Guerra del pane in Libano
Il declino della “Svizzera
del Medio oriente”

Il porto di Beirut devastato dalla potente esplosione dell’agosto 2020 (Afp)
16 aprile 2021

Il Libano sempre più in ginocchio. Un giovane di 24 anni è stato ucciso nel nord del Paese, a Tripoli, e altre due persone sono rimaste ferite da spari di arma da fuoco esplosi durante una rissa per l’accaparramento della farina, di olio e di altri beni di prima necessità. Il fatto, avvenuto ieri, giovedì, è solo l’ultimo, drammatico episodio della crisi profonda nella quale il Libano è ormai prigioniero da alcuni anni, e che ha toccato il suo apice con l’enorme esplosione nel porto di Beirut la scorsa estate.

La crisi economica è devastante. L’inflazione è all’80% e, secondo l’Onu, più della metà della popolazione vive ormai sotto la soglia di povertà. Il mercato nero sembra ormai l’unica fonte di sostentamento. La lira locale ha perso il 90% del suo valore. Un dato devastante in un Paese che per decenni ha basato la sua economia di rendita non sulla produzione agricola e industriale (persino l’aglio e la cipolla si importano in Libano) bensì sull'intermediazione bancaria, sull’immobiliare e sul turismo, settori ormai senza prospettive anche a causa delle ripercussioni della pandemia.

La crisi libanese viene da lontano, ben prima del coronavirus. Già nell’autunno del 2019, in corrispondenza di massicce e prolungate proteste popolari, il default finanziario era emerso in tutta la sua gravità. Il cartello delle banche, d’accordo con la Banca centrale, aveva imposto un controllo dei capitali di fatto, impedendo ai correntisti di accedere ai depositi. Nel marzo 2020, quella che era un tempo considerata la “Svizzera del Medio oriente” dichiarava default.

La classe dirigente appariva allora, e purtroppo ancora oggi, in grave difficoltà, incapace di dare risposte immediate ed efficaci ai bisogni della popolazione.