«Italiana» di Giuseppe Catozzella

Storie di brigantesse

Un’immagine dalla mostra «Coccarde rosse. Storie di brigantesse» (2014)
10 aprile 2021

Per chi è bambino in Calabria è facile crescere con fiabe insolite, i cui personaggi sono attinti dal vero e dalla realtà dei luoghi da cui si proviene. Queste storie non hanno a che fare con principi che salvano principesse o con analoghe trame. C’è piuttosto Giuditta — di cui anche le cronache non restituiscono il cognome — che intorno al 1500 decide coraggiosamente di opporsi allo sterminio dei valdesi per mano del regno spagnolo e pertanto, accanto al marito Marco Berardi, combatte il nemico sui boschi dell’altopiano silano. Poi ci sono le altre brigantesse che parimenti, invece dei libri di scuola, popolano la fantasia dei ragazzini che ne hanno sentito parlare dai nonni, secondo quella tradizione orale che ormai sta scomparendo. Maria Buscia e Rosa Mollo, direttamente dal Sud ottocentesco, o Francesca La Gamba, filandiera della Costa Viola che nello stesso secolo si unisce alle bande dopo aver assistito all’uccisione di tutta la famiglia, sono esempi di ribellismo alle storture della Storia e pure a quei ruoli di subalternità entro cui il mondo vuole incasellarle.

La più famosa di queste donne tuttavia resta Maria Oliverio. Mitica nelle narrazioni, viva nei ricordi come nei documenti custoditi negli archivi di Stato italiani, Ciccilla (questo il soprannome) è colei che guida una banda di briganti contro la ferocia dell’esercito regio. All’indomani dell’Unità d’Italia nulla è, infatti, migliorato per chi si trova nelle campagne calabresi e del resto del Meridione. Le promesse del re Vittorio Emanuele ii e di Garibaldi non sono state mantenute e i braccianti continuano a vivere di miseria, senza l’ombra dell’uso civico delle terre, dell’abolizione delle tasse sul sale e sul macinato. «Bisogna cambiare tutto per non cambiare niente» è il motto gattopardesco, e non a caso i contadini vanno avanti secondo le stesse condizioni del passato, quelle imposte dai Borbone del regno delle Due Sicilie. Dunque, a tutto ciò Ciccilla — prima insieme all’uomo che sposa, Pietro Monaco, unitosi alla causa dei Mille ma poi brigante, e in seguito da sola — dice “no”, prendendo parte a una guerra civile combattuta sui monti della Sila, rubando al ricco per dare al povero. In un libro storico e leggendario al contempo, questa vicenda la racconta Giuseppe Catozzella. Con Italiana (Milano, Mondadori, 2021, pagine 324, euro 19), romanzo avvincente ricostruito tramite una molteplicità di fonti, l’autore dà voce alla brigantessa di Casole Bruzio, la quale, in prima persona, narra gli anni della sua infanzia, gli anni in cui al paese è semplicemente Maria, e poi quelli in cui le sue idee (oltre ai suoi ideali traditi) la conducono nella natura selvaggia, dove diventa libera («“Fa come il bosco” aveva detto zia. “Si riprende quello che è suo”»). Così nelle pagine del romanzo, che considera quel tempo che va dal 1848 al 1864, e quindi il Risorgimento, emerge una storia dentro la Storia, ciò che è escluso dalle narrazioni dei vincitori, poiché si sa che non sono i vinti ad avere il primato nel raccontare.

È un romanzo da studiare Italiana — o almeno da cui partire per farlo — per la dovizia di particolari presenti (vengono richiamati poeti, patrioti tra cui Carlo Pisacane, generali come Fumel e Sirtori, le teorie della delinquenza di Lombroso, tanti altri dettagli compresa la descrizione di flora e fauna silana insieme a quella dei dolci della tradizione locale) e poi perché fa sovvenire alla mente del lettore una domanda: è certo che tutte le rivoluzioni siano destinate a fallire? Gli storici risponderebbero positivamente, però da altre prospettive è il contrario.

Se si pensa alla giovane Ciccilla, si pensa anche a tutte le donne che dopo la brigantessa si sono succedute e, in quello stesso territorio, hanno smosso montagne (del resto la Sila, altra protagonista del libro, è femmina e Catozzella, che ricorda Alexandre Dumas alla guida de «L’Indipendente», riesce a instillare il dubbio sul fatto che l’altopiano possa essere la foresta di Sherwood di Robin Hood, redatto dallo scrittore francese nel 1864).

Le donne, si diceva, che la rivoluzione non l’hanno lasciata svilire. La Calabria ha ad esempio dato i natali a Caterina Tufarelli Palumbo, prima donna eletta sindaco in Italia (comune di San Sosti, 1946) o, ancora, a Rita Pisano, la jeune fille de Calabre per Picasso, la quale nel 1949, a soli 22 anni, partecipa al Congresso Mondiale della Pace di Parigi dove denuncia le condizioni dei contadini (a Parigi incontra pure Giuseppe De Santis che la vuole invano attrice in Riso Amaro) e dopo diviene sindaco a Pedace, vicino al villaggio di Ciccilla. Infine (l’elenco sarebbe lunghissimo) c’è Teresa Gullace dall’Aspromonte, simbolo della Resistenza: nel 1944 viene uccisa da un tedesco durante l’occupazione di Roma, ispirando Rossellini per il personaggio di Anna Magnani in Roma città aperta.

Donne dall’«invincibile estate», italiane prima di tutto, che hanno osteggiato pregiudizi e stereotipi e nel farlo, chissà, hanno pensato a Maria Oliverio — la cui fine è avvolta nel mistero come quello che di notte cala tra i larici silani — la capobrigantessa protagonista di un pezzo fondamentale di Storia, e delle fiabe ascoltate davanti all’ardere del focolare.

di Enrica Riera