Scampia
Dove il futuro
non si arrende al male

Il mito del Mammut, il momento in cui i bambini di Scampia si ritrovano in piazza Giovanni Paolo II: sullo sfondo la scritta «Non arrendetevi al male, mai» (foto di Nicola Della Volpe)
02 aprile 2021

Davide ha sette anni, è nato nel 2014 nella Vela Rossa. Non ha mai visto le file dei tossici davanti ai cancelli dei palazzi, non ha visto i pusher picchiare gli sventurati che imploravano per una dose, non ha subito l’umiliazione di dover chiedere il permesso per rientrare a casa e non ha mai sgomitato tra chi aspettava la pallina di cocaina. Davide non è cresciuto nel supermarket della droga.

Eppure il suo e, quello di tanti figli di Scampia, resta un futuro ad alto rischio, reso ancora più incerto da un virus che sta divorando vite ed opportunità. Il covid colpisce i più fragili nel corpo, nell’anima e nelle tasche. Qui come altrove. Ma Scampia ha una cifra speciale: un’idea di futuro in marcia. Tra mille contraddizioni.

Vuoi l’eccellenza? Vieni a Scampia. Vuoi la fame? Qua ne trovi in eccedenza. Se vuoi conoscere la solidarietà fai un giro al Mammut o tra i ragazzi del centro Hurtado, se vuoi sapere quanto è facile bruciare una vita, gira per le Vele superstiti: ma se vuoi conoscere il riscatto percorri pochi metri e avventurati nella sede della Cafiero e Marotta, la casa editrice che cresce mentre tutte le altre chiudono. Oppure entra nella palestra di Gianni Maddaloni che trasforma in campioni dello sport e della vita ragazzi dal destino che altri giudicavano segnato. Perché Scampia è il tutto e il più. Scampia è il futuro perché custodisce le vite dei nostri ragazzi.

Il quartiere a nord di Napoli è infatti quello che ha l’età media più bassa della città. E questo perché nel rione della 167 (fino a qualche anno fa chiamato così) si partorisce di più, secondo un report del Comune. Questa è l’unica macro area cittadina in cui gli ultra‐sessantacinquenni sono meno dei giovani. Quindi il rione ha una ricchezza enorme, non commerciabile: la gioventù. E del resto la storia del quartiere è recentissima: fino agli anni Settanta era, appunto, una “Scampia”, cioè una terra abbandonata. Poi la zona Nord fu individuata dalla legge 167 come una di quelle dove concentrare gli investimenti di edilizia popolare e l’architetto Franz Di Salvo ci costruì sette fabbricati a forma di vela. Ma il 23 novembre del 1980 la terra tremò e le case furono occupate. Politici e malavitosi si contesero per anni la direzione delle operazioni: senzatetto alla disperata ricerca di alloggio e camorristi si sistemarono in quei fabbricati che sembravano fatti apposta per disegnare infinite vie di fuga. Un enorme serbatoio per la più fruttuosa delle imprese criminali: lo spaccio degli stupefacenti ai più alti livelli manageriali. I soldi accumulati nel giro di pochi anni scatenarono faide, centinaia di morti tante vittime innocenti.

Una di queste si chiamava Antonio Landieri, un ragazzo paraplegico. La vita di Antonio sembrava destinata a sparire nel gorgo dei morti ammazzati, finché suo cugino, Rosario La Rossa, allora quindici anni, decise di capovolgere il destino e scrisse al giornale della città, «Il Mattino», per spiegare chi fosse davvero quel ragazzo ammazzato e cosa significasse vivere e morire a Scampia. La lettera fu pubblicata, poi arrivò un libro, Al di là della Neve, e poi ancora l’acquisto di una casa editrice la Marotta e Cafiero che in queste settimane stampa autori come Stephen King e Daniel Pennac, e l’apertura della libreria Scugnizzeria con i suoi “spacciatori di libri”. Quello di Rosario fu uno dei primi ponti lanciati verso il futuro, ma oggi lui stesso non è sicuro che basti: «Oggi nel parco dove si spacciava ci sono centinaia di bambini, ma non basta. Adesso bisogna sostituirsi alla criminalità. È necessario un hub dove i ragazzi possono trasformare un’idea in un lavoro, altrimenti c’è il rischio che la fame spinga qualcuno a rimpiangere il passato».

La fame, appunto. Sempre dai dati del Comune e dell’Istat emerge che a Scampia il 41% dei residenti appartiene alle fasce più svantaggiate. Il tasso di dispersione scolastica è del 13,4% (media cittadina 5%), il tasso di disoccupazione è del 61,7% (media cittadina 42%), quello di disoccupazione femminile è del 73,4% (media cittadina 49,1%). E questo prima del covid.

