Nei romanzi di Porter e McNicoll

Attorno al pozzo

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12 aprile 2021

Occorre omologarsi per sopravvivere? Occorre mettersi sotto il moggio per trovare uno spazio nel mondo? Queste grandi domande che attraversano la storia dell’umanità – o almeno quella parte che si sente diversa per natura, razza, condizioni, desideri, sensibilità – ci hanno accompagnato nella lettura di due recenti romanzi, destinati l’uno a un pubblico adulto e l’altro a giovani lettori. In entrambi i casi i protagonisti sono bambini alle prese con la loro differenza. Differenza che il mondo legge come un fardello, un limite, un problema, ma che invece per Lanny e Addie, i due protagonisti, è altro.

Il primo libro, Lanny (Palermo, Sellerio 2021, traduzione di Marco Rossari), è il nuovo romanzo di Max Porter, ex libraio inglese, che ambienta la sua storia in un paese non lontano da Londra, sul limitare del bosco. Qui vive Lanny che attraversa il mondo «portato via da una folata di curiosità», dicendo «cose strane e bellissime, mugugni, cose spiazzanti». Come nelle migliori tradizioni, il bambino vive con una madre che lo accetta e un padre che lo rifiuta, anche se con qualche raro sprazzo di consapevolezza.

Riducendo la trama all’osso, un giorno — dopo che abbiamo imparato un pochino a conoscerlo attraverso varie voci — il bambino scompare. Questo scatena la solita, crudele e pericolosa corsa alla santificazione da un lato, e al sospetto dall’altro; il paese, la stampa e la tv si affiancano alle forze dell’ordine nella ricerca, ma la corsa che procede più spedita è — per acclamazione di popolo — la macabra sfilata di presunti colpevoli da crocifiggere (e, ancora una volta, sono i “diversi” a finire sulla graticola). Ma l’osso nudo della trama mal si attaglia a un romanzo che alterna voci, piani, dimensioni; che gioca con la lingua e i registri narrativi. E così attorno a quell’osso Porter intesse un’originale riflessione sulla caccia al diverso, sui pozzi in cui vengono gettati i “matti”. Gli “originali”.

L’altro romanzo è invece l’opera prima di Elle McNicoll, giovane scrittrice neurodivergente originaria della Scozia che in Una specie di scintilla (Crema, Uovonero 2021, traduzione di Sante Bandirali) racconta la storia di Addie, un’undicenne autistica. Un giorno a scuola — dove ha una vita molto difficile a causa del bullismo di adulti e coetanei — la ragazzina scopre che secoli prima nel suo paesino scozzese molte donne vennero torturate e uccise perché ritenute streghe a causa della loro diversità («“Le hanno uccise perché erano diverse”. “Be’, sì. Mary era un’idiota e Jean era...” “Odio quella parola”. “Be’, al giorno d’oggi diremmo che aveva bisogni speciali”. “Come me. Lei era come me”»).

Pur così diversi tra loro, ci sono elementi interessanti che accomunano i due romanzi. Ad esempio il fatto che i bambini protagonisti si trovino inchiodati a uno sguardo sociale che li disprezza per colpa della distorta mediazione proprio di quegli adulti che dovrebbero tutelarli. Per Lanny, è il padre («Com’è, sempre matto come un cavallo?», gli chiede un giorno il suo capo. «Perché parla di mio figlio a questo modo? — si chiede l’uomo — Da dove ha preso l’idea che Lanny fosse matto? Da me. E perché crede di poter parlare in questo modo della mia famiglia? Per colpa mia»). Per Annie, è la maestra («Le ragazze come quella Emily ti trattano in quel modo perché Miss Murphy glielo permette. Lei lo fa, così pensano di poterlo fare anche loro»).

Ben differenti anche nei finali, entrambi i libri sono declinazioni mai banali della complessità del reale, nella certezza dell’assenza di vie facili. Cercando una risposta alla domanda che Larry rivolge a suo padre («Secondo te che cos’è più paziente, un’idea o una speranza?») o alle tante che scattano nella testa di Addie quando qualcosa le interessa veramente, al lettore resta la consapevolezza di come ogni interrogativo ignorato, dileggiato o non ascoltato sia un passo in più verso un orizzonte cupo e cattivo.

C’è chi da quel pozzo esce, e chi ne resta imprigionato per sempre. Ma c’è, prima ancora, un mondo che in quel pozzo non dovrebbe metterci proprio nessuno.

di Giulia Galeotti