A cento anni dalla ripresa delle relazioni diplomatiche tra Francia e Santa Sede

Non si può separare la Chiesa dall’anima del popolo

L’attuale sede della nunziatura apostolica a Parigi
19 aprile 2021

Se la prima nunziatura apostolica stabile fu quella di Parigi, dove il nunzio Prospero di Santa Croce svolse la sua missione tra il 1552 e il 1554, in cinque secoli, le relazioni tra Francia e Santa Sede furono interrotte una sola volta, e su un periodo relativamente breve, tra il 29 luglio 1904 e il maggio del 1920, e ancora meno se si considera che dei contatti ufficiosi furono ripresi a partire dal 1912. Si pensi che pure durante la Rivoluzione francese, un internunzio, Louis de Salamon, fu mantenuto a Parigi.

Se il presidente del Consiglio Émile Combes voleva, secondo la sua espressione, «assicurare la supremazia della società laica sull’obbedienza monacale», dopo la unilaterale rottura delle relazioni diplomatiche da parte della Repubblica francese, la prassi giuridica statale mostra che sin dal 1905, non è possibile per uno Stato ignorare il fenomeno religioso organizzato. Infatti, Aristide Briand, relatore del progetto di legge di separazione, precisava: «Con il voto di questo progetto, voi ricondurrete lo Stato ad una più giusta valutazione del suo ruolo e accorderete alla Chiesa ciò che essa ha soltanto il diritto di esigere, cioè la piena libertà di organizzarsi, di vivere, di svilupparsi secondo le sue regole e con i suoi propri mezzi». La stessa legge, per assicurare l’effettiva libertà di coscienza e di culto in favore delle persone ospitate in stabilimenti pubblici come ospizi, ospedali, caserme, carceri, prevede dei servizi di assistenza spirituale che i direttori di quegli stabilimenti possano eventualmente rimunerare. Lo Stato e le collettività pubbliche rimangono proprietari degli edifici del culto anteriori al 1905, ma il legislatore vuole garantirne l’uso esclusivo ai ministri e ai fedeli dei rispettivi culti. Quindi, l’ulteriore giurisprudenza fu condotta a precisare che il ministro legittimo di una comunità è quello mandato dall’autorità interna della sua Chiesa.

Nel 1914, Alexandre Millerand, in seguito presidente del Consiglio dei ministri e quindi presidente della Repubblica, propone al Consiglio dei ministri di riaprire l’ambasciata presso la Santa Sede, ma la sua proposta cade nel nulla. Tuttavia, fin dall’inizio della guerra, Charles Loiseau è scelto come rappresentante ufficioso della Francia presso la Segreteria di Stato e si dedica in particolare alla presidenza della congregazione generale dei Pii Stabilimenti della Francia a Roma e Loreto.

Nel corso della Prima Guerra mondiale, le mentalità cambiano poco a poco. Nel 1916, Aristide Briand, presidente del Consiglio dei ministri, accompagnato da Louis Méjean, direttore dei Culti, incontra a Roma monsignor Mignot, arcivescovo di Albi, poi ha un’udienza con il cardinale Gasparri, segretario di Stato di Papa Benedetto xv .

Il 4 giugno 1918, Stephen Jean Marie Pichon, ministro degli Esteri, scrive all’ambasciatore di Francia presso il Re d’Italia Camille Barrère: «Non è affatto questione di prospettare la ripresa delle relazioni interrotte con la Santa Sede». E il 6 novembre dello stesso anno, Clémenceau, sempre vendicativo nei confronti di Roma, risponde negativamente a un vescovo francese venuto a esplorare la sua eventuale disponibilità a un ripristino delle stesse relazioni diplomatiche.

E tuttavia, le mentalità conoscono una profonda evoluzione, principalmente nell’opinione pubblica: durante i quattro anni di guerra, tutti i soldati — laici, sacerdoti, religiosi, seminaristi — hanno conosciuto le medesime condizioni di esistenza, e le trincee hanno forgiato solide amicizie che uniscono uomini provenienti da ceti molto diversi socialmente, religiosamente e politicamente. Gli antagonismi degli anni 1901-1905 sembrano affievolirsi. A tal punto che, in un dispaccio del 20 dicembre 1918, l’Ambasciatore Camille Barrère a Roma, ex comunardo, si dichiara favorevole alla ripresa delle relazioni diplomatiche.

