Quella sana incoscienza

Colalucci lavora alla «Creazione di Adamo» alla presenza di Fabrizio Mancinelli, in giacca coperto dal restauratore, e seduti da sinistra Walter Persegati, l’arcivescovo Paul Marcinkus, Carlo Pietrangeli e Pasquale Rotondi. Davanti un cameraman del canale televisivo giapponese NTV
31 marzo 2021

Il Laboratorio di restauro dipinti e materiali lignei dei Musei Vaticani, nei suoi quasi cento anni di attività, è stato contrassegnato dalla presenza di figure fondamentali per la storia della conservazione, e Gianluigi Colalucci è una di queste.

Assumendo il ruolo di Capo restauratore nel 1979, ha favorito l’evoluzione del restauro da un’operazione artigianale e individuale verso una disciplina che aveva messo al bando l’empirismo.

In questo momento, però, vorremmo sottolineare l’aspetto del suo contatto diretto e ravvicinato con l’opera d’arte — definito dal professor Paolucci «un corpo a corpo con la pittura» — che lo portò, per esempio, a conoscere di Michelangelo «cose che nessuno immaginava che esistessero», e lui stesso raccontava il dolore che gli causò il distacco dall’opera dopo quattordici anni di rapporto continuo. L’impostazione tecnica e scientifica non possono infatti prescindere da quella che definiva «la percezione fisica dell’opera», che permette a ogni restauratore di capire «la materia bruta che viene poi trasformata in opera d’arte».

La sua calma e razionalità nell’affrontare il grande progetto della Sistina, accompagnata da «una sana incoscienza», la curiosità del restauratore che non sa stare fermo con le mani, nella quotidianità della frequentazione di una pittura, sono l’eredità che ci ha lasciato e che, come componenti di questo Laboratorio, viviamo quotidianamente. Recentemente, durante un sopralluogo in un nostro cantiere, aveva sottolineato l’importanza di non arrendersi, restando sempre attenti al progresso delle nuove tecnologie, ma ricordandoci anche che se lo strumento in mano al restauratore è importante, la mano e la sensibilità di chi lo guida sono fondamentali.

Aveva ribadito l’importanza di essere discreti, non invasivi, per tenersi un passo indietro all’originale, al quale si deve lasciare il compito di sostenere tutto il complesso decorativo.

Questo rapporto e passione per il patrimonio aveva portato Biagetti, nel maggio 1922, a invocare «la costituzione di un laboratorio di restauro per le pitture dei sacri palazzi». Il rispetto e la coscienza dei propri limiti e mezzi spinse Biagetti a non affrontare la pulitura della Sistina, e così Colalucci a sospendere interventi in altri cantieri problematici in attesa di un’evoluzione delle metodologie, ma anche ad affrontarne altri con la serenità del grande professionista che sapeva “dove mettere le mani”.

In questi giorni studiavamo alcuni suoi diari nei quali annotava dettagli e osservazioni con minuzia, arte, ironia e attenzione.

La foto che lo ritrae mentre pulisce le mani della Creazione di Adamo — sotto gli occhi di Marcinkus, Pietrangeli, Mancinelli, Rotondi e Persegati — riflette il professionista che ha saputo affrontare le difficoltà con la maestria e la coscienza delle proprie capacità.

di Francesca Persegati