I suicidi nella fascia di età 15-29 anni

Il grido muto

Un'immagine tratta dalla serie tv «Tredici»
10 aprile 2021

«Non so perché lo faccio». È il biglietto che ha scritto Giulia prima di togliersi la vita. Era giugno 2017. Ad agosto avrebbe compiuto 17 anni. Giulia fa parte dei duecento giovani che, ogni anno, si suicidano. Difficile scandagliarne i motivi. Guardando i casi di cronaca, le cause sembrano essere  soprattutto due:  il fallimento negli studi  e l’essere vittima di vessazioni da parte dei coetanei (bullismo, cyberbullismo, revenge porn). Ma una questione così complessa e articolata non può essere ridotta a fredde statistiche, che non danno conto della sofferenza emotiva che porta a questo gesto estremo. E del dolore devastante di un genitore che ha perso il proprio figlio. Da elaborare come meglio si può.

Rocchina Stoppelli, madre di Giulia, ha fondato l’associazione La Tazza Blu insieme al marito e al figlio, nel 2019 a Torino (www.latazzablu.org). L’associazione promuove attività di prevenzione e post intervento traumatico per aiutare a dare voce ai pensieri suicidari che, a volte, attraversano la mente degli adolescenti. «Credo che Giulia non sia riuscita a trovare le parole per esprimere le emozioni che la tormentavano», spiega Stoppelli. Sì, perché il malessere che scava dentro è tanto pervasivo quanto nascosto. I ragazzi che si tolgono la vita, infatti, sono spesso descritti come “normali”, con una vita piena di interessi, allegri. Solo dopo vengono in mente quei piccoli indizi che permettono di interpretare quel grido muto.

«Una stanchezza perdurante, demotivazione, tristezza, chiusura, insonnia, cambiamenti repentini di carattere, calo del rendimento scolastico, addii o saluti particolari — lettere, testamenti, dono delle proprie cose —, sono tutti segnali a cui dedicare attenzione», spiega Paola Comito, psicologa, esperta in psicoterapia rivolta agli adolescenti. Insieme all’associazione La Tazza Blu organizza incontri nelle scuole e nei luoghi frequentati dai giovani coinvolgendo tutta la comunità educante, dai genitori agli insegnanti. «Il nostro è un intervento duplice: verso i ragazzi, per fare in modo che si esprimano, condividano le loro emozioni, capiscano che si può parlare di tutto, anche di un tema difficile come questo; e verso i genitori e gli insegnanti, per aiutarli a interpretare comportamenti all’apparenza insignificanti o attribuiti al normale processo di crescita». E che queste iniziative funzionano lo dimostra la partecipazione e il coinvolgimento dei ragazzi. Recentemente l’associazione, in collaborazione con il Museo nazionale del cinema di Torino, ha organizzato la proiezione di un film a tema in diretta streaming. «C’erano oltre cento studenti collegati e siamo stati inondati di domande, emozioni, pensieri e riflessioni», racconta Comito. «L’occasione ci ha permesso di far emergere alcune situazioni di grande fragilità».

Ma, attenzione, i messaggi che gli adolescenti mandano non sono sempre negativi. «Anche l’assenza di segnali è un segnale», afferma Comito. «Quando sembra che tutto vada bene, anche dopo un’esperienza traumatica: una bocciatura, la rottura di un fidanzamento, la separazione dei genitori, un lutto, uno sradicamento della famiglia dai luoghi d’origine, senza che ci sia evidenza di una reazione emotiva dobbiamo drizzare le antenne. Dietro all’apparente calma potrebbe infatti nascondersi un dolore soverchiante che non si è in grado di gestire e di esprimere. La convinzione che è inutile parlarne perché nessuno è in grado di capire può diventare dominante. E la soluzione estrema appare l’unica possibilità».

