’Università Cattolica del Sacro Cuore è cresciuta e si sviluppa continuamente nelle offerte formative e nella ricerca scientifica al passo con i tempi. Un’istituzione che vuole essere al servizio del bene comune e della Chiesa. Ne traccia un sintetico bilancio, a cento anni dalla fondazione, l’assistente ecclesiastico generale, monsignor Claudio Giuliodori, in questa intervista a «L’Osservatore Romano».

Qual è l’importanza dell’Università Cattolica per la Chiesa e la società?

L’università è nata come una scommessa, grazie al coraggio e all’intraprendenza dei fondatori. Tra questi, padre Agostino Gemelli, Armida Barelli — che sarà presto beata — e il conte Ernesto Lombardo, con il grande sostegno dell’arcivescovo di Milano, il cardinale Andrea Carlo Ferrari, e soprattutto dei Pontefici, a cominciare da Benedetto xv e Pio xi fino ai nostri giorni. Essa rappresenta una grande impresa dei cattolici italiani, un investimento che nel tempo si è rivelato di straordinaria efficacia, sia per la formazione dei giovani — oggi siamo arrivati a 45.000 studenti — sia per l’impegno nel sociale, e quindi per la cultura e per l’ambito politico, al servizio del bene comune del Paese, in particolare tra le due guerre e nei decenni la fine della Seconda Guerra mondiale. Ha dato al Paese un contributo formidabile di personalità di primissimo piano, non solo nel campo politico ma anche in quello economico e sociale. Oggi siamo attenti a quella che chiamiamo la “terza missione”, cioè essere presenti sul territorio al servizio della realtà locale, perché l’ateneo ha cinque sedi e accoglie studenti di tutte le regioni del Paese.

Come rispondete all’invito di Papa Francesco che sollecita la formazione, l’inclusione e l’accoglienza di tutti?

L’università è particolarmente attenta alle indicazioni del Pontefice. Pensiamo al tema della mobilità umana e delle migrazioni. Da tempo l’ateneo collabora con il Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, in particolare con la Sezione migranti e rifugiati. Oltre a realizzare studi e pubblicazioni di altissimo valore scientifico, ha offerto la propria disponibilità a effettuare ricerche e attività al servizio di un “patto globale per le migrazioni”, che il Papa ha proposto e continuamente richiama come una delle grandi sfide del nostro tempo. Un secondo ambito è quello dei cambiamenti climatici, dell’ecologia. Sono le questioni sollevate dall’enciclica Laudato si’ che, a distanza di quasi sei anni, il Papa continua a rilanciare. Peraltro, l’ateneo negli ultimi decenni era già particolarmente attento a questi temi, e sicuramente ha trovato nelle parole del Pontefice e nelle sue sollecitazioni ulteriori spunti per rafforzare la sua azione. Infatti, nella nostra offerta accademica abbiamo un’alta scuola per l’ambiente e corsi di laurea sulla sostenibilità che traducono in percorsi formativi lo spirito e la prospettiva della Laudato sì’. Se vogliamo accennare a un terzo tema di straordinaria importanza, tra le sfide lanciate dal Papa soprattutto ai giovani c’è l’economia. A questo proposito, ricordiamo che il “patto” richiamato ad Assisi reclama una nuova generazione di economisti. Nelle nostre tre facoltà che afferiscono a questa area cerchiamo di formare economisti, gestori di azienda, non solo studiosi, ma operatori capaci di cambiare il corso dell’attuale sistema. Da ultimo — un campo che ci riguarda in maniera specifica — vorrei indicare la necessità di realizzare un patto educativo, perché le nuove generazioni sappiano dare una svolta alla nostra società e al nostro tempo. L’ateneo ha partecipato a tutte le iniziative che la Santa Sede ha promosso in queste diverse aree tematiche, in spirito di servizio e facendosi interprete creativo di tali istanze.

Come avete affrontato in ambito accademico la pandemia da covid-19 e come immaginate il futuro alla luce delle sfide che essa pone?

Come tutti gli istituti accademici e le realtà scolastiche, l’università si è attivata immediatamente per far fronte ai necessari cambiamenti richiesti dalla situazione della pandemia. Mi riferisco in particolare all’utilizzo delle nuove tecnologie al fine di garantire tutte le attività, anche nel perdurare delle modalità “a distanza”. Quindi sono proseguiti la didattica, gli esami, la ricerca e la missione propria dell’istituzione. In questo contesto, abbiamo scoperto delle grandi potenzialità, ma purtroppo abbiamo dovuto prendere atto che le relazioni, il ritrovarsi, cioè l’abitare l’università, costituiscono una dimensione irrinunciabile del nostro lavoro. Certamente occorre affrontare nel migliore dei modi questa situazione presente, ma dobbiamo già pensare a un futuro: a come ripristinare, cioè, quei legami, quella comunità, quel rapporto fecondo che è alla base della formazione culturale e scientifica. In aggiunta a questo, abbiamo anche un impegno “sul campo”. Esistono una facoltà di Medicina e chirurgia a Roma e un ospedale, il Policlinico Agostino Gemelli. Quest’ultimo è stato riconosciuto da una ricerca a livello internazionale il primo ospedale in Italia e uno tra i primi al mondo. E in questo anno di pandemia il Gemelli è stato un nosocomio di frontiera. Ancora oggi ospita circa 300 ricoverati per covid-19, diversi dei quali in terapia intensiva. Per noi è un luogo non solo educativo e formativo ma di vicinanza, di solidarietà con la realtà della sofferenza. Con la ricerca scientifica più avanzata cerchiamo di dare una risposta a tutti i livelli. Per la sua ampiezza e per le sue competenze, in questo momento di pandemia l’università ha saputo offrire un grande contributo sia nel campo dell’innovazione e dei percorsi accademici, sia nella vicinanza ai malati.

Per quale caratteristica vorrebbe fosse conosciuta nel mondo l’Università Cattolica?

La sua peculiarità è avere uno sguardo cattolico, cioè universale, rivolto a tutto il sapere, con un approccio interdisciplinare capace di unire davvero la visione cattolica, che tiene insieme il tutto, con una visione che parte dalla centralità dell’uomo colto nella sua propensione trascendente, alla continua ricerca della verità. Questo è il primo elemento: una prospettiva universale capace di tenere insieme scienza e fede, ragione e attenzione agli aspetti spirituali dell’esistenza. Un secondo elemento è che l’università non è finalizzata alla sola ricerca né alla sola formazione professionale, ma è rivolta al servizio del bene comune della società e della Chiesa, nel solco della fedeltà alla dottrina sociale della Chiesa. Il terzo elemento, infine, ci riporta alle origini, alla convinzione dei fondatori: per fare una grande università bisogna essere santi, cioè avere la duttilità all’azione dello spirito. Da qui la dedica al Sacro Cuore, perché è proprio dal Cuore di Gesù che parte questo progetto. Ancora oggi riteniamo che l’ateneo sia un luogo dove la sapienza inabita e plasma il sapere dei professori e degli studenti. Cogliamo la capacità di essere propositivi e di generare speranza per il nostro tempo.

di Nicola Gori