Nel mese di aprile 1919, Clémenceau nomina i vescovi di Metz e Strasburgo, poiché il Concordato è sempre vigente in Alsazia-Mosella, e Benedetto xv ratifica la scelta fatta dal governo. A maggio, una petizione per la ripresa delle relazioni diplomatiche con la Santa Sede riceve un numero importante di firme. Dal canto suo, la Santa Sede sembra molto ben disposta a cercare un terreno d’intesa con la Repubblica francese. Benedetto xv avrebbe dichiarato al cardinale Amette: «Se mi si tende il dito, aprirò la mano. Se mi si tende la mano, aprirò le braccia».

Una nuova tappa si inaugura il 9 marzo 1920, quando Alexandre Millerand sottopone una richiesta di crediti alla Camera dei deputati, per il ristabilimento dell’ambasciata di Francia presso la Santa Sede. Egli designa Jean Doulcet come incaricato d’affari, con missione di negoziare con il cardinale Gasparri le condizioni del ripristino delle relazioni diplomatiche.

Benedetto xv si spinge oltre e, il 16 maggio 1920, in occasione della canonizzazione di santa Giovanna d’Arco, dichiara che «rimpiange di non essere francese di nascita, ma che lo è di cuore».

Precisamente, in occasione della canonizzazione dell’eroina lorenese, la Francia è rappresentata da Gabriel Hanoteaux, accademico, autore di un libro dedicato alla nuova santa. Entra nella basilica di San Pietro in qualità di ambasciatore straordinario. Il 20 maggio, Hanoteaux è ricevuto in udienza da Benedetto xv , che tocca la questione della ripresa delle relazioni diplomatiche. Il 30 novembre seguente, la Camera dei deputati approva i crediti per la riapertura dell’ambasciata, con 391 voti contro 179.

Il 17 maggio 1921, Charles Jonnart è nominato ambasciatore presso la Santa Sede. Giurista di formazione, il nuovo ambasciatore è nato a Fléchin nel Pas-de-Calais, il 27 dicembre 1857. Sedotto dall’Algeria quando era giovane, fu nominato da Léon Gambetta nel gabinetto del governatore generale dell’Algeria nel 1881 e, nel 1884, direttore del dipartimento dell’Algeria presso il ministero degli Interni. Eletto deputato, interviene spesso sulle questioni concernenti l’Algeria e la sua organizzazione. Nel 1893, fu scelto da Jean Casimir-Perrier per il ministero dei Lavori pubblici. Nel 1900, tornò in Algeria, nominato governatore generale. Contribuì poi all’attuazione della politica francese in Algeria e Marocco, affidata al futuro maresciallo Lyautey. Tornato a Parigi, fu nominato ministro degli Esteri nel governo di Aristide Briand alla vigilia della prima Guerra mondiale. In Algeria, Jonnart ha lasciato una eredità giuridica importante a favore degli algerini, nel senso che è riuscito a instaurare un minimo di garanzie giuridiche, al fine di evitare le condanne affrettate senza previo ricorso a un vero processo; dopo la guerra, ha anche contribuito ad ampliare le libertà degli algerini. Eletto membro dell’Académie des sciences morales et politiques nel 1918 e dell’Académie française nel 1923, Jonnart, giurista noto, fu quindi nominato ambasciatore con l’incarico di riallacciare le relazioni diplomatiche con la Santa Sede, e, concretamente, con la duplice missione di far accettare le leggi laiciste promulgate tra il 1901 e il 1905, e di risolvere la questione della scelta dei vescovi.

Dal ripristino delle relazioni diplomatiche, la Francia trae certi vantaggi, in particolare quello di essere presente nei dibattiti che interessano lo Stato, come ad esempio: il mantenimento della pace e il rispetto dei trattati; la ricomposizione dell’Europa centrale e orientale con la preoccupazione di appoggiare la Polonia; l’avvenire della Renania; la sorte delle capitolazioni dopo la scomparsa dell’Impero ottomano, tenuto conto che il cardinale Gasparri aveva lasciato intendere che la Santa Sede avrebbe riconosciuto soltanto i diritti non contestati dalle potenze mandatarie; il mantenimento del protettorato dei cristiani d’Oriente e di Estremo Oriente, in particolare in Cina dove la Santa Sede aveva avviato delle relazioni diplomatiche; la questione della scelta, tradizionalmente riservata alla Francia, del vescovo di Baghdad; la preservazione e la promozione delle missioni francesi in Africa e in Estremo Oriente; il mantenimento a Parigi e a Lione della Pontificia opera della Propagazione della fede e della Pontificia opera della Santa infanzia, mentre la Santa Sede si proponeva di trasferire le loro risorse alla congregazione di Propaganda Fide.

