I cento anni della Biblioteca nazionale centrale di Roma

Il porto più sicuro

 Il porto più sicuro  QUO-087
17 aprile 2021

È dedicato a quella gloriosa istituzione che è la Biblioteca nazionale centrale di Roma il bellissimo volume del direttore Andrea De Pasquale, valente studioso e autore di numerose pubblicazioni dedicate alla storia del libro e delle biblioteche: Il lauro dimezzato. Il primo secolo di vita della Biblioteca nazionale centrale di Roma (Roma, Gangemi Editore, 2021, pagine 367, euro 55).

Il libro, frutto di un’accuratissima ricostruzione storica e documentaria e di una lettura che attraversa in profondità gli eventi, prende l’avvio dal progetto di creare, in coincidenza con la proclamazione di Roma capitale d’Italia, una grande Biblioteca nazionale quale simbolo dell’unità del Paese attraverso la cultura. Il merito dell’iniziativa fu di Ruggero Bonghi, studioso, docente universitario e a quel tempo ministro della Pubblica istruzione che pensò e riuscì a realizzare una biblioteca destinata a raccogliere, accanto a libri antichi, una «copiosa onda di libri moderni», come disse con poetica immagine. Non «un mucchio di carte stampate» ma un insieme organico dove potessero armonicamente convivere passato e presente e darsi luce vicendevolmente i frutti dell’ingegno nazionale e quelli «dell’ingegno forestiero».

Il 14 marzo 1876 veniva ufficialmente inaugurata la Biblioteca Vittorio Emanuele che aveva trovato casa al Collegio Romano, lo splendido palazzo cinquecentesco dei gesuiti a Roma. Da questo momento De Pasquale dipana una storia che segue un andamento cronologico, scandito dalle diverse direzioni che si succedono le une alle altre: da Bonghi (1875-1876) che fu padre della Biblioteca, al commissariamento affidato a Luigi Cremona (1880-1881) incaricato di «ricostituire e riordinare» la Biblioteca dopo un periodo di trascurata gestione; dal celebre studioso e poeta Domenico Gnoli (1881-1909), nominato per chiara fama più che per preparazione specifica, alla prima direzione affidata a una donna, Nella Santovito Vichi (1934-1955) «nota per intelligenza, rigore e fermezza», all’innovativa politica di reperimento di fondi e materiali della letteratura del Novecento voluta da Emidio Cerulli (1968-1973) prima del trasferimento della Nazionale dal cuore della Roma rinascimentale alla moderna e innovativa sede di Castro Pretorio.

La vita della Biblioteca, come appare nelle intense e accurate pagine di questo volume, è innanzitutto storia di uomini, con le loro competenze e il loro impegno, e quindi storia di avventure del pensiero in un intreccio di acquisizioni, donazioni, ampliamenti, ristrutturazioni, migliorie gestionali di cui De Pasquale riesce a dare conto in una prospettiva che non trascura i particolari ma li proietta sempre in una visione più generale. Una biblioteca, infatti, non è solo un luogo fisico che raccoglie un patrimonio prezioso, ma è la traduzione concreta di un modo di conservare e trasmettere il sapere contro ogni pericolo di oblio, è la fiducia in una cultura della conoscenza e dell’incontro contro ogni tentazione di arrogante solitudine perché, come diceva Jorge Luis Borges, «un libro è una relazione, un asse di innumerevoli relazioni». La vita di una Biblioteca è anche storia dei tempi e quindi di luminose primavere o di rigidi inverni, un avvicendarsi di stagioni che segnano dei passi in avanti o degli arretramenti, come suggerisce il suggestivo titolo del volume. Un alloro dimezzato come quella pianta che un tempo era nel cortile della sede storica della Biblioteca e che colpita da un fulmine ne divenne il simbolo: «Provata dagli eventi, ma sempre verde» come spiega De Pasquale nella bella introduzione.

Gli anni del fascismo videro la Nazionale subire le imposizioni e le violenze del regime: l’elenco dei libri proibiti, il personale licenziato perché ebreo o allontanato per motivi politici e Pilo Albertelli, professore comandato alla Biblioteca, ucciso alle Fosse Ardeatine. Torna alla mente quella tristissima pagina de Il Giardino dei Finzi-Contini dove Bassani descrive il protagonista che espulso dalla sala di consultazione della Biblioteca comunale di Ferrara perché ebreo si alza, raccoglie le sue cose dal tavolo e mesto si avvia verso l’uscita, nel silenzio assoluto di tutti i presenti. Mentre allarga il cuore conoscere quel piccolo ma significativo gesto di Resistenza che avvenne alla Nazionale dove, contrariamente agli ordini, non furono rimosse dai cataloghi le schede dei libri degli autori ebrei. Difesa contro la barbarie e approdo dopo la difficile navigazione della vita, così immaginava la civiltà del libro Calvino: «Quale porto può accoglierti più sicuro d’una grande biblioteca?».

In tempo di guerra fu necessario proteggere i libri. Avvolti singolarmente nella carta furono riposti in casse di legno foderate con carta catramata, i vuoti riempiti di trucioli, i coperchi inchiodati e le casse rinforzate da strisce di ferro. I pezzi più preziosi furono inviati al monastero di Santa Scolastica a Subiaco. Successivamente, quando le truppe tedesche si stanziarono presso l’abbazia, furono trasferiti alla Biblioteca vaticana; una decisione tempestiva che significò la loro salvezza. E ancora l’alluvione di Firenze del 1966 che vide gran parte del personale della Biblioteca nazionale impegnato a liberare i libri dal fango, ancora una volta a salvarli.

Con una scrittura di grande eleganza e nitore, un ricco corredo iconografico e un corposo apparato di note, De Pasquale ripercorre il primo secolo di vita di un’istituzione alla quale come direttore si è dedicato e continua a dedicarsi con intelligenza, passione e spirito di servizio assumendo integralmente — e questo volume ne è ulteriore testimonianza — il ruolo di «guida continua e amorosa alla scoperta della cultura», come il raffinato scrittore Antonio Delfini auspicava dovesse essere chi aveva la responsabilità di quei «depositi sacri di civiltà» che sono le biblioteche.

di Francesca Romana de’ Angelis