Intervista al vicegerente di Roma l'arcivescovo Gianpiero Palmieri

La «Laudato si’»
nella diocesi del Papa

 La «Laudato si’» nella diocesi del Papa  QUO-076
03 aprile 2021

«Roma città dei ponti, mai dei muri»: con questo appello, il 26 marzo 2019, Papa Francesco salutava i cittadini della sua diocesi durante una visita in Campidoglio nella quale sottolineava, sopra ogni altro aspetto, l'urgenza di una ecologia integrale capace di far rivivere quella cultura dell'accoglienza che ha resto eterna questa città nella sua storia plurimillenaria.

Un appello, quello alla fratellanza universale, che di lì a pochi mesi avrebbe avuto eco nella lettera con la quale i vescovi i tutta la regione esortavano i parroci e i fedeli a superare ogni resistenza nell'accoglienza allo straniero bisognoso. Uno spirito apostolico diocesano che si sarebbe presto rispecchiato nella nuova lettera enciclica Fratelli tutti, autentico compimento di quel profondo spirito sociale che aveva già caratterizzato la Laudato si'.

Come questo luminoso cammino apostolico sia stato accolto dalle parrocchie e dalla comunità cristiane della diocesi di Papa Francesco, lo abbiamo chiesto all'arcivescovo Gianpiero Palmieri chiamato dalla sindaca Virginia Raggi in Campidoglio a benedire la dedicazione della Piccola Protomoteca all'enciclica Laudato si' nel secondo anniversario della visita del Papa.

Eccellenza, due anni fa il Vescovo di Roma visitava i romani invitandoli soprattutto ad essere “artigiani di solidarietà e di fraternità”. Roma è una città complessa, come viene vissuto il messaggio della «Laudato si’»?

Dal punto di vista dell’ecologia integrale, soprattutto pensando a tutte quelle situazioni di marginalità e povertà nei quartieri e nei territori che chiedono la solidarietà e la vicinanza della Chiesa, lo sforzo fatto è stato enorme soprattutto in questi ultimi tempi di emergenza sanitaria. Ecologia integrale significa anche purificare il cuore da tutti quegli atteggiamenti individualistici che invece di aprirci positivamente a Dio, agli altri e al Creato ci fanno rinchiudere nei nostri interessi di comodo. Da questo punto di vista nella diocesi c’è stata una grande svolta da parte dei cittadini di Roma, e in particolare dei cristiani, verso tutte quelle persone che a causa del covid rischiano di rimanere davvero indietro. Diverso è però se parliamo dell’aspetto squisitamente ecologico. Qui c’è ancora molto cammino da fare nella diocesi, soprattutto in termini di formazione e di educazione alla custodia del Creato.

Sempre nel 2019, nella solennità di Pentecoste, i vescovi del Lazio scrivevano una lettera ai parroci e ai fedeli esortandoli ad opporsi con forza ad ogni forma di razzismo vedendo nello straniero bisognoso un dono. Nel 2020 poi la nuova enciclica «Fratelli tutti» che, in continuità con la «Laudato si’», richiama all’urgenza di una fratellanza universale. Come viene vissuto questo messaggio dalle parrocchie romane?

L’invito a superare gli steccati è stato accolto positivamente. Vivevamo un tempo in cui la xenofobia veniva alimentata da una propaganda mediatica che era arrivata a toccare anche i cristiani delle nostre parrocchie. La lettera dei vescovi fu accolta molto bene da larga parte delle parrocchie. Comunque oggi, anche là dove lo stesso testo aveva creato qualche tensione tra i parrocchiani, il covid ha finito per azzerare ogni dubbio facendo emergere una solidarietà che ha riguardato tutti i cittadini, senza lasciare indietro nessuno. Penso alle tante iniziative alimentari, ai fondi che sono stati messi a disposizione per aiutare chi ha perso il lavoro, anche a causa del lavoro nero.

Prima di recitare la splendida preghiera con la quale si conclude l'enciclica «Laudato si’», per benedire questa nuova sala, lei ha voluto ricordare lo spirito di fratellanza innescato dal covid mettendo a fuoco l'idea di un "nuovo inizio" per l'umanità. Cosa dobbiamo sperare al termine di questa pandemia?

Non possiamo immaginare — e ormai nessuno lo crede più — che dopo il covid tutto possa ritornare come era prima. Questo nuovo inizio al quale siamo chiamati non si costruisce semplicemente intorno a dei progetti, bensì intorno al riconoscimento reciproco delle fragilità e delle potenzialità di ciascuno. Questo è quindi davvero un "nuovo inizio" perché mette da parte la competizione, mette parte l'individualismo, e nel quale ci sentiamo veramente "fratelli tutti". È come se la pandemia ci avesse fatto riscoprire questa nostra condizione di fraternità universale. Un'esperienza molto delicata ma per certi aspetti anche bellissima. Dobbiamo impegnarci per non dimenticarla nel suo dolore e per metterla a fondamento di una nuova fratellanza.

di Pierluigi Sassi