Uso politico della storica contrapposizione tra le polis greche secondo Eva Cantarella

Sparta e Atene
tra mito e realtà

Combattimento di opliti (cratere del V secolo a.C., Museo Archeologico di Atene)
14 aprile 2021

La storia nasce bellicosa. I suoi padri riconosciuti, Erodoto e Tucidide, raccontano le guerre combattute dai greci contro i persiani e poi, conseguita la vittoria, tra di loro per la supremazia sull’Ellade. I conflitti esaltano le differenze, che sembrano capaci di dar ragione delle incomprensioni, delle divergenze e infine del ricorso alle armi. O almeno così pare a molti.

Erodoto descrive i maggiorenti persiani in splendide vesti che si umiliano lavorando nel fango davanti al re dei re, loro sovrano e perciò padrone assoluto, e confronta questo atteggiamento con quello dei liberi greci, che si pretendono tutti uguali per dignità, fino a chiamarsi a Sparta omoioi, i pari. Seguendo l’esempio del predecessore anche Tucidide sottolinea quelle che appaiono come grandi differenze tra spartani e ateniesi, capofila degli schieramenti contrapposti, nel tentativo di spiegare come mai l’intero mondo greco si sia lacerato per un trentennio, dal 431 al 404 avanti Cristo, in un durissimo conflitto fratricida, la guerra del Peloponneso, così chiamata dal nome della regione dove si trova Sparta.

Il titolo di un recente libro di Eva Cantarella, edito da Einaudi, Sparta e Atene, autoritarismo e democrazia (Torino, 2021, pagine 200, euro 15), sembra alludere proprio a queste differenze, riconoscendo le due città quali campioni di due forme di pensiero e di organizzazione sociale ben distanti l’una dall’altra e dunque verosimilmente all’origine dello scontro.

La tesi proposta da Cantarella è però diversa, a riprova del fatto che a volte i titoli sintetizzano in modo eccessivamente brusco il contenuto delle opere. Non sempre ci si combatte tra diversi, sostiene la studiosa, capita più spesso di quanto si creda che a contrapporsi siano realtà simili e che sia il conflitto stesso a indurle a proporsi come radicalmente distinte. Nella guerra del Peloponneso gli spartani si presentano come campioni della libertà, alla quale gli ateniesi contrappongono il valore dell’allargamento della partecipazione al potere politico a tutta la cittadinanza. Ciascuna di queste affermazioni contiene però un’elevata dose di propaganda.

Sparta e Atene, sostiene l’autrice, sono due polis, la traduzione come città-stato rende solo parzialmente la realtà politica e sociologica che caratterizzò la Grecia classica, e già questo le rende simili. Entrambe hanno un consiglio degli anziani, magistrati scelti tra i cittadini e una assemblea che li elegge, oltre a prendere le decisioni più importanti per la comunità. Solo i maschi adulti e liberi partecipano a essa e i criteri di appartenenza alla cittadinanza sono rigidi in tutte e due le póleis. Cantarella evita di affrontare temi propriamente bellici, ma si può aggiungere che l’identità dei cittadini si confonde per entrambe le città-stato con quella oplitica, i diritti politici sono collegati con l’appartenenza alla falange che rappresenta la polis in battaglia, con gli uomini armati nello stesso modo, disposti fianco a fianco, ciascuno protetto dallo scudo rotondo del compagno che gli sta vicino.

Cantarella sottolinea come addirittura la divinità principale delle due città sia la stessa, Atena, la cui statua scolpita da Fidia si trova sull’acropoli di Atene, con lo scudo dorato che riflette i raggi del sole con tale lucentezza da far scorge dal mare il lampeggìo. Alla stessa dea, che in città ha un santuario detto Chalkioikos per il bronzo che ne copre le mura, gli spartani celebrano sacrifici nel momento per loro più significativo, quando l’esercito parte per recarsi in guerra,

Certo le differenze non mancano, e si comprende bene come le necessità di sintesi alle quali un testo dichiaratamente divulgativo deve sottostare abbiano costretto l’autrice a condensare la riflessione, senza affrontare i pur profondi cambiamenti che avvengono nel tempo. Questo si nota in particolare nella valutazione del livello artistico delle produzioni laconiche, che tende a ridursi. Sparta e Atene del vi secolo, quando si combattono le guerre persiane nelle quali si trovano affiancate nella lotta, erano ben diverse da quelle del v , al momento del conflitto che le vede contrapposte.

Tra le differenze proposte dalla stessa tradizione spicca il ruolo delle donne, molto maggiore a Sparta che ad Atene. Aristotele stesso critica gli usi e le libertà propri delle spartane, uniche in Grecia a frequentare i ginnasi e a partecipare a competizioni agonistiche. A loro era addirittura concesso di godere diritti di proprietà immobiliari, pure se con una serie di limitazioni.

Lo spazio limitato e l’intento divulgativo impediscono alla Canterella anche di entrare nel vivo delle questioni poste della guerra, di fornire la propria interpretazione in relazione al confronto tra l’imperialismo ateniese e il sistema egemonico spartano.

Molto interessante l’ultimo capitolo del libro, dedicato all’«uso moderno dei modelli». Alla fin fine la questione è in buona parte quella, ciò che sappiano è quanto viene trasmesso da una tradizione non solo storiografica ma anche decisamente politica che in molte occasioni ha utilizzato l’epica della guerra del Peloponneso per presentare le proprie piattaforme programmatiche. Senza preoccuparsi troppo della concordanza di queste operazioni con le fonti disponibili. Fu il caso di Robespierre, innamorato di Sparta, mentre Voltaire, contro Rousseau, apprezzava Atene.

Negli anni della guerra fredda alcuni esponenti dell’intelligence statunitense riconobbero nell’Urss profonde analogie con Sparta, in seguito il politologo Graham Allison ha proposto l’opposizione del Usa-Sparta minacciato da Cina-Atene. La forza degli studi classici, unita alla capacità analitica e narrativa di Tucidide.

di Sergio Valzania