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Dal 2002 Ek’Abana accoglie bambine accusate di stregoneria e abbandonate dalle famiglie
nella Repubblica Democratica del Congo

Basta poco
per “diventare” una strega

Nella foto di qualche anno fa, alcune ospiti di Ek’Abana (La Casa delle bambine in lingua Mashi)
23 marzo 2021

Clarisse è una ragazzina di 13 anni. Non parla, non comunica, dice solo il suo nome e la parola “mamma”. L’hanno trovata in un mercato e, pensando che fosse una strega, l’hanno portata in una setta, dove è stata sottoposta a sedute di esorcismo. Poi, vista l’inutilità, l’hanno consegnata a Ek’Abana (La Casa delle bambine in lingua Mashi) dicendo di averla sottratta alla folla che voleva bruciarla. Ek’Abana è un centro di accoglienza per bambine accusate di stregoneria nato nel 2002 a Bukavu, capoluogo del Sud Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo. Quello degli enfants sorciers è un fenomeno presente da circa trenta anni in molti Paesi dell’Africa sub-sahariana. Il Congo è una delle nazioni più colpite.

Non esistono dati certi ma solo a Kinshasa, la capitale, si parla di almeno 40.000 bambini, l’80 per cento dei quali abbandonati dai loro genitori in seguito a una crisi economica, un lutto, una malattia, di cui i piccoli vengono incolpati. Si tratta di bambini di ogni età, anche di pochi giorni, che, per una loro caratteristica, vengono percepiti diversi: troppo o troppo poco vivaci, con disabilità, albini e gemelli. Il fenomeno, nella maggior parte dei casi, riguarda famiglie in condizioni di povertà totale a causa di una guerra infinita e della situazione di estrema instabilità in cui si trova il Paese, soprattutto nella parte orientale. L’accusa di stregoneria diviene il pretesto per liberarsi di una bocca da sfamare.

Attualmente, sono 39, da 2 a 15 anni, le bimbe che vivono a Ek’Abana. Ci sono anche tre maschietti. Un’eccezione, perché il centro accoglie per lo più femmine, che rappresentano il 90 per cento delle vittime. Le piccole ospiti vengono mandate a scuola e sono coinvolte in diverse attività per imparare un mestiere. «Cerchiamo di offrire un ambiente sereno», spiega Natalina Isella, missionaria laica, in Congo dal 1976. «È importante ascoltarle e parlare molto con loro, perché possano superare il trauma dell’esclusione. Devono recuperare la fiducia negli altri e soprattutto in se stesse». Dopo la terribile esperienza di rifiuto, infatti, le bambine diffidano degli adulti e denunciano una forte mancanza di autostima. Spesso arrivano a credere di essere davvero portatrici di un influsso malefico e provano rimorsi e sensi di colpa. L’ascolto e l’accoglienza diventano i presupposti per un’attività terapeutica che le aiuti a superare i traumi subiti e a sentirsi nuovamente amate.

Spesso, dietro a questo fenomeno ci sono le sette, presenti a migliaia nel Paese, che, facendo leva su credenze e superstizioni, operano esorcismi violenti su bambini inermi con lo scopo di procurarsi denaro. Come nel caso di Ivette, 10 anni, che dopo la morte della mamma viveva con il padre e la nuova moglie di lui. La donna, influenzata da una setta, sosteneva che la piccola fosse una strega. Condotta nella cosiddetta camera di preghiera, la bambina è stata sottoposta a torture con un ferro arroventato per indurla a confessare colpe inesistenti e per liberarla dagli spiriti malefici. Dopo il trattamento, Ivette è finita sulla strada dove, per un anno, ha vissuto di espedienti: resti di pesce trovati sulla riva del lago come pasto, piccoli furti. Dormiva sotto le bancarelle dei mercati, assumeva droghe e si procurava da vivere vendendo il suo corpo. La polizia l’ha trovata e l’ha portata a Ek’Abana, dove è rimasta tre anni. Il Centro, attraverso il microcredito, ha aiutato il padre a costruire una casa dove Ivette, insieme alla terza moglie del genitore, ha potuto ricominciare una nuova vita.

«Il nostro obiettivo è quello di reinserire i bambini nelle famiglie d’origine» racconta Isella. «Organizziamo incontri con i genitori per spiegare l’inconsistenza delle accuse e agiamo anche sulla comunità, perché il problema a volte nasce da lì. Continuiamo a seguire i piccoli anche una volta reinseriti, per assicurarci che tutto vada bene e, in qualche caso, concediamo un microcredito alle famiglie per aiutarle a sostenersi».

In questo momento, sono 47 le bambine rientrate nelle loro case e seguite dal Centro, che paga le spese scolastiche e sostiene i genitori dal punto di vista psicologico. Nel 2020 sono state ricongiunte 17 famiglie mentre altre 8 bambine hanno trovato una famiglia di accoglienza. Poi ci sono 1.450 may mihogo, bambini vulnerabili a cui vengono pagati gli studi. Da qualche anno, infatti, il centro si fa carico di tutti i casi di disagio infantile, abbandoni, malattie gravi, incapacità o assenza dei genitori, maltrattamenti. «Questa situazione è dovuta anche al degrado morale e alle conseguenze della guerra che devasta questo paese», prosegue Isella. «Molte famiglie sono disgregate, tante altre sono mono parentali perché il padre è partito per combattere o per andare a lavorare nelle miniere senza dare più notizie. E i bambini ne pagano le conseguenze. Spesso, quando arrivano sono affetti da malnutrizione cronica».

Le attività sono tante. Per esempio, la produzione dei kikapo, ceste intrecciate con nastri di plastica per ragazze e mamme senza lavoro. Una fonte di reddito ma anche un modo per ridurre la presenza dei sacchetti di plastica che infestano la città. La sensibilizzazione sulla gestione dei rifiuti e la protezione dell’ambiente fa parte di un progetto più ampio, il Mepe (Movimento di educazione alla pace e all’ambiente) che prevede incontri di sensibilizzazione con le comunità di base. Il gruppo «Integrazione e Inclusione» si occupa, invece, dei bambini con disabilità fisica o mentale spesso dimenticati.

Per il suo lavoro Ek’Abana conta oltre che sugli operatori professionali e le apprendiste anche sugli stagisti, che si occupano di visite guidate e ricerca scientifica. Nel 2020 sono stati inquadrati 105 stagisti della scuola secondaria e 37 dell’università.

La struttura, che sopravvive grazie a fondi esteri provenienti da privati, in 20 anni ha accolto oltre 500 bambine. I volti sono diversi ma le storie seguono un copione già scritto. Solange è stata accusata di stregoneria in seguito alla morte di un fratello. Malmenata, scappa di casa. La polizia la trova e la porta a Ek’Abana. Dopo faticose ricerche (la bambina non voleva dire dove abitava) si trova la famiglia. Isella parla a lungo col padre che decide di riprenderla. La sera, però, un altro dei fratelli si ammala con gli stessi sintomi del primo. I genitori allora obbligano Solange a curarlo per farlo guarire ma la mattina il ragazzo ha ancora la febbre alta così la piccola viene legata e picchiata. Solange riesce a liberarsi e torna a Ek’Abana. Ora vive qui. Esile e quieta guarda attenta un cartone animato insieme alle sue compagne. Gli occhi neri si allungano in un sorriso. Per un attimo sembra aver dimenticato.

di Marina Piccone