Nell’anniversario della morte di Dietrich Bonhoeffer

Lettera ad Eberhard Bethge
(21 luglio 1944)

Dietrich Bonhoeffer insieme a Eberhard Bethge (1938)
09 aprile 2021

C aro E berhard,

oggi voglio inviarti solo questo breve saluto. Penso che col pensiero tu vorrai essere tanto spesso e tanto intensamente qui con noi, da essere felice di ogni segno di vita, anche se per una volta il dialogo teologico tace. In effetti, le riflessioni teologiche mi impegnano incessantemente, ma arrivano anche momenti in cui mi faccio bastare i processi irriflessi della vita e della fede. Allora si trae gioia molto semplicemente dalle letture del giorno, così come per esempio a me è accaduto in modo particolare per quelle di ieri e di oggi, e si torna ai bei Lieder di Paul Gerhardt, contenti di tale ricchezza.

Negli ultimi anni ho imparato a conoscere e a comprendere sempre più la profondità dell’essere-aldiquà (Diesseitigkeit) del cristianesimo; il cristiano non è un homo religiosus, ma un uomo semplicemente, così come Gesù — a differenza certo di Giovanni Battista — era uomo. Intendo non il piatto e banale essere-aldiquà degli illuminati, degli indaffarati, degli indolenti o dei lascivi, ma il profondo essere-aldiquà che è pieno di disciplina e nel quale è sempre presente la conoscenza della morte e della risurrezione. Io credo che Lutero sia vissuto in siffatto essere-aldiquà.

Mi ricordo di un colloquio che ho avuto 13 anni fa in America con un giovane pastore francese. C’eravamo posti molto semplicemente la domanda di che cosa volessimo effettivamente fare della nostra vita. Egli disse: vorrei diventare un santo (— e credo possibile che lo sia diventato —); la cosa a quel tempo mi fece una forte impressione. Tuttavia lo contrastai, e risposi press’a poco: io vorrei imparare a credere. Per molto tempo non ho capito la profondità di questa contrapposizione. Pensavo di poter imparare a credere tentando di condurre io stesso qualcosa di simile ad una vita santa. Come conclusione di questa strada scrissi Nachfolge (Sequela). Oggi vedo chiaramente i pericoli di questo libro, che sottoscrivo come un tempo.

Più tardi ho appreso, e continuo ad apprenderlo anche ora, che si impara a credere solo nel pieno essere-aldiquà della vita. Quando si è completamente rinunciato a fare qualcosa di noi stessi — un santo, un peccatore pentito o un uomo di Chiesa (una cosiddetta figura sacerdotale), un giusto o un ingiusto, un malato o un sano —, e questo io chiamo essere-aldiquà, cioè vivere nella pienezza degli impegni, dei problemi, dei successi e degli insuccessi, delle esperienze, delle perplessità — allora ci si getta completamente nelle braccia di Dio, allora non si prendono più sul serio le proprie sofferenze, ma le sofferenze di Dio nel mondo, allora si veglia con Cristo nel Getsemani, e, io credo, questa è fede, questa è μετάνοια, e così si diventa uomini, si diventa cristiani (cfr. Geremia 45). Perché dovremmo diventare spavaldi per i successi, o perdere la testa per gli insuccessi, quando nell’aldiquà della vita partecipiamo alla sofferenza di Dio? Tu capisci che cosa intendo dire, anche se lo dico così in poche parole. Sono riconoscente di aver avuto la possibilità di capire questo, e so che l’ho potuto capire solo percorrendo la strada che a suo tempo ho imboccato. Per questo penso con riconoscenza e in pace alle cose passate e a quelle presenti.

Forse ti meraviglierai di una lettera così personale. Ma desiderando io infine dire qualcosa del genere, a chi altri avrei dovuto dirlo? Forse verrà il momento in cui potrò parlare in questo modo anche a Maria; lo spero molto. Ma ora non posso pretendere una cosa simile da lei.

Dio ci guidi con benevolenza attraverso questi tempi; ma soprattutto ci guidi a lui.

Mi ha fatto grandissimo piacere il biglietto che mi hai inviato, e sono contento che non abbiate troppo caldo. Da parte mia ci sono ancora molte lettere che dovrebbero arrivarti. Nel 1936 non abbiamo percorso forse press’a poco questo tratto di strada?

Sta’ bene, cura la salute, e non lasciar cadere la speranza che presto ci rivedremo tutti.

Con fedeltà e gratitudine ti pensa sempre

il tuo Dietrich