«Che Antonella stesse male non sapevamo nulla», dice Domenico che, insieme alla moglie, ha costituito l’associazione Anto Paninabella OdV (www.paninabella.org), dal nome di un account che la figlia aveva aperto proprio due giorni prima di decidere di lasciare questa vita. Era il 28 novembre 2017 e Antonella aveva solo 13 anni. La ragazzina amava leggere. Di tutto, da Topolino a Zerocalcare, dai fantasy a Sherlock Holmes; amava la musica, da Samuele Bersani a Bach, da De Andrè a Chopin, dalle opere liriche a Caparezza; amava andare a teatro e ai musei. E amava scrivere. Ma questo i genitori l’hanno scoperto dopo. Della sua allegria e delle risate contagiose nei suoi diari non c’è traccia. Negli scritti traspare, invece, un’angoscia profonda, una disperazione di cui nessuno era consapevole. «Quando ho letto i suoi pensieri non credevo ai miei occhi. Anto depressa! Ma come è possibile? Ancora adesso non riesco a individuare un solo segnale di questo malessere. Quello che mi tormenta è il perché non abbia chiesto aiuto». Per questo Domenico e la moglie, a Bari, organizzano tante attività, dai concorsi scolastici ai premi letterari, dal Punto Ti ascolto agli incontri di sensibilizzazione nelle scuole. Lo fanno usando le parole di Antonella: «Non siete i soli a soffrire»; «Andate contro i pregiudizi».

«Parliamo di rispetto reciproco, di attenzione e impegno nello scoprire la bellezza e la ricchezza della diversità. E invitiamo a non avere vergogna del dolore interiore e a prendersi cura di se stessi. Che vuol dire accettare che questo dolore può esistere e che se ne può parlare». Domenico è convinto che non serve a nulla concentrarsi sul perché questi ragazzi decidono di togliersi la vita. «Chiediamoci piuttosto perché non chiedono aiuto. Se Antonella avesse parlato anche solo una volta avremmo potuto aiutarla».

I sensi di colpa. Oltre che con il dolore della perdita, è con questi che bisogna fare i conti. Soprattutto quando si posseggono gli strumenti per interpretare i meccanismi enigmatici della mente umana. Andreana Bassanetti è una psicoterapeuta specializzata in psicologia clinica, di Parma. Ha studiato a Ginevra e a New York. In 35 anni ha avuto in terapia centinaia di ragazzi con disagio psichico, anoressiche e tossicodipendenti. Ma tutto questo non le è servito per salvare la figlia Camilla, che si è tolta la vita a 21 anni, il 27 giugno 1991. «Sono stata colpita a morte in pieno petto. Ero sottoterra insieme a lei», racconta. «Le ho pensate tutte. Se Camilla avesse avuto più fratelli invece che uno solo; se non mi fossi separata; se addirittura non fosse il mio lavoro la causa del suo disagio. Mi dilaniavo. Niente mi dava sollievo, né la consolazione delle persone che mi circondavano, né la psicologia, che non mi dava risposte, né tantomeno la fede, che non mi apparteneva. Ho cominciato a graffiare i muri di casa con una spazzola di ferro. Non finivo mai, volevo distruggermi. Poi, per quindici giorni non mi sono più alzata dal letto. Un giorno, su ordine del medico sono uscita e, vagando senza meta, mi sono imbattuta in una chiesa che in seguito seppi dedicata allo Spirito Santo. Sulla porta c’era scritto Venite in disparte. Allora non sapevo che questa frase è nel vangelo di Marco che racconta di quando Gesù si rivolge agli apostoli dicendo: “Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’”. Rimasi fulminata. Sembrava scritta per me. Avvertii che stava succedendo qualcosa di grande e di unico. All’improvviso non mi sentivo più stanca».

In quel momento, Andreana comincia un cammino di fede. Abbandona l’idea iniziale di aprire un centro per il disagio giovanile e decide di seguire il progetto a cui si sentiva chiamata: essere accanto alle famiglie che avevano vissuto la sua stessa dolorosa esperienza, la morte di un figlio o di una persona cara. Nasce così la Comunità Figli in cielo, che ora conta decine di migliaia di aderenti ed è presente, oltre che in Italia, in molti Paesi del mondo (www.figlincielo.it). Che cosa fa quando qualcuno si rivolge a lei? «Ascolto. Un ascolto profondo, cuore a cuore. Non perdo un respiro, una pausa di quanto mi dicono. Non do consigli. Aspetto che sia l’altro a dirmi di cosa ha bisogno. L’ascolto è già terapeutico. Ma di fronte alla morte serve una risposta di vita. L’incontro con Dio permette di riempire il vuoto e illumina la strada da percorrere. Non ci si sente più soli e disperati. Si tratta di una vera e propria rinascita». Ma a chi non ha fede cosa dice? «Non sprecare una sofferenza così grande, apriti al mistero che la morte porta con sé. Cerca la verità e la Verità ti verrà incontro». (marina piccone)