José Tolentino de Mendonça e la grammatica dell’umano

Quel bisogno di ombra

Pablo Picasso «Amicizia» (1908, particolare)
29 marzo 2021

Nel 2003, l’ultranovantenne regista portoghese Manoel de Oliveira dirigeva Um filme falado (“Un film parlato”). In un giorno di nebbia, una professoressa universitaria di storia e sua figlia di quasi otto anni si imbarcano da Lisbona per intraprendere un viaggio in mare che dovrà portarle in India, dove si trova il marito della donna, nonché padre della piccola. Durante il viaggio, la nave fa scalo in alcune città: Marsiglia, Napoli, Pompei, Atene, Istanbul, Il Cairo.

Grazie alle domande curiose della bambina, ogni discesa dalla nave si trasforma in un’occasione per scoprire episodi più o meno noti della storia della civiltà egizia, greca, romana, araba, fino ai viaggi geografici di esplorazione della prima età moderna. Un percorso che descrive le grandezze della civilizzazione, ma si sofferma anche sulle sue numerose e tragiche contraddizioni: dalla schiavitù alle guerre, dal colonialismo all’intolleranza. Il film propone, inoltre, una riflessione sul ruolo della lingua, o meglio delle lingue, come strumenti in grado di garantire la comunicazione e la comprensione, al di là dei confini politici. Può accadere, allora, che il comandante della nave, di origini americane, una donna d’affari francese, un’ex modella italiana e un’attrice e cantante greca siedano allo stesso tavolo, parlino la propria lingua, eppure si capiscano perfettamente. Un attentato terroristico porrà fine a questo idillio? La violenza annienterà la bellezza e la speranza? Questa è la domanda, senza risposta, su cui si conclude il film.

Mentre leggevo Una grammatica semplice dell’umano (Milano, Vita e Pensiero, 2021, pagine 164, euro 15), il libro del cardinale José Tolentino de Mendonça, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, avevo l’impressione di rivedere davanti agli occhi le scene dell’opera di Oliveira. Al pari del suo connazionale, infatti, Tolentino ci accompagna in un itinerario tra le parole e le cose che definiscono ciò che siamo o che dovremmo essere: dalla “a” di “altri” fino alla “v” di “vulnerabilità”. Il viaggio a cui ci invita l’autore ha molti tratti in comune con quello che compiono l’insegnante e sua figlia in Un film parlato: sia lì che qui si sottolineano le piccole e momentanee glorie degli esseri umani e insieme si rivelano le loro grandi, intense debolezze. Se si dovesse indicare un centro attorno a cui ruota il libro di Tolentino, si potrebbe dire che questo è l’amicizia. Al di là della voce specifica, il volume si interroga costantemente sull’importanza del rapporto tra noi e gli altri per la conduzione di una “vita buona”.

L’amicizia, afferma Tolentino, è un bene inestimabile, forse superiore all’amore, perché si fonda sulla completa eguaglianza, sul dono, sull’accoglienza e sul rispetto dell’autonomia. L’amicizia è capace di superare le distanze di spazio e di tempo: si può essere amici anche se si è lontani migliaia di chilometri, anche se non ci si vede con regolarità, e tornare a esserlo dopo anni in cui non ci si è frequentati. Gli amici conoscono le nostre aspirazioni, le nostre gioie e soprattutto i nostri travagli, sono testimoni cioè della nostra esistenza. Tuttavia, accettano che in noi vi siano zone d’ombra, che esista uno spazio nascosto, inaccessibile. Essere amici implica il saper ascoltare e l’essere disposti alla compassione, ad accogliere su di sé una parte del dolore del prossimo, senza mai ergersi a giudici delle altrui sofferenze e fragilità. Per questo, ci ricorda Tolentino, l’amicizia è un esercizio così difficile e insieme così indispensabile per rendere meno dolorosa la solitudine umana.

Un esercizio tanto più necessario oggi, quando troppo spesso ci sentiamo privi di riferimenti e di certezze nell’affrontare il presente. Il vocabolario elaborato da Tolentino ci suggerisce che dobbiamo imparare ad accettare le nostre inquietudini e i nostri dubbi, interpretando le une e gli altri non come limiti, ma come elementi costitutivi della condizione umana. Siamo esseri umani proprio perché coltiviamo l’inquietudine e il dubbio, perché siamo perennemente alla ricerca di qualcosa che pensiamo possa completarci. Sarebbe opportuno, prosegue Tolentino, recuperare il valore dell’infanzia, intesa non tanto come una precisa fase dell’esistenza, da rimpiangere, quanto come un modo di vivere, caratterizzato da uno sguardo aperto e libero sul mondo, simile a quello della piccola protagonista di Un film parlato, che ha il coraggio di porre domande, senza vergognarsi della loro semplicità. Tornare a essere bambini significa costruire momenti di quiete che ci consentano di meravigliarci ancora di fronte al reale: non è forse vero che dallo stupore nasce il pensiero, come sostenevano già gli antichi? Ricorrendo a una bella immagine, Tolentino scrive che abbiamo bisogno di ombra, per riprenderci dalle fatiche del quotidiano, per liberarci almeno per un po’ dalla luce abbagliante del sole.

Quando giungerete all’ultima pagina di questo libro, vi sembrerà che l’autore abbia voluto consegnarci un lessico prezioso e delicato per le nostre società infelici.

di Giovanni Cerro