In breve, con il ristabilimento delle relazioni diplomatiche, la Francia conta che, in tutte queste problematiche, la Santa Sede non si pronunci ufficialmente prima di essere stata informata delle osservazioni, avvisi, o avvertimenti del governo, secondo Louis Méjan, direttore dei Culti presso il ministero degli Interni.

La Santa Sede, ugualmente, è consapevole della posta in gioco. Nel 1918, Benedetto xv desidera avvicinarsi alla Francia. Dopo la fine dell’Impero austroungarico, il ridimensionamento della Spagna, la Francia rimane il solo grande Paese cattolico. Ora, l’avvenire della Chiesa in questo pPaese preoccupa il Papa e il cardinale Gasparri. Per loro, secondo monsignor Bonaventura Cerretti, segretario della Congregazione per gli Affari ecclesiastici straordinari e futuro nunzio a Parigi, lungi dal voler tornare sulla separazione tra Chiesa e Stato, c’è una convinzione: una separazione concertata o regolata porta più vantaggi reciproci, nelle democrazie moderne, sul regime concordatario napoleonico in vigore in Francia fino al 1905. Per il cardinale Gasparri, la Santa Sede intende rivendicare un certo numero di cose:

— la personalità giuridica per la Chiesa di Francia;

— la possibilità di essere proprietaria degli immobili necessari alla sua missione;

— la libertà dell’insegnamento;

— una legge sulle associazioni che consenta a vari enti di svolgere attività come, ad esempio, le opere di carità;

— la presenza a Parigi di un nunzio apostolico appena sarà riaperta l’ambasciata a Roma;

— rifiuto di vedere la Francia sollecitare il permesso dell’Italia per riaprire l’ambasciata;

— un protocollo per le visite presidenziali in Italia, rispettando la sovranità della Santa Sede.

Mentre Benedetto xv nomina monsignor Cerretti nunzio a Parigi, Aristide Briand, ministro degli Esteri, e Philippe Berthelot, segretario generale del ministero, scelgono Charles Jonnart, senatore, come ambasciatore di Francia presso la Santa Sede. Questi, con intelligenza e senza modificare la legge di separazione, doveva proporre una formula permettendo alla Chiesa di Francia di ritrovare una esistenza legale. Il Parlamento aveva creato, nel 1905, le associazioni cultuali, condannate da Pio x perché non rispettavano la struttura gerarchica della Chiesa cattolica. I vescovi francesi erano divisi sulla soluzione delle divergenze. Monsignor Julien di Arras o monsignor Chapon di Nizza erano favorevoli alle cultuali, mentre monsignor de La Villerabel di Rouen e altri erano contrari.

Un progetto di associazioni diocesane fu elaborato a Roma dall’ambasciatore Jonnart, a Parigi da Louis Canet agli Esteri e da Leon Noël al ministero della Giustizia. Il progetto avrebbe consentito a queste associazioni diocesane di godere della personalità legale. Dopo la morte di Benedetto xv , il 22 gennaio 1922, il cardinale Ratti fu eletto e assunse il nome Pio xi . Il nuovo Papa prese il tempo per informarsi della situazione francese e, il 15 marzo 1923, fece sapere all’ambasciatore Jonnart che approvava il progetto di associazioni diocesane.

Grazie alle buone relazioni tra il Papa e l’ambasciatore, parecchie questioni furono risolte:

— il governo francese sarebbe stato informato della nomina dei vescovi per permettergli di presentare eventuali obiezioni;

— le missioni affidate ai missionari francesi sarebbero state sostenute meglio dalla Congregazione di Propaganda Fide;

— i francesi nella Germania occupata sarebbero stati affidati alla cura pastorale di un vescovo francese, monsignor Rémond, nominato ispettore delle truppe di Renania con giurisdizione sui militari, i funzionari civili e sulle scuole francesi in Germania;

— in Marocco, la Santa Sede istituì un vicario apostolico di nazionalità francese per le zone sotto protettorato francese.

Le relazioni diplomatiche riprese diciassette anni dopo la rottura del 1904 dimostrano quanto sia utile e necessario tener conto delle grandi tradizioni religiose e segnatamente della Chiesa cattolica, per comprendere il mondo contemporaneo. Tentativi di relegare le religioni nella sfera privata negano una realtà costitutiva della persona e delle nostre società. In questo senso si esprimeva il compianto cardinale Jean-Louis Tauran quando diceva: «Si può separare la Chiesa dallo Stato, ma non la Chiesa dall’anima del popolo».

di Bernard Ardura
Presidente del Pontificio Comitato di Scienze storiche