La rinnovata spiritualità del santuario calabrese della Madonna di Polsi

Quell’incenso
che riavvicina a Dio

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13 aprile 2021

«Nelle pallide notti stellate, quando la luna sembra accompagnare la torma dei fedeli, non pare che tutto sia venuto dall’incanto? I pellegrini passano e guardano sotto di loro i precipizii, senza tremarne, e cantano, cantano, finché non sentono la nostalgia dell’Appennino calabro». Pennellate di un quadro letterario dipinto dalle parole dello scrittore calabrese Corrado Alvaro che nel suo Polsi nell’arte, nella leggenda e nella storia — libro edito nel lontano 1912 — riescono bene a descrivere il santuario della Madonna di Polsi. Un luogo religioso che, da tempo, sta trovando una nuova vita o, meglio, quella sua spiritualità più autentica che «dalle finestre del convento spira». Una vita che non ha nulla a che vedere con i riti sacrileghi di un tempo, dove il profumo d’incenso si mescolava al tanfo di zolfo.

Quanto fosse ben strutturata da tempo immemore la malavita calabrese lo attesta il primo codice della ‘ndrangheta di cui si ha notizia, quello di Nicastro, del 1888. A distanza di centoventi anni, nel 2008, sarà la volta di un altro codice detto “di San Luca”, la località in cui sorge il santuario della Madonna di Polsi: religiosità e ritualità malavitosa si intrecciano. Numerosi sono i riferimenti alla tradizione cattolica: a esempio, il rituale del battesimo per affiliarsi all’organizzazione avviene tramite un giuramento sul nome di Gesù. Tale battesimo è per tutta la vita, così come il sacramento per la vita cristiana. Adesso, quell’incenso che serviva ad altro rispetto all’originaria funzione, vuole tornare — ed è già tornato — a profumare la leggendaria icona della Madonna. E sembra che, finalmente, il Bambino «che Ella sorregge nelle mani, pieno di quella grazia infantile che hanno i putti della Danae del Correggio» (poetica descrizione di Alvaro) sia ritornato a giocare come un tempo.

Trascorrono gli anni, passano i volti, e cammina nuova gente per il santuario di Polsi, a San Luca, piccolo comune che sorge vicino a Reggio Calabria. Il vescovo della diocesi di Locri-Gerace, monsignor Francesco Oliva, ci racconta che nella città «si percepisce la presenza di un popolo devoto a Maria, alla quale consegna le proprie fatiche e speranze, il sudore di una vita piena di stenti e sofferenze, ma anche le ferite dovute alle ingiustizie accumulate nel tempo. Un popolo che paga le efferatezze di una criminalità mafiosa che, oltre a condizionarne lo sviluppo e la crescita sociale, ne ha strumentalizzato la religiosità, appropriandosi della sua simbologia e facendone passare un’immagine distorta». Papa Francesco, durante l’Angelus di domenica 21 marzo, ha denunciato le organizzazioni mafiose come strutture di peccato, contrarie al Vangelo di Cristo, che «scambiano la fede con l’idolatria». In merito alla figura della Madonna era stato altrettanto chiaro nella lettera indirizzata il 15 agosto scorso al frate francescano minore Stefano Cecchin, presidente della Pontificia accademia mariana internazionale, quando aveva dichiarato: «La devozione mariana è un patrimonio religioso-culturale da salvaguardare nella sua originaria purezza». L’istituzione pontificia è stata impegnata, dal 22 al 24 marzo, in un incontro dal titolo assai esplicativo, «La presenza e l’evoluzione delle mafie autoctone e straniere nel nostro paese», a cui hanno partecipato esponenti delle forze dell’ordine, magistrati e prefetti, docenti e rappresentanti del mondo ecclesiastico impegnati nella lotta contro tali organizzazioni malavitose.

Anche il santuario di Polsi sta facendo la sua parte nel progetto di tutelare la figura della Vergine, lottando contro ogni forma di criminalità. Un sacerdote, don Giuseppe Giovinazzo, vicerettore del santuario, il 1° giugno 1989 fu trucidato da oscure mani mafiose: nella Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie è stato ricordato tra le mille e più persone innocenti uccise, nuovi martiri della Chiesa. All’ingresso del santuario, al posto di una vecchia statua della Madonna, posizionata in altro luogo, troviamo un busto marmoreo in sua memoria affinché «il fedele — ci spiega monsignor Oliva — entrando nel recinto sacro possa cogliere un messaggio chiaro: nel santuario non c’è posto per chi persegue la via della criminalità e del malaffare, se non per pregare e cambiare vita. Maria tutela la buona fede dei suoi devoti e non i progetti criminali. Le mafie e la ‘ndrangheta sono infatti l’antievangelo. Non hanno nulla di cristiano, sono una vera e propria forma di religiosità capovolta, di sacralità atea». Non c’è più spazio per questa, a Polsi. Mentre si fa vivo sempre più «un grido che pare toccare le stelle tremanti», che Corrado Alvaro fa scaturire «da tutti i petti»: è il grido «Viva Maria di Polsi!».

di Antonio Tarallo