Dal cenacolo al sepolcro

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01 aprile 2021

Il Triduo pasquale, che inizia il Giovedì santo e si conclude con l’annuncio della risurrezione al tramonto del sole del Sabato santo, è il tempo più intenso dell’anno liturgico della tradizione antica della Chiesa d’Oriente, tradizione a cui appartiene la Chiesa caldea. La liturgia vuole presentare i momenti più significativi degli ultimi giorni della vita di Gesù Cristo, precisamente dal cenacolo al sepolcro.

Tutte le liturgie, sia dell’Oriente sia dell’Occidente, cercano di creare una immagine nella memoria viva e nei cuori dei fedeli; tutti gli eventi della storia di salvezza, descritti nell’Antico e nel Nuovo Testamento, sono celebrati con simboli e gesti, in modo che i partecipanti possano riflettere e contemplare le meraviglie che il Signore ha fatto per loro. Dopo che il Signore ha trasmesso il suo messaggio salvifico e instaurato il regno di Dio, ha dovuto patire per compiere il mistero della salvezza, perché l’amore si realizza solo nel dare sé stesso per gli altri. Gesù ha compiuto il cammino per dimostrare a noi il suo amore infinito, soffrendo in diversi modi, non solo i dolori corporali e le ferite ma ancor più i dolori spirituali che vengono dall’invidia, dalla gelosia, dai tradimenti...

La tradizione caldea, in lunghi secoli di pratica liturgica, ha presentato ai suoi fedeli la liturgia del Triduo pasquale attraverso queste celebrazioni: la consacrazione degli oli del Miron, del battesimo e degli infermi durante i divini misteri del Giovedì santo; il vespro con la celebrazione dei divini misteri e la lavanda dei piedi; il rito della vigilia con Gesù catturato dai soldati, tradito da Giuda, abbandonato dai discepoli e rinnegato da Pietro nella notte del giovedì; il vespro con il rito di sepoltura e la processione della bara nel Venerdì santo; l’attesa e il silenzio nel sabato fino al tramonto del sole; il vespro con la celebrazione dei divini misteri, il rito battesimale dei catecumeni e l’annuncio della Risurrezione del sabato sera.

Al tramonto del sole del mercoledì, i fedeli si radunano in chiesa e iniziano gli inni del vespro. La Onitha d’raze, o l’inno della celebrazione eucaristica, indica il motivo della celebrazione. I salmi, con le parole della Onitha, propongono i temi essenziali della salvezza compiuta da Dio per gli uomini e la richiesta della Chiesa a Dio affinché protegga i suoi figli. Al tramonto si riprende a pregare il vespro del Venerdì santo, alla stessa maniera del giorno precedente. La Onitha ha un’aggiunta finale in più, che ci spinge a proseguire il cammino che abbiamo iniziato al tramonto del mercoledì, e ci dà il coraggio di compiere, come membri della Chiesa, la via della passione per vedere la risurrezione.

La Onitha d’raze introduce appena il motivo della celebrazione: «Con occhi di gratitudine e amore vogliamo tutti guardare Cristo, Colui che con gli esempi che ci ha lasciati, ha distrutto la passione e la croce, ed è diventato sacrificio vivo sull’altare. I sacerdoti, come gli angeli celebrano la memoria della sua morte e dicono: gloria a lui per il suo dono indicibile!». Durante la lettura del Vangelo, il celebrante, lava i piedi di dodici uomini, bambini o adulti, mentre il coro dei diaconi canta inni che descrivono l’amore e l’umiltà del Maestro e buon Pastore che lava i piedi dei suoi discepoli.

Alla sera del giovedì si prega il notturno, per rispondere all’invito del Signore ai discepoli. «Vigilatevi e pregate per non entrare in tentazione». Vengono recitati i salmi 1-9. I brani degli inni e le lodi richiamano l’immagine del buon Pastore, che da sé stesso per il suo gregge. Il Madrasha che viene cantato con una melodia funebre richiama alla vigilanza e all’immagine del Figlio mandato dal Padre per mostrare il suo amore verso l’umanità, che invece di accoglierlo lo condanna e lo crocifigge.

Al termine si legge il Vangelo secondo Matteo (26, 31-75), dove si raccontano il tradimento di Giuda e la cattura di Gesù da parte dei soldati; mentre il celebrante legge i brani del Vangelo, uno dei diaconi inizia a spegnere le candele accese, simbolo della fuga dei discepoli che lasciano il Maestro solo nelle mani dei capi religiosi. Prima di concludere, sui brani che parlano di Pietro, rimane una candela accesa. Il lettore celebrante, con voce amara, conclude il Vangelo. Diventa buio nella chiesa e si canta la lode: «Gloria a Dio...».

Poi tutti seguono il vescovo fuori della chiesa, dove è posto un tabernacolo con il Santissimo consacrato durante l’ultima celebrazione, simbolo del Signore catturato e messo in prigione in attesa della sua passione nel giorno seguente. I fedeli continuano a essere presenti alternando momenti di preghiera, di silenzio e di adorazione.

Al tramonto del venerdì, le campane della chiesa rintoccano con un suono simile a quello di un funerale. La chiesa è addobbata di nero, una croce posta in mezzo simboleggia il Golgota. All’inizio della preghiera si recita il salmo 22: «Dio mio perché mi hai abbandonato...», poi i salmi del vespro 140-142. Segue l’inno di Lakhu Mara «A te o Signore...», con brani che parlano della passione. Quindi si proclamano le letture tratte dall’Antico e dal Nuovo Testamento. Il Vangelo della passione si legge secondo i quattro evangelisti. Alla fine, il celebrante scioglie il crocifisso dal legno della croce e lo depone nella bara, poi i diaconi cominciano a cantare le suppliche. Successivamente viene intonato il Trisagion (Qaddisha) con metanie (inchini) davanti al simbolo del sepolcro. Con la processione della bara, gli inni dedicati a questo momento sottolineano la discesa di Cristo agli inferi per salvare tutti i giusti, da Adamo fino al momento in cui il Gesù primogenito del Padre con la sua morte ha aperto le porte del regno dei celi.

Il Sabato santo è il giorno del grande silenzio. L’inno della basilica richiama l’immagine di Maria Maddalena in ricerca al corpo del suo Maestro: quella donna che fu dimora del peccato è divenuta dimora del suo amore. E nel secondo brano si parla dei capi religiosi che avevano chiesto a Pilato di mettere le guardie sulla tomba e di sigillarla. Subito dopo l’inno della basilica, inizia la celebrazione dei divini misteri. L’inno Onitha d’raze è probabilmente una celebrazione eucaristica dedicata ai neofiti dopo il loro battesimo. Quando il diacono è pronto per leggere l’Epistola, viene interrotto dal celebrante, per annunciare la risurrezione di Cristo dai morti, cantando tre volte con melodia speciale: «In questa ora Cristo è risorto dai morti». E l’assemblea risponde: Amen.

La liturgia del Triduo pasquale qui descritta è celebrata solo nelle chiese caldee dove ci sono diaconi in grado di leggere i testi nella propria lingua liturgica (il caldeo) e di cantare gli inni secondo la loro propria melodia. In altri luoghi, si sostituiscono gli inni caldei con altri inni o canti in arabo, tratti eventualmente da altri riti come quello maronita o bizantino.

di Rayan Paulos Atto
Rettore della missione caldea a Göteborg in Svezia