La pandemia rischia di aumentare la povertà e alimentare il radicalismo

L’Indonesia e la sfida
del terrorismo islamico

Agenti indonesiani durante un’operazione antiterrorismo
19 aprile 2021

La piaga del jihadimo è fortemente radicata nel sude-est asiatico. L’Indonesia è il Paese musulmano più popoloso del mondo ed ha dovuto affrontare il radicalismo islamico sin dall’indipendenza, ottenuta dai Paesi Bassi nel 1949. Il fenomeno ha conosciuto un’accelerazione a partire dal 1998, in seguito alla caduta della trentennale autocrazia del presidente Suharto e al ritorno in patria di molti indonesiani che avevano combattuto in Afghanistan contro l’Unione sovietica. Il gruppo terroristico più noto è quello della Jemaah islamiyah (Ji), inizialmente legata ad Al-Quaeda e poi, dal 2014, al sedicente stato islamico (Is).

I sanguinosi attentati di Bali, nel 2002 e nel 2005, portano la firma della Ji ma queste tragedie hanno anche provocato una forte risposta da parte del governo centrale, che ha passato una serie di leggi volte a smantellare le attività delle cellule terroristiche. La repressione non ha portato alla scomparsa della Jemaah islamiyah che, nel 2009, ha organizzato la doppia incursione contro gli hotel JW Marriott e Ritz Carlton di Giacarta. Da allora il movimento sta ricostruendo, pazientemente, la propria base ed i propri contatti in Indonesia anche se sembra aver abbandonato il progetto di perseguire la costruzione di un califfato trans-nazionale in Asia Sudorientale. L’obiettivo degli islamisti è l’Indonesia anche se potrebbero cercare di consolidare le proprie posizioni nelle Filippine meridionali, che potrebbero fungere da base logistica.

La Jemaah islamiyah non è l’unico elemento che minaccia la stabilità dell’Indonesia. Negli ultimi anni la nazione è stata sconvolta da una serie di attacchi mortali. Tra questi ci sono l’attentato terroristico del 2016 contro lo Starbuck Coffee di Giacarta costato la vita a quattro civili, quello contro una stazione degli autobus della capitale che ha provocato la morte di tre poliziotti, l’attentato contro una chiesa nel Kalimantan che ha portato alla morte di una bambina di due anni ed al ferimento di altri bambini. Un altro episodio di violenza ha avuto luogo nel maggio del 2018 quando due famiglie sono state protagoniste di attentati suicidi nelle chiese di Surabaya ed una dozzina di persone ha perso la vita. Nel corso della Domenica delle Palme del 2021 è stato portato a termine un attentato suicida contro la Chiesa del Sacro Cuore di Gesù di Makassar, nelle isole Sulawesi meridionali. L’esplosione, che ha portato alla morte dei due attentatori ed al ferimento di venti persone, ha suscitato una forte condanna da parte della comunità internazionale e ad una proclamazione di solidarietà verso la Chiesa in Indonesia.

Il gruppo terroristico locale denominato Jamaah Ansharut Daulah si è dimostrato particolarmente attivo ed è ritenuto responsabile dell’attentato contro tre chiese di Surabaya del 2018 e di altri episodi terroristici che hanno avuto luogo tra il 2016 ed il 2017. Il gruppo, considerato molto vicino all’Is, è stato designato come organizzazione terroristica dagli Stati Uniti nel 2017, mentre nel 2018 la Corte Distrettuale di Giacarta meridionale ne ha chiesto l’immediato smantellamento ai sensi della legge anti-terrorismo del 2002. La polizia indonesiana ha riferito che almeno uno dei due autori dell’attentato suicida della Cattedrale del Sacro Cuore a Makassar è membro del Jamaah Ansharut Daulah.

L’Indonesia, che in passato è stata lodata dalla comunità internazionale per la sua pronta reazione e risposta ad alcuni attentati terroristici, ha di fronte a sé un compito difficile. La pandemia, oltre ad essere una grave emergenza sanitaria, causa danni ai sistemi economici e può aumentare la povertà e l’alienazione sperimentata dalle fasce più fragili della popolazione. Il governo del Presidente Joko Widodo dovrà evitare che questi sviluppi si traducano in maggiori opportunità di reclutamento per i terroristi e per farlo dovrà agire su un doppio fronte. Il contrasto sul campo ai radicali islamici e l’implementazione di programmi di supporto sociale ed economico nei confronti dei più poveri. L’inclusione e il dialogo possono essere molto efficaci nell’arginare la minaccia terroristica.

di Andrea Walton