Il vescovo di El Paso: da luoghi di conflitto diventino punti d’incontro

Ripensare le frontiere

(Herika Martinez / Afp)
17 aprile 2021

A marzo oltre 170.000 migranti sono stati fermati nel tentativo di attraversare il confine per entrare negli Stati Uniti. Mai così tanti da vent’anni. La maggior parte arriva dall’America centrale: Guatemala, El Salvador, Honduras e Messico. Tra loro ci sono tante famiglie, almeno 53.000 persone, e 20.000 minori non accompagnati, secondo le stime di Washington. Scappano da violenze, povertà e dai sempre più numerosi disastri naturali che stanno colpendo i loro Paesi. Cercano sicurezza, un lavoro, il ricongiungimento con un familiare. «I rifugi sono pieni. È un momento difficile per trovare posto a coloro che arrivano», dichiara a «L’Osservatore Romano» il vescovo di El Paso, Mark Joseph Seitz, sottolineando come Papa Francesco sia stato fondamentale nel riconsiderare cristianamente i migranti. Ogni giorno un centinaio di persone viene accolto dalla diocesi texana: «Le parrocchie, attraverso i volontari, offrono loro assistenza, un pasto, e consentono di contattare la famiglia. Infatti, quasi tutti hanno parenti con cui si accordano per proseguire il viaggio e la Chiesa collabora con altre organizzazioni per assisterli in tale processo».

Il recente aumento della pressione sul confine con il Messico non è insolito in primavera perché i flussi migratori sono ciclici. Perciò la Chiesa si è preparata in anticipo, considerando anche gli effetti dei due uragani, “Eta” e “Iota”, che a novembre hanno colpito l’America centrale, lasciando milioni di persone senza casa e senza lavoro. «Prima i richiedenti asilo venivano semplicemente rimandati indietro, senza troppe domande. Pochissimi sono stati in grado di proseguire la loro strada negli Stati Uniti», spiega monsignor Seitz. Oggi il neoeletto governo federale ha sospeso i Migrant protection protocols, che imponevano a migliaia di persone di attendere oltreconfine la valutazione della domanda di asilo. In quel tempo sospeso sono stati documentati aggressioni, violenze, rapimenti e c’è chi si è affidato ai trafficanti. «Hanno sofferto tanto», dice il vescovo di El Paso, «e molti mi hanno raccontato di aver aspettato quasi due anni per attraversare il confine».

Secondo fonti della diocesi, nei primi quindici giorni di marzo almeno 13.000 giovani hanno cercato di entrare negli Stati Uniti, ma il flusso è in aumento. Da febbraio a marzo è raddoppiato il numero di minori non accompagnati assistiti. «I ragazzi sono presi in custodia dal governo fino a quando non vengono inviati presso le loro famiglie», spiega il presule: «Nel complesso è una pratica ragionevole. Noi vogliamo assicurarci che questi bambini siano protetti e che il posto in cui vogliono andare sia sicuro». Molti scappano da territori privi di opportunità di lavoro e controllati dai narcotrafficcanti. Perciò spesso sono proprio i genitori a sostenere i figli nel viaggio. È «la triste equazione» di cui parla Seitz: i rischi di rimanere sono maggiori rispetto ai pericoli corsi nel tentativo di raggiungere gli Stati Uniti. Altri ancora, invece, cercano di riunirsi con un familiare partito in precedenza. Per tale motivo l’episcopato statunitense ha accolto con gioia la reintroduzione del Central american minors program che facilita il ricongiungimento delle famiglie.

Per aiutare queste persone la diocesi di El Paso collabora con varie organizzazioni di ispirazione cattolica che si occupano di migranti. Tra queste c’è Annunciation House, attiva fin dal 1978. L’ente lavora su marginalità, tutela dei diritti ed educazione. Inoltre gestisce la Casa del Refugiado, un ex magazzino di 11.600 metri quadrati riconvertito in un centro di accoglienza per oltre cinquecento persone. Nella struttura è presente una cappella, la zona pranzo, un’area gioco, l’infermeria, il guardaroba, i servizi igienici e i dormitori. I richiedenti asilo vi stazionano per alcuni giorni, in attesa delle fasi successive alla procedura di accoglienza e integrazione. La Chiesa locale sostiene la struttura economicamente e fornendo i volontari che preparano i pasti, i quali aiutano nei trasporti e nelle traduzioni. «Il mio ruolo — prosegue monsignor Seitz — è comunicare con le nostre parrocchie e con la comunità, per annunciare la Parola di Dio e per organizzare ciò di cui abbiamo bisogno».

Con la nuova amministrazione Biden ogni giorno un numero limitato di migranti viene accolto negli Stati Uniti. «C’è un riparo, del cibo e abiti per ognuno che oltrepassa il confine», assicura il presule. Tuttavia, i respingimenti continuano. Al di là della frontiera, in Messico, sono presenti dei campi profughi, come quello di Matamoros, ma un accordo tra i due Paesi prevede lo sgombero progressivo tramite l’accoglienza e il ricongiungimento familiare oltreconfine. Seitz conclude parlando della grande speranza di creare pace e opportunità nelle nazioni di partenza dei migranti: «Papa Francesco ci ha aiutato molto ricordandoci quanto detto da Gesù: facciamo tutti parte della famiglia di Dio e non esiste confine che possa dividere l’umanità in chi ha diritti e dignità e in chi non li possiede. Dobbiamo ripensare le frontiere che definiscono gli Stati. Sfortunatamente, abbiamo guardato queste come a dei luoghi di conflitto e di opposizione, invece che a punti di incontro e di rispetto grazie a cui beneficiare dell’interscambio. Dobbiamo iniziare a non avere più paura. Consideriamoli spazi di amore, di compassione e di benvenuto».

di Giordano Contu