Protagonisti del mistero pasquale: Giuda

Massimo Tellan «Il bacio di Giuda»
01 aprile 2021

Dentro di noi

Carlo Maria Martini, «Le tenebre e la luce»


Pubblichiamo uno stralcio del libro di Carlo Maria Martini «Le tenebre e la luce. Il dramma della fede di fronte a Gesù» (Piemme, 2007), in cui si cita anche la famosa predica di don Primo Mazzolari del Giovedì santo del 1958 che riportiamo integralmente nella pagina accanto.

Giuda è un personaggio su cui si è scritto moltissimo: sulla sua psicologia, sulle motivazioni che l’hanno condotto al tradimento. È una figura emblematica e terribile, e non vorremmo mai nemmeno supporre che ci sia in ciascuno di noi qualcosa che richiami i tratti della sua personalità. Tuttavia non possiamo del tutto esimerci da una riflessione in questo senso.

Significativa in proposito la famosa predica del Giovedì santo 1958 di don Primo Mazzolari dal titolo, molto incisivo, Nostro fratello Giuda , che potremmo ridire, parafrasando, «Giuda dentro di noi».

La Passione secondo Giovanni, a differenza dei sinottici, lo ricorda però in maniera brevissima, dedicandogli solo pochi versetti. Mentre Gesù si trova nell’orto, alla figura di Giuda non è dato alcun rilievo speciale, l’evangelista sembra quasi metterlo da parte. Come abbiamo già ricordato, egli approfitta dell’amicizia di Gesù, perché è tra i pochi che conoscono il luogo riservato e vi guida non solo le guardie del tempio, ma un distaccamento di soldati. Compiuto questo gesto scompare, non è più soggetto, il soggetto diviene Gesù: del traditore non si parla più per tutta la Passione. Sappiamo però che il personaggio ha una sua preistoria. Essa inizia con la scelta dei discepoli da parte di Gesù: «“Non ho forse scelto io voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!”, Egli parlava di Giuda, figlio di Simone Iscariota: questi infatti stava per tradirlo, uno dei Dodici» (Giovanni  6, 70). Il traditore viene menzionato di nuovo nell’episodio dell’unzione di Betania, quando critica il gesto di Maria come eccessivo, «perché era ladro» e approfittava della cassa (12, 4-6).

Infine è ricordato ampiamente nel c.13 dove si narra che Gesù si prepara alla Passione sapendo che «il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo». Inoltre si riferisce in maniera velata a Giuda dicendo: «Siete mondi, ma non tutti». E l’evangelista aggiunge: «Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse “Non tutti siete mondi”». Quindi in qualche modo rivela chi è il traditore, o almeno che è qualcuno che sta mangiando con lui, e poi lo fa uscire dal Cenacolo. Quindi Giuda, dopo essere rientrato brevissimamente in scena nel Getsemani, scompare.


L’uomo più solo

Giuseppe Berto, «La gloria»


Pubblichiamo due stralci tratti dal libro di Giuseppe Berto «La gloria» (Mondadori, 1978).

Forse, Rabbi, se la Tua gloria fosse stata raggiunta, mi avresti riscattato dalla colpa d’un tradimento che derivava — si può intendere — da origine e Scrittura. Le cose andarono diversamente, e la parte del traditore senza riscatto toccò a me, ma il modo come arrivai a tradirTi nessuno lo considera, perché Giovanni, che tutto sapeva perché mai si staccò da Te in quegli ultimi giorni, raccontò le cose, ma non tutte onestamente.

Infatti, così comincia il suo racconto dell’ultima cena: «Prima della festa di pasqua, sapendo che era venuto per lui il momento di passare da questo mondo al padre, Gesù, il quale aveva amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine». Io ero uno dei Tuoi, e so che in certo modo fui anch’io e forse più amato fino alla fine, ma Giovanni, che mi odiava, s’affrettò, nel suo racconto, ad escludermi dal Tuo amore: «Durante la cena, quando satana aveva già messo in animo a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo...».

Non è vero. Nel mio animo, fino ad un certo punto della cena, non ci fu tradimento, ma solo la disperata rassegnazione a fare qualsiasi cosa Tu mi avessi comandato di fare. Giovanni lo sapeva bene, e lui conobbe quando, come e perché satana — l’idea del tradimento, il dovere di compierlo — entrò in me. Lo raccontò: doveva farlo. Ma lo fece con tanta confusione che tutti continuarono a credere che Giuda, infamia del genere umano, aveva volontariamente tradito il suo Rabbi, figlio di Dio, Dio.

Io sono la tenebra, Gesù. Ma a Te, che sei la luce, dagli abissi della mia oscurità continuo a chiedere: nella storia della Tua morte, che sarebbe dovuta essere gloria e vittoria sulla morte, io, Giuda, da Te segnato come figlio di perdizione, sono stato semplicemente strumento affinché si adempisse una Scrittura, cioè fosse fatta la misteriosa volontà dell’Eterno? O piuttosto: c’era qualcosa che ci accomunava, qualcosa che, visto come sono andate le cose, non s’è adempiuto, se non nella conclusione minore che siamo morti tutti e due quasi insieme?

Forse, Rabbi, a mete più modeste era destinata la nostra grandezza. Ma una volta deciso che il punto d’arrivo doveva essere la gloria, non fui io a mancare.

