A un mese dal viaggio del Papa in Iraq

Francesco, i figli di Abramo
e i “banditori dell’Apocalisse”

 Francesco, i figli di Abramo e i “banditori dell’Apocalisse”  QUO-079
08 aprile 2021

 

È trascorso appena un mese dal viaggio di Papa Francesco in Iraq, e nei  gesti e e nelle parole di quella visita apostolica, guardati in prospettiva storica, si coglie oggi con più evidenza la filigrana preziosa e gravida di futuro che l’ha attraversata, unendola al tempo che la precede e a quello che verrà.

In quella trasferta di pochi giorni, il vescovo di Roma è andato nella terra di Abramo, nel punto da dove è iniziata la storia della salvezza. Prima ancora, aveva reso omaggio al Grande ayatollah Ali Al-Sistani, guida spirituale dell’islam sciita. Poi ha attraversato da pellegrino penitente le terre ferite dal terrore jihadista, confermando nella fede i fratelli in Cristo.

L’itinerario papale ha costeggiato volutamente l’abisso di male e di perdizione che incombe sul mondo, proprio mentre ripeteva le parole di guarigione e salvezza custodite dal popolo di Dio lungo il cammino della storia. Dopo il viaggio papale in Iraq, come “effetto collaterale”, adesso risalta con più chiarezza persuasiva anche l’intuizione che ha iniziato a prender forma con il Documento di Abu Dhabi sulla fratellanza umana, irrigando poi l’enciclica papale Fratelli tutti. Una intuizione del tempo presente che sprigiona anche singolari riverberi di registro geopolitico, avendo a che fare con le convulsioni che da decenni stravolgono la vita del Medio Oriente, e quindi di tutto il mondo.

È infatti da decenni che ogni disegno volto a scatenare la catastrofe e far spazio all’inferno sulla terra punta a mettere dinamite nella fragile faglia che scorre tra l’islam e la globalizzazione occidentale. Lo hanno fatto, negli ultimi anni, i miliziani del Califfato nero e tutti i gruppi e le sottomarche della galassia jihadista. Lo hanno fatto, prima di loro, con argomenti diversi e toni all’apparenza più garbati, tanti cultori più o meno illustri delle “guerre di civiltà”. Papa Francesco, muovendosi in direzione uguale e contraria, firma il Documento di Abu Dhabi insieme allo Sheikh Ahmad Al-Tayyeb, Grande imam di Al-Azhar, autorità riconosciuta dell’islam sunnita, e dopo poco più di due anni vola fino a Najaf per rendere omaggio all’ayatollah Al-Sistani, tra le figure più seguite dello sciismo. Con questi due gesti, cerca intenzionalmente come compagni di strada proprio dei figli autorevoli dell’Umma di Mohammad per suggerire insieme a tutto il mondo cammini di pace. Proprio il vincolo con i fratelli musulmani, riconosciuto al concilio Vaticano ii e messo nel mirino come “faglia fragile” dai propagandisti del terrore di ogni risma, può diventare punto di prova e riconoscimento di una fratellanza che protegga il mondo dall’Apocalisse. Una fratellanza riconosciuta nel tratto elementare della comune figliolanza che unisce tutti all’unico Padre divino, e che cristiani e musulmani propongono a tutti — atei, agnostici e massoni compresi — come contributo a una convivenza tra diversi che non deflagri in conflitto e terrore.

Nella scommessa espressa nei gesti e nelle parole di Papa Francesco, da Abu Dhabi a Najaf, da Ur dei Caldei a Mosul e Qaraqosh, si può avvertire anche l’intuizione che la vera partita in gioco oggi sul destino del mondo ha a che fare con la matrice ideologica “apocalittica” affiorata in particolare nel cosiddetto Stato islamico (Daesh), colta negli anni della sua massima espansione da diversi analisti, che ha rappresentato un tratto distintivo di Daesh anche rispetto a altri movimenti islamisti contemporanei. Gli adepti al cosiddetto Stato islamico avevano e continuano ad avere  obbiettivi concretissimi di potere: conquistare territori, trafficare armi e petrolio, raccogliere soldi da finanziatori mondiali. Nel far questo — ha scritto l’analista statunitense Graeme Wood —  essi perseguono come intento finale quello di «far manifestare l’Apocalisse», e vivono le loro feroci atrocità e anche le azioni suicide come sacrifici offerti per propiziare l’avvento di una sanguinaria palingenesi. L’urgenza di accelerare la fine del tempo e la venuta del Mahdi — “l’Inviato” di Allah atteso dall’escatologia islamica — hanno rappresentato un asse portante della propaganda di Daesh.

