Il 21 aprile ricorrono i 1900 anni dalla nascita di uno dei più grandi imperatori romani

Il triste compleanno
di Marco Aurelio

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29 marzo 2021

Mentre inizio quest’articolo, Roma sta facendo un altro passo nel suo declino etico-culturale, avviato già da un po’. Mi spiego. Quest’anno è il 19° Centenario di Marco Aurelio, nato a Roma il 26 aprile 121 d.C. È difficile sopravvalutare l’importanza dell’evento, visto ciò che l’autore dei Pensieri rappresenta per la storia non solo romana, lo spirito dell’Urbe e l’alta cultura universale. Eppure né a Roma né in nessun’altra città si è allestita una mostra sul tema, né è stata promossa alcuna iniziativa mediatico-culturale, non dico alla grande ma neanche modesta. E dire che anni fa ai Musei Capitolini 2 mostre, L’età dell’equilibrio (2012) e L’età dell’angoscia (2015), esaminavano tutti gli imperatori da Traiano a Diocleziano. Per Marco invece non si è pensato a nulla! Vero è che ai Musei Capitolini l’iter espositivo dei Marmi Torlonia, che chiuderà il 26 giugno, sfocia nell’esedra dove splende l’iconica statua equestre di Marco Aurelio. Ma non c’è alcun avviso che sottolinei i 1900 anni marciani, e anche se ci fosse sarebbe troppo poco perché quella è la collocazione stabile della scultura dopo il restauro del ‘90 e la sua sostituzione con la copia in piazza del Campidoglio.

Ed è a questa che vorrei tornare, circondata ogni giorno da migliaia di turisti (prima della pandemia, ovvio) e stampata di continuo nella cronaca del “Messaggero” a corredo di fasti e nefasti del Campidoglio. Ma quale contrasto! Infatti quel bronzo a cavallo, solenne e imperiale non meno del cavaliere, che però ha più auctoritas nel braccio teso e serenità nello sguardo, è un simbolo di Roma nel mondo come il Tevere, la Lupa coi Gemelli o il Colosseo, e non c’è pellegrino o turista per quanto al verde e faidaté che non salga al Campidoglio ad ammirare l’imperatore superstar sul suo destriero. Non benediremo mai abbastanza i romani del medioevo per aver risparmiato al pagano Marco Aurelio la fusione scambiandolo per il cristiano Costantino! Eppure il luogo dove fu rinvenuta la statua – sul Laterano, dov’è l’obelisco — avrebbe dovuto metterli sulle tracce dell’imperatore filosofo, nato e cresciuto lì: di meus Caelius parla nei Pensieri. Ma a questo forse non pensò neanche Michelangelo, che trasferì la statua dal colle di San Giovanni a quello Capitolino, piazzando il gruppo al centro della piazza da lui ridisegnata. Degno fuoco di tanto splendore.

Così ora, tra originale e copia, i simulacri marciani sono due, e non sono troppi per il più grande imperatore di Roma, o almeno uno dei 2 o 3 maggiori, che inoltre è fra i massimi filosofi-scrittori della storia letteraria e del pensiero, unico Augusto ad aver scritto libri, accanto al solo Giuliano l’Apostata (iv secolo), collega pure come filosofo. A parte questi gloriosi primati, il penultimo sovrano dell’età antonina (2a metà del II secolo, lui morì nel 180 e lasciò l’impero al figlio Commodo, che la chiude) è interessante anche perché gli toccò vivere e governare in un tempo dei più drammatici della storia di Roma, tra invasioni barbariche (le prime), colpi di stato, guerre su tutti i confini, crisi economico-finanziarie (la famiglia imperiale mise all’asta i mobili di casa!) e, ciliegina sulla torta, una pandemia lunga e rovinosa che seminò la morte in tutte le provincie, ricordata come la “peste antonina”. Combattendo per quasi 20 anni – lui che amava la pace e riscattava schiavi a tutto spiano — le tribù slavo-germaniche sul limes nord-ovest, Marco Aurelio si consolava scrivendo di notte nel suo praetorium quei Pensieri (Appunti per se stesso è il titolo nei codici) che sono ancora, e lo saranno sempre, tra i best-sellers mondiali. Un capolavoro letterario-filosofico-spirituale che, secondo gli studiosi più accreditati che lo hanno tradotto e commentato, in primis Giovanni Reale e Pierre Hadot, è lo scritto antico più vicino ai Vangeli.

di Mario Spinelli