Storie emblematiche di tre catechisti

«È Dio che ci trae
dall’abisso dell’angoscia»

Bryan José Coronado Zeledon, il diciassettenne catechista nicaraguense assassinato nel settembre scorso
24 marzo 2021

Sono missionari nella vita laicale, che hanno dato la vita per il Vangelo. Sono tanti, oggi, gli esempi di catechisti e operatori pastorali, dei reali pilastri per l’azione pastorale della Chiesa in Asia, Africa, America latina e Oceania. Sono i catechisti, spesso giovani padri di famiglia, che si recano nei villaggi remoti, in aree desertiche o montane, a visitare famiglie cristiane che coltivano la fede, spesso in assenza di sacerdoti, proprio grazie al servizio di preghiera, di catechesi e di carità assicurato dai laici, impegnati anima e corpo in questo ministero.

Bryan José Coronado Zeledon, diciassettenne nicaraguense, ai suoi coetanei proponeva la musica come potente strumento per il dialogo con Dio. Musicista poliedrico, appartenente al gruppo pastorale Cristo Joven nella cattedrale di Matagalpa, Bryan è uno dei catechisti missionari che hanno perso la vita in modo violento nel 2020, svolgendo il proprio servizio di apostolato. Aveva trovato nella sua passione per la musica una via straordinaria di evangelizzazione e amava testimoniare la gioia della sua fede proprio con inni e canti, nella consapevolezza che «chi canta prega due volte», amava dire con le parole di sant’Agostino. Nel rock, in cui manifestava tutto il suo ardore, poneva quei profondi interrogativi dell'esistenza umana, con le relative risposte di fede: «Chi sei? Qual è il senso della vita? È Dio che ci trae dall’abisso dell’angoscia». Il suo corpo senza vita è stato ritrovato il 19 settembre 2020 lungo la riva del Rio Grande di Matagalpa. La prima ipotesi era stata quella di un incidente nel fiume, ma i segni di violenza sul suo corpo hanno spinto i parenti a denunciare l'omicidio, da attribuire, secondo la polizia, ai gruppi criminali che infestano la zona. Il suo impegno nella “adolescenza missionaria”, gruppo ecclesiale che frequentava con entusiasmo e che occupava il suo tempo oltre le attività scolastiche, gli è costato la vita.

Dall’altra parte del mondo, medesima sorte è toccata a Rufinus Tigau, 28 anni, nativo della provincia indonesiana di Papua, catechista cattolico della diocesi di Timika. Tigau, sposato con prole, è stato ucciso a colpi d'arma da fuoco il 26 ottobre 2020 da militari membri di un’operazione congiunta di esercito e polizia indonesiani, nella reggenza di Intan Jaya. Rufinus si era avvicinato alle forze di sicurezza che avevano circondato la zona della sua residenza, chiedendo: «Per favore, smettete di sparare. Parliamo con calma. Qual è il problema?». Un militare ha puntato una pistola contro di lui, uscito disarmato e a braccia alzate, uccidendolo a sangue freddo. L’esecuzione è stata motivata dalle accuse mosse a Tigau, ingiustamente etichettato di essere membro di un gruppo armato separatista: circostanza, questa, categoricamente smentita dalla diocesi cattolica di Timika. Impegnato fin dalla gioventù nei gruppi ecclesiali cattolici, Tigau era “emigrato” nella capitale indonesiana Giacarta per svolgere i suoi studi, portati avanti con successo. Ma, al termine del suo percorso accademico, aveva scelto di tornare in Papua per dare un contributo al suo popolo, in una provincia periferica, travagliata da fermenti indipendentisti e da operazioni militari sfociate spesso in abusi e violazioni dei diritti umani sui civili. Nella sua attività di catechista, iniziata ufficialmente nel 2015, fungeva da mediatore e interprete per tutti quei preti e religiosi che, giunti da altre province, non conoscevano gli idiomi delle tribù locali. «Era persona di fede e di carità», ricordano i suoi conterranei. Il suo omicidio resta immotivato e gratuito mentre tutt’oggi la sua famiglia e tutta la popolazione della Papua chiedono e attendono giustizia.

I catechisti sono spesso “gente da prima linea”: è questa l’esperienza del quarantaseienne Philippe Yarga, padre di sette figli, ucciso insieme con ventitré persone di fedi diverse durante l’assalto jihadista avvenuto il 16 febbraio 2020 nel villaggio di Pansi, nel nord del Burkina Faso. Yarga era uno dei primi catechisti inviati in missione quando fu fondata la diocesi di Dori che copre un territorio enorme, in cui i cattolici sono circa il 2 per cento della popolazione. È un’area che, come altre parti del Sahel africano, è attraversata da attacchi dei gruppi jihadisti che hanno messo in allarme il clero e le comunità cattoliche locali. Philippe, nel suo percorso di fede, aveva maturato il desiderio di offrire la sua vita per la missio ad gentes, nello stile della comunione e della cooperazione con popolazioni povere, indifese, emarginate. Come Bryan e Rufinus, Philippe non è stato un missionario “a tempo determinato” ma ha amato e servito il Vangelo fino alla fine.

di Paolo Affatato