Per arginare il disastro le tante associazioni hanno mobilitato le loro reti di solidarietà e qualche giorno fa, il 26 marzo, i più piccoli, l’anima del quartiere, hanno deciso di darsi da fare: hanno messo su un mercatino al parco dei Ciliegi — fa sapere il Comitato territoriale di Scampia — per offrire il ricavato per i pacchi alimentari, così necessari durante pandemia e lockdown.

Spiega Gaetano Di Vaio, rinato come regista e produttore cinematografico dopo aver scontato una condanna per rapina: «C’è gente che campava vendendo qualcosa per strada e adesso non può più nemmeno attrezzare la bancarella. Si sono perse anche le forme più misere di reddito». E la fame mette a rischio innanzitutto i bambini: spesso figli di madri giovanissime e di padri assenti. Contro la frana che rischia di travolgere un futuro possibile si battono insegnanti e associazioni. La Dad, la didattica a distanza, in queste situazioni è un’utopia: in pochi metri quadrati i figli si contendono il telefonino per collegarsi con la scuola. I giga dell’unica scheda disponibile volano via.

Il disagio di studiare a distanza trova il suo specchio in uno dei racconti pubblicati online dal giornalino «Il barrito dei piccoli» edito dall’associazione territoriale Mammut. Scrive Antonio, 8 anni: «Cerco sempre di non arrabbiarmi in video lezione, ma mi arrabbio lo stesso. Il mio corpo si muove da solo». Per tentare di arginare il disagio insegnanti e rappresentanti delle associazioni hanno fatto rete. Il centro Hurtado per due giorni alla settimana, apre ai ragazzini per permettere loro di collegarsi alla scuola e altri due giorni organizza il doposcuola. Ma tornare in classe è diventata la priorità assoluta in un quartiere flagellato dall’evasione scolastica che vede però anche la presenza di scuole d’eccellenza che attirano iscritti da altri quartieri.

Nel quartiere delle contraddizioni è la presenza di una fittissima rete di associazioni a far sembrare lontanissimi gli anni in cui l’unica luce era quella accesa dalle parrocchie, a partire da quella della Risurrezione dove un sacerdote senza paura, padre Vittorio Siciliano fu tra i primi a riunire i ragazzi per insegnare la speranza. Nel 2001 arrivò a Scampia padre Fabrizio Valletti e i gesuiti lanciarono il Centro di formazione culturale e professionale Alberto Hurtado che, fra le mille attività, sostiene e raccoglie al suo interno tre realtà per la formazione alla cultura ed al lavoro nel cuore di Scampia: l’istituto Pontano delle arti e dei mestieri, l’associazione Animazione quartiere Scampia che opera a sostegno della formazione e della crescita culturale delle fasce più povere e la cooperativa sociale La Roccia, che ha creato il marchio: fatto@scampia.

All’oratorio del centro Don Guanella, invece, è da poco tornato don Aniello Manganiello che già negli anni Novanta si batteva per restituire una vita giusta e dignitosa agli ultimi tra gli ultimi e adesso racconta: «A Scampia le associazioni lavorano a tutto campo. Già nel 2004 trovai una vivacità che non ho trovato in altre parti d’Italia e i risultati si vedono. Molto resta da fare. Ma i nostri ragazzi hanno fame di futuro e lo dimostrano».

Infatti all’interno dei fabbricati che tutti chiamano “Case dei puffi” la storica piazza di spaccio è stata sostituita dall’Officina delle culture intitolata a Gelsomina Verde vittima innocente della criminalità, dove abitano quindici diverse associazione che si occupano di mille cose, fino al sostegno per la Dad in un’aula multimediale gestita dall’associazione Resistenza anticamorra. E a breve aprirà una casa famiglia per i bambini da zero a sei anni.

In piazza Giovanni Paolo Secondo si incontra invece, il Mammut, il centro territoriale nato nel 2007 che produce il giornale online «Il barrito dei piccoli». Ma non solo. Spiega Giovanni Zoppoli: «Abbiamo realizzato una mediateca, laboratori di scuola attiva con i bambini e le loro classi, una scuola di italiano per migranti, la ciclo officina, lo sportello di orientamento, l’ambulatorio di medicina omeopatica, il supporto didattico per adolescenti. La sperimentazione su didattica, relazione di cura e partecipazione urbana ha coinvolto oltre 10.000 tra bambini, ragazzi e adulti italiani, migranti e rom».

Scrittura, sport, teatro, informatica, cucina: ogni strumento è buono per cambiare il volto di quella che fu la 167 e che ora è un laboratorio sociale unico al mondo. Ma non basta. Perché una cosa è chiara: se Scampia, con i suoi figli, sarà lasciata alla marginalità, diverrà zavorra. Se aiutata a crescere potrebbe essere la soluzione. Come dice Chiara Ciccarelli, una delle anime del Mammut: «Per i nostri ragazzi abbiamo disegnato un futuro. Adesso è necessario un progetto per dare spessore al sogno. Abbiamo bisogno di organizzare la creatività. E non possiamo farlo da soli».

di Daniela De Crescenzo