A colloquio con padre Adrien Candiard sulle idolatrie del fanatismo

La speranza
è una donna saggia

Padre Adrien Candiard
19 aprile 2021

«Quando la religione è senza Dio» si legge nel titolo dell’ultimo saggio di padre Adrien Candiard tradotto in italiano (Fanatismo! Verona, Emi, 2021, pagine 78, euro 10) che inizia con un episodio emblematico, la storia del droghiere musulmano di Glasgow ucciso per un semplice «Buona Pasqua» postato su Facebook e rivolto ai suoi amici cristiani. Candiard, un domenicano strappato alla politica dalla quella misteriosa gioia «che si sente nel parlare di Dio» sperimentata durante incontri e dibattiti al seguito di Dominique Strauss-Kahn, è noto per lo splendido testo teatrale Pierre e Mohamed dedicato al vescovo di Orano e al suo autista musulmano uccisi nel 1996. Nel saggio, tradotto in italiano da Pier Maria Mazzola, non si accontenta di spiegazioni superficiali, ma scava più a fondo. In attesa di poter vedere in scena anche Le cinquième évangile, che gli è valso il Prix Jacques Hamel, gli abbiamo fatto qualche domanda a partire dagli spunti di riflessione di cui il libro è ricco.

Come continuare a interrogarsi razionalmente su un fenomeno che fa paura senza cedere alla reazione immediata di rifiuto “acritico”?

È proprio questo orrore istintivo a essere utilizzato da quei movimenti che chiamiamo, giustamente, terroristi, e che contano sulle nostre reazioni inconsapevoli per farci agire come hanno previsto. Prendersi il tempo di riflettere in modo razionale, anche davanti all’orrore, è il solo modo di resistere al terrorismo, di disattendere alle sue attese. Ma è evidentemente più esigente!

Il fanatico in realtà è «un ateo che crede in un dio fatto a sua immagine e somiglianza». Il silenzio e la preghiera “autentica” sono dunque le armi migliori per contrastarlo?

In ogni caso sono delle armi importanti per combattere la tentazione del fanatismo in me stesso, il primo ambito dove posso agire con efficacia. Perché il fanatismo non è solamente un rischio per l’altro (e in particolare per i musulmani) ma una tentazione presente nel cuore di ogni uomo. Naturalmente, non si tratta di un programma politico di lotta contro il terrorismo ma mi sembra che a una radicalizzazione violenta non si può opporre un semplice appello alla moderazione. Solo una radicalità autentica, profonda, può combattere la falsa radicalità della violenza. Il cammino di una radicalità vera è la vita spirituale; è la ricerca interiore di Dio che ci trasforma.

Il fanatico è un folle, ma «c’è del metodo in questa follia» diceva Shakespeare.

Penso che non dovremmo vedere tutti i fanatici come degli sciocchi manipolati da cinici. C’è spesso dietro il fanatismo una visione del mondo coerente, complessa, che conviene prendere sul serio se si vuole rispondere in modo efficace.

Fanatismo e culto degli idoli formano un binomio inscindibile.

Il fanatismo è una idolatria, significa rimpiazzare Dio con altre cose, spesso qualcosa che tocca Dio da vicino, come la sua Parola, i suoi comandamenti, la liturgia, la religione... tutte cose che possono essere eccellenti, ma che non sono Dio. L’idolatria è mettere al posto del Dio infinito una cosa finita, parziale, che ci chiude necessariamente nel perimetro dei suoi limiti.

Un’altra provocazione interessante: i demoni sanno tutto di Cristo, noi fedeli “normali” a volte molto meno...

I demoni ci mostrano il fatto che la fede non è solamente un problema di conoscenza della verità: sanno che Dio esiste, come ci ricorda la lettera di san Giacomo. La fede è un’altra cosa: è porre la propria fiducia in Dio, lasciarsi amare da Lui. E, di questo, i demoni non sono capaci. Sta a noi imparare a farlo!

La speranza — di cui parla nel libro «Veilleur, où en est la nuit?», in corso di traduzione in italiano — è una bimba piccola, secondo Péguy.

Malgrado la mia profonda ammirazione per Péguy, non sono molto convinto da quello che dice sulla speranza. Non penso che sia una bambina, cosa che lascia credere che si tratti di un problema di ottimismo, di naïveté. È forse proprio per questo che diffidiamo di lei. La speranza cristiana è, al contrario, una donna anziana che non può più contare sulla sua giovinezza e sulla sua bellezza, perché non ha più illusioni sul mondo, ma ha imparato a fidarsi di Dio solo.

Tra le sue opere, «Pierre e Mohammed» è una sorta di antidoto al fanatismo, la storia di incontro vero tra persone, non tra ideologie.

Da studente domenicano, avevo il desiderio di conoscere la vita e il pensiero di Pierre Claverie, anche lui domenicano, assassinato durante la guerra civile che ha dilaniato l’Algeria negli anni Novanta. Il rischio o la Provvidenza mi hanno offerto la possibilità di uno spettacolo al festival di Avignone, e ho deciso di scrivere un monologo a due voci per farlo conoscere attraverso la sua amicizia con il giovane Mohamed, assassinato con lui. Sapevo che questa storia avrebbe avuto molto da dire al mondo di oggi, ma ero ben lontano dall’immaginare il successo di questo spettacolo, rappresentato oltre duemila volte in Francia, Algeria, Italia e altri Paesi.

di Silvia Guidi