A settant’anni dalla nascita della Rca italiana e a venti dalla chiusura della sua sede romana

Quando tutte le canzoni portavano a via Tiburtina

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17 aprile 2021

«Sole sul tetto dei palazzi in costruzione / Sole che batte sul campo di pallone / E terra e polvere che tira vento / E poi magari piove…». Questi quattro versi della bellissima canzone di De Gregori, La leva calcistica del ’68 hanno la capacità di evocare memorie collettive e immagini condivise da varie generazioni di italiani nati e vissuti nella seconda metà del secolo scorso. Volteggiando su pochi accordi di pianoforte, sono in grado di chiamare fulmineamente a raccolta nella mente frammenti dei film di De Sica, Rossellini, De Santis, Pasolini, Comencini, Visconti, Monicelli, Risi, con i loro drammatici squarci narrativi in bianco e nero aperti sulla ricostruzione del secondo dopoguerra, sulle fatiche e sulle speranze di quegli anni di ricominciamento. Il brano è il terzo dei nove che compongono Titanic, l’album pubblicato nel 1982 dalla Rca – Radio Corporation of America –, la celebre label d’oltreoceano che nel 1951, poco più di trent’anni prima dell’uscita del disco, aveva preso la cittadinanza italiana, e soprattutto quella romana, anche per assecondare un’esplicita richiesta di Pio xii , l’«angelo con gli occhiali» che spalanca «le ali» in un altro magnifico pezzo del trentatré giri degregoriano. Era stato infatti proprio Papa Pacelli, nel 1949, a sollecitare l’allora vicepresidente della Rca Re-cords, Frank Marion Folsom, ricevuto in udienza privata, a realizzare una fabbrica a Roma nella prospettiva di creare nuovi posti di lavoro in quel difficile periodo (e secondo alcune cronache dell’evento, il Pontefice non si sarebbe peritato di ricordare al dirigente americano il disastro provocato dai bombardamenti statunitensi su San Lorenzo del 19 luglio del ’43). Così, nel settembre del 1951, giusto settant’anni fa, nacque la filiale nostrana della Rca — sebbene inizialmente, per ragioni di natura tecnica, con un nome diverso —, società per azioni partecipata per il 10% dal Vaticano, la sede principale della quale fu inaugurata (e benedetta dal cardinale Eugène Tisserant) nel 1962 al chilometro 12 di via Tiburtina, nelle adiacenze del quartiere San Basilio. Gli stabilimenti furono edificati «su un grande terreno incolto nella grande campagna romana», accanto al «Raccordo Anulare, che era ancora una stradina», raccontò in un libro Ennio Melis, direttore generale della Rca italiana dal 1959 al 1983, e precedentemente collaboratore del Pontefice in Vaticano. Dai fabbricati della periferia nord-est della capitale — in cui trovarono posto sale provini, modernissimi studi di registrazione, gli uffici amministrativi, oltre che un impianto per la produzione dei quarantacinque e trentatré giri — sarebbe uscita buona parte della colonna sonora della vita quotidiana del Paese dei decenni successivi. Una colonna sonora “popolare” fatta soprattutto di canzoni, i «brevi componimenti lirici destinati a essere cantati con accompagnamento musicale» (dizionario Treccani) sul cui valore estetico si sono a lungo interrogati molti intellettuali, da Gramsci ad Adorno, da De Martino a Pasolini, da Mila a Eco (un dibattito ripercorso con grande competenza dal musicologo Jacopo Tomatis nel suo saggio Storia culturale della canzone italiana, pubblicato un paio di anni fa dal Saggiatore). L’elenco degli artisti (“per brevità chiamato artista” era la definizione del cantante nei contratti discografici, come ci ha ricordato ancora De Gregori con il titolo di un suo album) che letteralmente abitarono gli stabilimenti tiburtini della Rca tra l’inizio degli anni Sessanta e l’ultimo scorcio degli Ottanta è lunghissimo, e annovera rappresentanti di tutto l’affollato arco costituzionale dei generi della forma canzone: melodica, urlata, politica, beat, folk, rock, cantautorale, progressive… Da Patty Pravo a Fiorella Mannoia, da Riccardo Del Turco ad Antonello Venditti, da Edoardo Vianello a Rino Gaetano, da Lucio Battisti a Gabriella Ferri, da Lucio Dalla a Enzo Jannacci, da Domenico Modugno a Luigi Tenco, da Maria Carta a Ivano Fossati, dai Ricchi e Poveri agli Alunni del sole… «Il punto strategico della Rca è il bar: tra una registrazione e un provino, tra una tartina e un alcolico, inevitabilmente ci si conosce», ha spiegato Enrico Deregibus nel suo libro Quello che non so, lo so cantare. La fabbrica musicale romana chiuse definitivamente i battenti venti anni fa, nel 2001, dopo che, qualche anno prima, la Rca era diventata proprietà della multinazionale tedesca Bmg. Al suo posto oggi ci sono gli impianti di aziende di import-export di calzature (e quello scorcio di Tiburtina ora si chiama via di Sant’Alessandro). Alcuni vecchi abitanti di San Basilio ricordano che spesso da ragazzini, negli anni Sessanta, s’avventuravano alla volta del “canzonificio”, nei dintorni del quale pare ci fosse una specie di incustodito deposito a cielo aperto di quarantacinque giri invenduti. Ovviamente ne facevano incetta. Poi, con il cuore dentro alle scarpe, correvano più veloci del vento verso casa, ad accendere il giradischi.

di Paolo Mattei