*   *   *

Parole di Qohélet: ma sulla terra uomo non c’è capace di fare bene senza far male. Forse l’Eterno aveva disposto anche il contrario, che non ci fosse capacità di far male senza far bene. Ero — lo sarei stato in eterno — l’uomo più solo di tutta l’umanità, figlio di perdizione. In un cortile buio, ormai con poche domande nell’anima, aspettavo di portare a termine il mio dovere d’ignominia.

Tuttavia, nel grande male che mi gravava, sentivo che lui, il Rabbi tradito, era l’Unto, promesso e venuto, ultimo termine della nostra sacra storia, che da Dio cominciava. Per lui sarebbe riemerso da un’impenetrabile profondità di misteri il giorno in cui l’Eterno aveva creato la terra e i cieli, per lui avrebbe ricevuto senso l’aver soffiato in un po’ di polvere della terra un’anima vivente. La ragione e il fine di ciò si sarebbero manifestati — o per sempre annullati — nella sua imminente gloria, che poteva anche essere la fine dei tempi, o il cominciamento di tempi infine purificati da colpe e paure. Terra incenerita o ritorno al giardino in Eden: comunque non più inanità e dolore di vivere, non più angoscia di morte, non più la quantità illimitata di miserie che stagnavano sull’esistenza umana. Tutto risolto, per tutti e per sempre. Io solo dannato e maledetto per ciò, perché ciò divenisse.

Lui lo sapeva che la sua gloria sarebbe stata dovuta anche a quel che io pagavo in ignominia e dannazione eterna.

Le prime parole che disse, dopo che fui uscito dalla sala nell’obbedienza di far presto, furono: «Ora il figlio di Dio è stato glorificato e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, Dio a sua volta lo glorificherà in sé e lo glorificherà subito».

Parole oscure, ma legate al tradimento se non altro per la necessità ch’egli aveva di me, di quello che veniva per ultimo, ch’era sempre tenuto in disparte, che non avrebbe partecipato a tanta glorificazione. Ma, per quanto mi riguardava, era anche possibile che io desiderassi nella sua glorificazione, e non in trenta misteriosi denari, la ricompensa del tradimento.

L’incantamento diventava fede, anche a me cominciavano a dare.


Mistero di un no

Giovanni Papini, «Storia di Cristo»


Pubblichiamo uno stralcio del capitolo «Il mistero di Giuda» contenuto nel libro  «Storia di Cristo» di Giovanni Papini (Vallecchi, 1921).

Due soli esseri al mondo hanno saputo il segreto di Giuda: Cristo e il Traditore. Sessanta generazioni di cristiani vi hanno fantasticato attorno ma l’uomo d’Ishkarioth, benché abbia fatto sulla terra nuvoli di discepoli, rimane caparbiamente indecifrato. È l’unico mistero umano che s’incontri negli Evangeli. Comprendiamo senza fatica la demonialità degli Erodi, il rancore astioso dei Farisei, la stizza vendicativa di Hanan e di Cajafa, la vigliacca mollezza di Pilato. Ma non comprendiamo con eguale evidenza l’abbominio di Giuda. I quattro storici troppo poco ci dicono di lui e delle ragioni che lo persuasero a vendere il suo Re. «Satana — dicono — entrò in lui». Ma queste parole non sono che la definizione del suo delitto. Il male prese possesso del suo cuore: dunque improvvisamente. Prima di quel giorno, forse prima della cena di Betania, Giuda non era nelle mani dell’avversario. Ma perché, ad un tratto, vi precipitò? Perché Satana entrò per l’appunto in lui e in nessuno degli altri?

I Trenta Denari sono una ben minuta somma, specie per un uomo al quale la ricchezza faceva gola. In moneta d’oggi non arriverebbero a cento lire e sia pure che il valore effettivo, o, come dicono gli economisti, il potere d’acquisto fosse, in quel tempo, anche dieci volte maggiore, non ci sembra che mille lire siano un prezzo sufficiente per indurre un uomo, che i suoi compagni ci descrivono avaro, a commettere la più repugnante perfidia che la storia ricordi. S’è detto che Trenta Denari erano il prezzo d’uno schiavo. Ma il testo dell’Esodo dice, invece, che trenta sicli erano il compenso che doveva pagare il padrone d’un bove che avesse cozzato uno schiavo o una schiava. Il caso era troppo diverso perché i dottori del Sinedrio potessero pensare in quel momento all’osservanza scrupolosa d’un precedente. L’indizio più tremendo in favore della tradizione è l’ufficio che Giuda s’era riservato tra i Dodici. Fra di loro c’era un antico esattore, Matteo, al quale, quasi per diritto, sarebbe spettato di tenere i pochi spiccioli necessari alle spese della comunità. In luogo di Matteo vediamo, come depositario di offerte, l’uomo di Ishkarioth. Il semplice maneggio delle monete, anche se d’altri, impesta. Non fa meraviglia che Giovanni dia per ladro Giuda: «Siccome teneva la borsa, portava via quello che ci mettevan dentro». Eppure non si può a meno di pensare che un ingordo d’argento non sarebbe rimasto molto in così povera compagnia. Se avesse voluto campar di furti avrebbe cercato un posto più confacente e fruttifero di quello che aveva accettato. E se avesse avuto necessità di quei miserabili Trenta Denari non se li sarebbe potuti procacciare in altro modo, magari fuggendo colla borsa, senza bisogno di proporre ai sacerdoti la compra di Gesù?

Queste riflessioni di senso comune intorno a un delitto così straordinario hanno portato moltissimi, fin dai primi tempi cristiani, a cercare altri motivi della vendita infame.