L’incidente della Ever Given

Suez, il mercato
globale è nudo

La Ever Given torna a galleggiare (Suez Canal Authority /Afp)
30 marzo 2021

La Ever Given, il gigante del trasporto marittimo commerciale, sussultava da giorni al ritmo delle maree e delle spinte dei rimorchiatori arrivati da mezzo mondo a cercare di sbloccare Suez, trachea del mercato globale ostruita da un boccone da 220.000 tonnellate finito di traverso, da sponda a sponda.

L’onda di marea di lunedì, alla fine, ha sollevato il cargo incagliato dalla morsa di pietre e sabbia quanto è bastato perché le pressioni delle navi minori lo facessero ruotare ed allineare alla linea di costa con i suoi 400 metri di lunghezza: un Empire State Building coricato, avevano fatto notare, e per difetto, le cronache. Un grattacielo orizzontale stracarico di container, un simbolo dell’ipertrofia della libera circolazione delle merci, dopata anche dalla pandemia e dall’esplosione della domanda.

Il vento l’aveva sorpreso cinque chilometri dopo l’ingresso nel canale, in risalita dall’oceano Indiano verso il Mediterraneo: lanciato in velocità per contrastare la spinta, alla fine s’è piantato da costa a costa e da quel momento è iniziata l’asfissia delle catene di approvvigionamento.

Il mondo del commercio globale ha rischiato il collasso. Il covid l’aveva già messo a dura prova, obbligato a ripensare la logistica, i tempi, sotto la frusta della mancanza di dispositivi medici la cui produzione era stata delegata all’Asia così facilmente raggiungibile. L’Ever Given ha rivelato un meccanismo ancora più esposto ed indifeso di quanto il sovraccarico di richiesta dovuto alla pandemia non avesse già detto.

La lezione di Suez parla a chi vuole intendere: basta un pelo di cavallo, un granellino nell’ingranaggio ed il gigante globale scopre di avere i piedi d’argilla. Vitalmente interconnesso fra le fabbriche di pezzi più a buon mercato del pianeta, i luoghi di assemblaggio a più basso costo del lavoro, i porti acquisiti con visioni geopolitiche che possono non contemplare lo sviluppo delle comunità locali, il mercato è un organismo che muore di complessità. Costruito gigante a spese di mille fragilità scavate nella società, cede agli stress test improvvisi. Uno dei paradossi sono i materiali grezzi che fanno rotta per l’Asia e tornano lavorati al porto, ed al mercato, di partenza. Tutto in nome della caccia al lavoro sottopagato. E qui si arriva alla malattia vera del gigante, la questione sociale. I piedi d’argilla dell’imperatore.

L’Ever Given, come tutti i cargo del pianeta, avrà dovuto fare i conti anche con l’elemento umano: gli equipaggi delle marinerie mondiali, da quando è iniziata la crisi covid, spesso restano bloccate a bordo per mesi. Sono sottoposte ad uno stress senza sosta che non può non avere un costo. Un equipaggio stremato, una nave troppo grande, un solo canale per il 10-12 per cento delle merci mondiali che devono passare da lì, dall’Asia alla ricca Europa e viceversa. Un mercato che reclama medicinali, vaccini, petrolio, caffè, plastiche, componenti automobilistici e per computer a ritmi parossistici ed esige arrivino con sempre maggiore efficienza mentre il valore dato al lavoro va a picco, insieme alle retribuzioni. A picco vanno anche i diritti umani: nella catena mondiale della distribuzione ci sono almeno 100 milioni di minori al lavoro. Il costo, alla fine, lo paga anche il mercato. L’Ever Given, travolta dal vento, ha presentato al pianeta dello sviluppo mercantile globale, il conto della resilienza che non c’è.

Dieci miliardi al giorno di perdite e 400 navi all’ingresso sud del Canale, all’ancora nelle acque infestate dalla pirateria come un gregge che fa gruppo sperando che il lupo non attacchi, sono solo la superficie del problema.

Il sistema mondo, di acciaio con giunture di cristallo, non è in grado di rispondere agli imprevisti. Fino ad ora ha risposto con l’espansione, il gigantismo delle strutture. Moltiplicando i colli di bottiglia, presidiati spesso dall’uomo considerato parte intercambiabile del meccanismo e portato allo stremo. Tutto questo non genera sistemi resilienti, capaci di assorbire urti, in grado di garantire la sicurezza della distribuzione. Una tempesta di vento è bastata a far salire i prezzi del petrolio. E a far sentire minacciati l’economia e gli approvvigionamenti di una gran parte del mondo: gli Stati Uniti, infatti, hanno offerto aiuto per le operazioni di recupero, guidate dai giapponesi e da una società olandese, insieme all’autorità che gestisce il Canale. Anche la Russia, che pure propone l’alternativa della rotta artica, (un «regalo» dello scioglimento dei ghiacci dovuto alla crisi climatica che minaccia l’ambiente) ha teso ufficialmente la mano.

Il cargo della giapponese Ever Green alla fine ha preso la via dei Laghi Amari, «piazzole di sosta» lungo il canale. Forse potrà anche riprendere la rotta per Rotterdam ed in una decina di giorni i conti andranno pari. La tassa di passaggio per ogni cargo è di circa 500.00 dollari. Ma la questione è aperta. Se non per amore di giustizia sociale, per la sicurezza dell’economia globale qualcuno dovrà pensarci.

di Chiara Graziani