La campagna del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale

Cancellare il debito
dei Paesi africani

Baz Ratner/Reuters
09 aprile 2021

Una campagna per la cancellazione del debito ai Paesi africani è stata lanciata nei giorni scorsi dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale (Dssui) e dalla Commissione vaticana Covid-19, in collaborazione con realtà cattoliche locali del continente.

Nel presentare l’iniziativa — nel corso di un webinar svoltosi nel pomeriggio di mercoledì 7 aprile — il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, prefetto del Dssui, ha auspicato «un sistema di verifiche e controlli affinché le risorse liberate a vantaggio del continente, vadano là dove effettivamente c’è bisogno di far crescere e migliorare le condizioni dei popoli e delle persone». Nessun assegno in bianco, dunque, ma l’assunzione di responsabilità reciproche, soprattutto verso quanti maggiormente vivono in situazioni di povertà estrema. Infatti, ha proseguito Turkson, «con meccanismi di controllo adeguati si può assicurare che il denaro condonato venga speso per promuovere sanità e istruzione, per garantire quello sviluppo umano integrale a cui tutti gli uomini e le donne, come spesso ci ricorda Papa Francesco, hanno diritto».

Voluta dai due succitati organismi in collaborazione con Caritas Africa, Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Secam), Conferenza dei gesuiti di Africa e Madagascar (Jcam), Associazione delle donne consacrate di Africa centrale e orientale (Acweca), la campagna «si rivela ancora più urgente a causa» della pandemia in atto, ha detto suor Alessandra Smerilli, nominata di recente sotto-segretario per il settore Fede e sviluppo del Dssui. Essa «parte dall’Africa dove la Chiesa locale ha dato forma a un’istanza diffusa nella società civile», ha proseguito la religiosa ed economista italiana delle Figlie di Maria ausiliatrice, evidenziando che il contributo del Dicastero «è stato, ed è, quello di aiutare» la campagna per la cancellazione «ad acquisire visibilità internazionale, nella speranza che si crei un ampio movimento come nel 2000. In modo che arrivi all’attenzione del g 7 e del g 20, ovvero di chi può incidere sulla questione in modo diretto e concreto».

«È il momento di guardare, giudicare e agire in nome dei poveri e dei più vulnerabili», aveva esordito in apertura monsignor Gabriel Justice Yaw Anokye, arcivescovo di Kumasi (Ghana) e presidente di Caritas Africa. «Nei periodi di difficoltà e crisi, — ha aggiunto — possiamo vedere l’azione di Dio nella solidarietà».

«Non possiamo non agire — gli ha fatto eco il sacerdote nigeriano Henry Terwase Akaabiam, segretario generale del Secam — perché se l’Africa vive nell’indebitamento, tutto il mondo vivrà nell’indebitamento. Se l’Africa va bene, tutto il mondo va bene».

«È vero — ha confermato don Augusto Zampini, segretario aggiunto del Dssui e membro della direzione della Commissione vaticana Covid-19, voluta dal Papa proprio un anno fa — e mentre pensiamo a come combattere e sconfiggere la pandemia dal lato sanitario, dobbiamo tenere a mente ciò che dice Francesco: come usciremo da questa crisi, migliori o peggiori? Perché dobbiamo ricordare che questa crisi non è isolata, ma collegata alle precedenti: la crisi dovuta alla pandemia non ha fatto altro che esacerbare crisi già in essere. Non possiamo allora uscire da questa crisi, che è sanitaria, economica, sociale, politica, culturale, senza alleviare il peso del debito».

«Non è solo una questione tecnica o di mera solidarietà, pure importante — ha incalzato Zampini — ma una questione di giustizia. Di giustizia intergenerazionale, perché non possiamo far pagare tutti gli effetti dei nostri errori ai nostri figli e alle generazioni future, e di giustizia spirituale. E nemmeno possiamo dimenticare il debito ecologico dei “Grandi”, principali responsabili del cambiamento climatico. Il cui peso, però, ricade in gran parte sulle nazioni più povere. Come quelle africane».

«Debito e povertà sono cugini, vanno insieme purtroppo», ha commentato suor Hellen A. Bandiho, segretaria generale di Acweca. «Immaginate il numero di scuole che possono essere costruite ogni anno — ha spiegato la religiosa tanzaniana delle Sisters of Saint Therese of the Child Jesus — o i banchi che possono essere comprati per permettere agli studenti di imparare comodamente invece di stare seduti sotto gli alberi. Immaginate il numero di centri sanitari che possono essere costruiti o migliorati per permettere alle donne di percorrere a piedi meno chilometri per raggiungerli».

«È certamente una questione etica — ha affermato padre Charlie Chilufya, direttore dell’ufficio Giustizia ed ecologia della Jcam — ma non solo: è molto di più. Il punto è che la permanenza della pandemia nelle periferie del globo, per mancanza di mezzi, mette a rischio la salute di tutti». Oggi, il costo delle pendenze accumulate sarebbe sufficiente a vaccinare l’intero continente contro il coronavirus. E tuttavia, ha sottolineato il gesuita dello Zambia, «questa crisi, che è violentissima, sta fornendo anche molte opportunità di collaborazione che non si erano mai viste prima: le persone, come noi oggi, si stanno unendo per trovare una soluzione al fine di promuovere la vita nel mondo».

Da parte sua, Jaime Atienza, dell’ong Oxfam, ha posto l’attenzione sul legame esistente tra tutte le forze che possono concorrere a migliorare le situazioni di crisi. «Siamo in un momento in cui dobbiamo spingere la finanza verso la giustizia sociale», ha detto.

«Tutto è collegato. Per questo — ha proseguito — dobbiamo lavorare e spingere di più per ottenere misure più ampie, una spinta più forte per gli obiettivi di sviluppo sostenibile; e costruire coalizioni, praticare l’esercizio della solidarietà con la società civile, i media e i leader mondiali».

«L’urgenza della cancellazione del debito — ha rimarcato il gesuita Dominic Chai, economista sudcoreano cresciuto in California, che collabora con la Commissione vaticana Covid-19 — ci chiede di lavorare con costanza e di continuare il dialogo tra tutti. Così facendo, sarà possibile aumentare sia la consapevolezza sia l’impegno a un nuovo livello, non solo nel contesto africano ma in qualsiasi regione il peso del debito ingiusto si faccia sentire».

Un concetto, quello dell’universalità dell’azione per la cancellazione del debito ovunque si renda necessario (oltre all’Africa, quindi anche in America latina, Asia e Oceania), ribadito anche dal cardinale Turkson. Come fare nella pratica? Anzitutto partendo dal modello «vedere-giudicare-agire», ha spiegato il porporato. Poi, «attuando azioni di advocacy e pressione in due direzioni: nei dialoghi con le grandi istituzioni finanziarie internazionali e nei rapporti con i governi e i gruppi a livello locale e nazionale per garantire la massima trasparenza delle attività». Perché «la persona, come insegna la dottrina sociale della Chiesa — ha concluso il prefetto del Dssui — ha una dignità che non può essere compromessa: nessuno può essere lasciato indietro a causa dell’ingiustizia. Siamo chiamati a essere custodi dei nostri fratelli: questo è il cuore della nostra solidarietà».