Attraversare il muro dell’odio per entrare nella pienezza della vita

Un amore senza riserve

Francesco Vanni, «Flagellazione di Cristo» (XVI secolo, particolare)
03 aprile 2021

Il gesto eucaristico e la morte di croce che lo incarna, costituiscono il passaggio che dà la svolta alla storia. La Pasqua che vive Gesù spalanca l’orizzonte del tutto inaudito che rende possibile l’assunzione del peso del tempo, rompe l’automatismo della necessità. La salvezza riguarda il processo di consumazione di quello che il mondo accumula nel suo retroscena. Gesù fa uno spostamento sorprendente: si mette al posto dell’agnello. Supera il rito incarnandolo. Il sacrificio rituale permette al trasgressore di immolare la vittima al posto di se stesso, porta la rappresentazione catartica, ma la croce aderisce senza più scarti alla verità.

Gesù è il giusto che va oltre la giustizia. Si fa carico di tutto il dolore che l’umanità non è in grado di portare. Guarda nella verità e vede. Vedendo patisce e assume tutto quello che vede. Gesù fa un gesto sublime che annienta per quanto è luminoso.

Aderire alla verità senza più veli, permette di assumere il dolore perché apre alla comunione con Dio. Fa sperimentare la faccia più segreta dell’amore: l’infinita misericordia. Non si può assumere il dolore se non dal di dentro i visceri della misericordia. Bisogna pertanto superare il concetto di retribuzione. Il sacrificio della croce non redime il mondo per risarcire Dio. Tutto il peso che sbilancia deve essere pareggiato non per ripagare Dio dell’offesa ricevuta dall’umanità, ma per riportare bellezza dove la misura è stata corrotta e devastata, dove l’azione creatrice è stata usurpata e rovesciata in azione distruttrice. Dio non vuole la morte di croce del figlio, vuole che la bellezza e l’amore trionfino sulla terra. Come recita il Padre Nostro: «Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra». Dio stesso porta il peso del tempo. Amando di un amore senza riserve, continuamente pareggia lo squilibrio, che altrimenti porterebbe alla distruzione.

Gesù incarna e manifesta questo amore infinito, dà volto all’invisibile volto di Dio racchiuso nel mistero dell’amore. Il gesto eucaristico rivela la sublime bellezza dell’amore puro. Nel Levitico sono descritti vari tipi di sacrifici, ma Gesù si ispira al sacrificio di comunione, finalizzato a consolidare l’alleanza, a fare corpo con Dio. Si inserisce nella simbologia della Pasqua ebraica, ma incarna il rito offrendo la propria vita. Si ricollega alla liberazione dall’Egitto, schiavitù materiale, ma allude alla liberazione dal potere della morte, cecità spirituale.

Gesù rompe il tabù del sangue: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza». L’invito di Gesù a bere al calice del vino come fosse il suo sangue non può non avere suscitato inquietudine. Il sangue è la vita. Ingerire il sangue è assolutamente vietato dalla legge mosaica, esorcizza il perverso desiderio di possedere la vita. Il sangue chiama sangue, ma il giusto che offre il proprio sangue interrompe l’automatismo che fa paura. Libera dal tradimento del sangue che include la possibilità di uccidere. Due sono le stirpi, quella che da Abele giunge a Gesù e che scaturisce da Eva, madre di tutti i viventi; quella che da Caino giunge a Giuda e che scaturisce dal serpente. La genealogia che proviene da Abele, costituisce l’anima sempre rivolta verso Dio, aperta, recettiva, contemplativa, femminile. Pacificata nei confronti del sangue perché orientata alla trasmissione della vita. Gesù invita a nutrirsi del suo sangue purificato, materno, che genera vita e che nessuna volontà di morte potrà mai arrestare.

La riconciliazione al sangue implicita al gesto eucaristico porta al centro la relazione femminile al sangue. Il sangue è il nutrimento primario, è connaturato all’amore che si offre e si dona. Gesù non ha paura del sangue perché lo offre. La riconciliazione al sangue chiede di assumere l’odio per riconvertirlo in amore. «Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me» (Giovanni 15, 18).

La vicenda di Giuda, che sottintende il tradimento e l’odio verso la vita, è una necessità inscritta nella storia, costituisce l’epilogo della stirpe vincolata alla schiavitù della morte, ma ugualmente tutelata da Dio perché «chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!». La genealogia di Caino, che raffigura un aspetto umano, ha tutto il diritto di vivere. Non può essere annientata, ma liberata da se stessa attraverso un atto di amore puro, attraverso chi si offre e patisce quel dolore che l’umanità non è in grado di patire. Per entrare nella pienezza di vita che è la risurrezione bisogna attraversare il muro dell’odio nascosto nel cuore dell’umanità. Il vangelo di Giovanni non riporta il gesto eucaristico, tuttavia nei capitoli 13-17, considerati il testamento di Gesù, introduce alla relazione di comunione che unisce il figlio al padre: «Io sono nel Padre e il Padre è in me» (Giovanni 14, 10). Che unisce i discepoli a Gesù: «Io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi» (Giovanni 14, 20). Ci offre la chiave per comprendere il senso spirituale del mistero eucaristico. La nuova alleanza, definita nei sinottici alleanza nel sangue di Gesù, in Giovanni è sancita attraverso il comandamento dell’amore, e nel suo vangelo l’amore è Spirito: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri» (Giovanni 13, 34). Il sangue puro di Gesù purifica attraverso l’amore, attraverso lo Spirito Santo che penetra nello spirito malato dell’umanità. La celebrazione eucaristica diviene memoriale di questa dinamica potente che l’amore di Cristo sempre attiva attraverso lo Spirito Santo perché sopraffazione e violenza continuamente crocifiggono la vita. Giovanni inserisce però la lavanda dei piedi: «Vi ho dato un esempio perché voi facciate come io ho fatto a voi» (Giovanni 13, 15).

La chiave di volta è fare quello che fa Gesù, ma mentre la lavanda dei piedi diviene un gesto possibile, la croce fa arretrare. L’amore passa dalle cose più piccole per condurre con naturalezza verso le grandi, ma si accresce nell’intima comunione con Gesù. «Sapendo queste cose siete beati se le mettete in pratica» (Giovanni 13, 17). La comunione con Gesù rende possibile la comunione con gli altri, assume in quella relazionalità veicolata dallo Spirito Santo che caratterizza la vita trinitaria. Tre persone in una sola perché tutte unite nell’amore. Il fulcro dell’eucaristia è la comunione d’amore che si attiva attraverso l’intima relazione con Cristo. Più è intensamente partecipata, più s’incarna e purifica la storia.

Un cristianesimo incarnato sottintende di incarnare il sacramento, chiede passione d’amore, di stare in tutto quello che passa, di patire il mondo. Se quanto vediamo di oscuro non lo giudichiamo, ma lo accogliamo soffrendolo in noi e lo offriamo, incarniamo il mistero eucaristico. Un cristianesimo incarnato richiede l’annuncio della risurrezione attraverso la nostra vita purificata e trasformata, liberata dal potere della morte perché vivificata dall’intima comunione con Cristo.

di Antonella Lumini