La loro stessa rivista  «Dabiq»  prende il nome della località nel nord della Siria dove secondo le profezie care ai seguaci del Califfato dovrà svolgersi lo scontro finale tra le armate dell’islam e quelle del “nemico”.

Sul terreno del pensiero apocalittico, conviene ricordare che torrenti di lucido delirio sono sgorgati ben lontano dall’islam, anche in ambienti irrigati dalle altre due “religioni del Libro”. Millenarismi e culti nutriti di pensiero apocalittico cristiano, secondo studi convergenti, si rintracciano anche in dottrine politiche che negli ultimi decenni hanno influenzato in maniera non secondaria anche i circoli di potere che ad esempio teorizzavano con toni messianici il “disordine creativo” e le guerre contro “Stati canaglia” e “assi del male” come strumento di ri-configurazione globale e radicale del Medio Oriente.

Nella sua supplica allo Yad Vashem, piena dello sconvolgimento di Dio davanti all’Olocausto, e in altri momenti del suo magistero, Papa Francesco ha accennato più volte al fattore «non umano» in atto nei sacrifici umani imposti in tutto il mondo dalla «terza guerra mondiale a pezzi». Le pulsioni all’auto-dissoluzione di matrice apocalittica, mentre alimentano guerre, corse agli armamenti e la stessa devastazione ambientale sembrano seguire i passi di dottrine gnostiche vecchie e nuove, che da sempre disprezzano la Creazione e il suo ordine come un “male” e un “limite” da superare.

Se oggi la vera partita è tra il mondo e quelli che vogliono accelerare la fine del mondo, essa chiama in causa il livello più intimo della missione della Chiesa. Lontano da ogni esangue irenismo, la via segnata dal Documento di Abu Dhabi e dal viaggio papale in Iraq è solo l’esito di uno sguardo cattolico applicato ai segni dei tempi. Proprio quello sguardo riconosce che il tempo è nelle mani di Dio, e nessuno può “abbreviare” gli anni e i secoli in cui dovrà ancora risuonare nel tempo della storia — che è il tempo della Chiesa — anche l’annuncio della salvezza promessa da Cristo. Nel momento presente, i figli di Abramo — ebrei, cristiani, musulmani —  possono proporre a tutta la famiglia umana la via condivisa di una fratellanza che protegga il mondo dai nuovi banditori dell’Apocalisse, proprio mentre riconosce e confessa che la salvezza non è nelle mani degli uomini. Una comune figliolanza offerta a tutti come via di scampo per uscire insieme dalla spirale dell’auto-annientamento messa in moto dalle agenzie del terrore.

Per questo, allo stato presente delle cose, collaborano oggettivamente ai disegni di quelle agenzie tutte le parole e i gesti volti a umiliare e criminalizzare la moltitudine orante dei credenti che rendono culto a Dio secondo il Corano. Proprio loro, insieme a ebrei e cristiani, possono attestare davanti al mondo la fratellanza che li unisce nel nome di Abramo, padre di tutti i credenti. E solo per questa via si può anche impedire che il tetano jihadista e millenarista contagi nuovi adepti e trovi proprio nelle masse islamiche frustrate altra manovalanza a buon mercato. Come confessava il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer davanti all’imperversare del delirio nazista, «Esiste una sorta di inconscio discernimento che, nell’ora dell’estremo pericolo, conduce chiunque non voglia cadere sotto i colpi dell’Anticristo a cercare rifugio in Cristo».

di Gianni Valente