Hic sunt leones

Diritto alla terra

A workman stands in front of an excavator that is clearing land for a palm oil plantation in Malen ...
09 aprile 2021

L’Africa e il land grabbing


Uno dei fenomeni che oggi penalizzano fortemente il continente africano è il land grabbing. Si tratta dell’accaparramento di enormi appezzamenti di terre da parte di imprese transnazionali, governi stranieri, o singoli soggetti privati. Cresciute in modo direttamente proporzionale e speculare al boom dei mercati delle cosiddette commodity, quelli delle materie prime, del petrolio, delle terre rare e delle derrate alimentari, le operazioni di land grabbing hanno penalizzato in questi anni fortemente le popolazioni autoctone, comportando l’allontanamento forzato di decine di migliaia di famiglie dalle loro colture tradizionali. Si è creato così un modello di sviluppo negativo che ha spinto milioni di persone verso l’emigrazione. A tutto ciò, ovviamente, hanno contribuito non poco certe élite corrotte di alcuni Paesi coinvolti.

Da rilevare che l’accaparramento delle terre in Africa ha subito una brusca accelerazione dopo il 2000, quasi in coincidenza — paradossalmente è il caso di dirlo — con l’approvazione di una serie di iniziative per contrastare il debito dei Paesi in via di sviluppo (Pvs), molti dei quali africani, come il progetto Highly Indebted Poor Countries (Hipc) e la Multilateral Debt Relief Initiative (Mdri). Queste azioni suscitarono grande euforia perché consentirono a molti governi africani di riprendere fiato, accedendo a prestiti insperati. Nel frattempo però si registrò sulle piazze finanziarie un’impennata delle attività speculative, particolarmente, nell’ambito del land grabbing, con il risultato che, ad esempio, ricerche svolte dalla Banca Mondiale (Bm), a cavallo tra il 2008 e il 2009, su un campione di 463 progetti fondiari, indicavano che essi coprivano, già allora, un territorio di oltre 46 milioni di ettari, in maggioranza nella macro regione Subsahariana.

Sta di fatto che la domanda di terre e risorse naturali è aumentata ulteriormente nell’ultimo decennio, ed è probabile che continui, soprattutto a seguito della grave crisi economica scatenata dalla pandemia di covid-19, generando un fenomeno che in gergo è stato soprannominato «rush for land» vale a dire la «corsa alla terra». Basti pensare che il land grabbing dal 2008 a oggi è cresciuto del 1000%, colpendo le popolazioni più svantaggiate. Sfortunatamente, i processi decisionali su questa materia spesso mancano di trasparenza, il che, insieme a una governance debole e carente, crea comunemente condizioni che hanno un impatto negativo sugli stakeholder locali. D’altronde, è stato ampiamente dimostrato che il land grabbing è andato di pari passo con la crescita delle operazioni speculative nei principali mercati internazionali delle commodity. Con il risultato che si è determinata un’impennata dei contratti che rispondono, da parte degli investitori alla logica della massimizzazione dei profitti.

Com’è noto, gran parte delle operazioni sui mercati delle commodity è fatta soprattutto attraverso l’utilizzo di nuovi strumenti finanziari, come i futures. Essi sono contratti in cui una parte s’impegna a comprare o a vendere una certa quantità di commodity a una specifica data. «Potrebbero essere strumenti di protezione o di garanzia sul rischio di forti cambiamenti di prezzo sui mercati delle commodity», rileva l’economista Paolo Raimondi, precisando che «il problema, però, è che oggi soltanto il 2% di tali contratti si termina con il reale trasferimento di commodity fisiche. In realtà la stragrande maggioranza dei futures sono “commerciati” prima della loro scadenza. Di conseguenza essi hanno attratto operatori finanziari che non sono interessati alle varie commodity ma soltanto al proprio guadagno speculativo. Per superare queste sfide e garantire equità, inclusività e responsabilità, la disponibilità di dati affidabili e aggiornati è fondamentale. A questo proposito è utile segnalare Land Matrix, un’iniziativa di monitoraggio indipendente che promuove la trasparenza e la responsabilità nelle decisioni riguardanti i Paesi a basso e medio reddito mediante l’acquisizione e la condivisione di dati relativi alle offerte di contratti a livello globale, regionale e nazionale.

I dati — parziali — riportati dal portale Land Matrix dimostrano ampiamente che l’Africa detiene il primato per numero di accordi conclusi, programmati o falliti. L’incidenza dell’accaparramento del suolo coltivabile, perciò, è nettamente maggiore nel continente africano rispetto ad altre macro regioni. Da rilevare che le terre accaparrate, in moltissimi casi, sono tutt’altro che abbandonate. Infatti intere popolazioni locali sono costrette alla migrazione, senza una meta precisa e con il trauma di aver perso tutto. Come ha rilevato pertinentemente il giurista Andrea Persichillo, in un articolo pubblicato sul portale Iusinitinere, «L’obiettiva incidenza del land grabbing in Africa, peraltro, non è casuale, considerato l’ampio spettro di aporie che gli ordinamenti africani (soprattutto subsahariani) palesano: scarsa considerazione del fattore “terra”, sistemi di registrazione fondiaria assenti o gravemente deficitari, leggi agrarie nocive o dagli effetti controproducenti nonché, in generale, sistemi giudiziari lenti, farraginosi o inadeguati (anche a livello sovranazionale)». In particolare, un elemento da non sottovalutare, secondo lo studioso, è il ruolo dei sistemi di registrazione fondiaria, spesso del tutto assenti nelle nazioni africane.

È indubbio — come rilevato nel Rapporto 2020 «I padroni della Terra» ideato e redatto dalla Focsiv (Federazione di organismi di volontariato internazionale di ispirazione cristiana) — che di fronte al land grabbing si rilevi sempre più «un’asimmetria di potere, di strumenti di analisi e contrasto del fenomeno e dei suoi impatti sociali, ambientali ed economici da parte della società civile e delle istituzioni soprattutto locali, rispetto alla forza, agli strumenti e alla protezione degli investimenti attribuite dai trattati commerciali ai grandi interessi privati di profitto». Non è comunque possibile, come rileva lo stesso Rapporto Focsiv, «rimanere inattivi di fronte all’impennata del fenomeno», ribadendo l’impegno che la società civile pone sui tavoli istituzionali, europei e multilaterali e che da troppo tempo rimangono inascoltati.

Tra le raccomandazioni evidenziate dalla Focsiv ci sono in particolare: il sostegno alle lotte e ai movimenti sociali; l’applicazione delle linee guida del Comitato per la sicurezza alimentare mondiale (Committee on World Food Security — C fs ) a tutela dei diritti sulla terra; la protezione della biodiversità e difesa dei popoli indigeni; l’introduzione di clausole vincolanti per il diritto alla terra nei trattati commerciali; l’accesso alla giustizia per le comunità locali. Un indirizzo, quello del volontariato Focsiv, che intende esprimere la ferma volontà di essere a fianco delle comunità più povere e vulnerabili e a chi viene espropriato del diritto al cibo e ad una vita dignitosa. Aderendo così all’invito formulato da Papa Francesco a condividere con i movimenti popolari la lotta per i tre diritti umani fondamentali: terra, casa e lavoro.

di Giulio Albanese