A colloquio con monsignor Frisina sul romanzo di Victor Hugo

Perdonare i miserabili

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17 aprile 2021

Non si può non cercare l’abbraccio del Padre perché — prima o poi — si desidera inevitabilmente il suo perdono. Dopo una vita raminga, dissoluta, la ricerca della risurrezione diviene forte, se non necessaria. Le tenebre — in fondo — non le ama nessuno, mentre il calore della luce, tutti lo desiderano perché riscalda il cuore. Il sepolcro deve essere pur aperto, per tutti. «Nessuno escluso», così ci insegnerebbe epicamente Brecht in qualche sua song. Il popolo di peccatori e Les Misérables, la Quaresima e il romanzo di Victor Hugo: cosa potrebbero avere in comune? Su questo tema, ci fanno riflettere — e non poco — le meditazioni quaresimali che monsignor Marco Frisina, direttore del coro della diocesi di Roma, ha condotto nella chiesa romana di San Gaspare del Bufalo. Grazie alle parole di Frisina, veniamo catapultati nella seconda metà dell’Ottocento: i moti del 1830 e quelli del 1848 hanno fatto il loro effetto su una Francia che riscopriva da una parte gli ideali napoleonici, dall’altra quelli della restaurazione. E, in mezzo a tutto ciò, la povertà: una miseria che dilagava in Europa. «Basterebbe pensare alla Torino di don Bosco, o alla Londra di Dickens» — ci spiega monsignor Frisina — per avere un quadro della situazione. E, in un panorama così complesso, ecco venir fuori la Parigi di Victor Hugo, quella de Les Misérables. Dalle vie parigine di metà Ottocento, si intravedono i poveri: sul fondo, troviamo una scenografia di palazzine e guglie di cattedrali, mentre vicino a noi — posti in proscenio — la fragile realtà umana di corpi, volti di poveri sempre più poveri. Osservando questo scenario, vengono in mente le parole di Papa Paolo vi che — nella sua Populorum progressio — invitava «a spezzare la spirale perversa, per cui i popoli ricchi diventano sempre più ricchi, e quelli poveri sempre più poveri». E purtroppo, immersi nel nostro oggi, sembra davvero che non ci sia nulla di nuovo sotto il sole. Les Misérables, storia di miseria, di peccatori, ma anche di redenzione. E poi vi sono le grandi radici cristiane europee che vivevano ancora forti nel cuore dell’écrivain parisien, anche quando fu lontano dalla Chiesa. «Il vescovo di Digne, Myriel, è un personaggio straordinario. Con il suo perdono nei confronti del povero galeotto Jean Valjean, riesce a incarnare la Misericordia del Padre. Riesce a essere interprete e strumento di una Chiesa attenta ai poveri, vivendo così veramente il Vangelo. Questo vescovo che accoglie in casa il galeotto Valjean, profondamente provato dal bagno penale subìto, è l’interprete di una Chiesa di accoglienza, di perdono». In questo frangente si inserisce l’episodio più toccante dell’intero romanzo. Il povero Jean ruba l’argenteria del vescovo. Scappa, ma viene fermato dai gendarmi per poi essere riportato nella casa di Myriel. Ed è lo stesso vescovo a giustificarlo. Il momento è drammatico, colmo di pathos. Ma soprattutto di charitas. L’atteggiamento del vescovo di Digne richiama così bene il quadro di Rembrandt, quello del figlio prodigo: sembra quasi che le due figure si sovrappongano, divenendo un unicum di misericordia, amore e grazia. Si china, il padre, per accogliere — di nuovo — il figlio. E così fa Myriel: «Con questi candelabri io compro la tua anima e la offro a Dio». Frase scolpita nel cuore del galeotto, ma che può rappresentare bene anche altro: la possibilità di redimersi per ognuno di noi. Il gesto di misericordia del vescovo non è solo perdonare, bensì restituire la dignità ai miserabili. Così farà anche Jean Valjean alla prostituta Fantine del romanzo. In questi personaggi, vive tutta l’umanità che ha bisogno di misericordia e di perdono. Per Frisina la rilettura de Les Misérables diviene «occasione per fare una riflessione sulla vera fede, sulla vera carità perché aprire gli occhi sulla miseria umana non significa solo fare l’elemosina, ma costruire un mondo sulla giustizia di Dio, sulla sua Verità».

di Antonio Tarallo