La settimana di Papa Francesco

Il magistero

This handout photo taken on March 8, 2021 and released on March 9 by the Myitkyina News Journal ...
18 marzo 2021

Venerdì  12


Abbandonarsi all’amore per lasciarsi trasformare

Confessarsi non è andare in tintoria affinché mi tolgano una macchia.  È “abbandonarsi all’Amore”, “lasciarsi trasformare dall’Amore” e “corrispondere all’Amore”.  Ma se non c’è Amore nel sacramento, non è come Gesù lo vuole. Amore di fratello peccatore perdonato verso il fratello, la sorella peccatore e peccatrice perdonati. Abbandonarsi all’Amore significa compiere un  atto di fede [che ] non può mai essere ridotta a un elenco di concetti. Essa si comprende dentro una relazione: tra Dio e l’uomo e tra l’uomo e Dio. Dio chiama e l’uomo risponde. È vero anche l’inverso: noi chiamiamo quando abbiamo bisogno, e Lui risponde sempre. La fede è l’incontro con Dio che è Misericordia ed è l’abbandono tra le braccia di questo Amore al quale, a volte, si ha paura di abbandonarsi.Chi non si abbandona all’amore di Dio finisce, prima o poi, per abbandonarsi ad altro, finendo “tra le braccia” della mentalità mondana, che alla fine porta amarezza, tristezza e solitudine. Primo passo per una buona Confessione è l’atto di fede. Ogni confessore dev’essere capace di stupirsi sempre per i fratelli che domandano il perdono di Dio. Vivere così la Confessione significa lasciarsi trasformare dall’Amore. Non sono le leggi a salvare: l’individuo non cambia per un’arida serie di precetti, ma per il fascino dell’Amore percepito. L’Amore che si è manifestato pienamente in Gesù e nella sua morte in croce. Dio si è reso visibile agli uomini in un modo prima impensabile,  nuovo e perciò capace di rinnovare tutte le cose. Il penitente che incontra, nel colloquio sacramentale, un raggio di questo Amore accogliente, si lascia trasformare. Anche nella vita affettiva è così: si cambia per l’incontro con un grande amore.Il buon confessore è sempre chiamato a scorgere il miracolo del cambiamento.

Corrispondere all’amore

L’abbandono e il lasciarsi trasformare dall’Amore hanno come conseguenza una corrispondenza all’amore ricevuto.
Il cristiano ha sempre presente quella parola di san Giacomo: «Mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede».
La reale volontà di conversione diventa concreta nella corrispondenza all’amore di Dio ricevuto e accolto.
Essa si manifesta nel cambiamento della vita e nelle opere di misericordia.
Chi è stato accolto dall’Amore, non può non accogliere il fratello.
Chi si è abbandonato all’Amore, non può con consolare gli afflitti.
Chi è stato perdonato da Dio, non può non perdonare i fratelli.
Dio ci indica un amore possibile.
Il buon confessore indica sempre, accanto al primato dell’amore di Dio, l’indispensabile amore per il prossimo, come palestra quotidiana nella quale allenare l’amore.
Il proposito di non commettere ancora il peccato è il segno della volontà di corrispondere all’Amore.
Mi viene alla mente una poesia di un parroco argentino bravissimo... in cui chiedeva alla Madonna di custodirlo, perché lui avrebbe voluto cambiare ma non sapeva come. Faceva la promessa di cambiare e finiva così: «Questa sera, Signora, la promessa è sincera. Ma per ogni evenienza, lasciami la chiave all’esterno della porta».
Sapeva che sempre ci sarà la chiave per aprire, perché è stato Dio a lasciarla.
La celebrazione frequente del sacramento della Riconciliazione diventa, sia per il penitente che per il confessore,  via di santificazione, scuola di fede, di abbandono, di cambiamento e di corrispondenza all’Amore misericordioso del Padre.
Ciascuno di noi è un peccatore perdonato. Se uno  non si sente così, meglio che non vada a confessare,  che non faccia il confessore.
Un peccatore perdonato al servizio degli altri, perché anch’essi possano incontrare quell’Amore che ha affascinato e cambiato la nostra vita.
Perseverare con fedeltà: è un servizio importante per la santificazione del popolo santo di Dio.
Affidate questo ministero alla potente protezione di san Giuseppe, uomo giusto e fedele.
Vorrei sottolineare l’atteggiamento religioso che nasce da questa coscienza di essere peccatore perdonato che deve avere il confessore.
Accogliere in pace, con paternità. Ognuno saprà come: il sorriso, gli occhi...  offrendo tranquillità, e lasciar parlare.
A volte, il confessore si accorge che c’è una  difficoltà ad andare avanti con un peccato, ma se lo capisce, non faccia domande indiscrete.
Il Cardinale Piacenza mi ha detto che quando vede che queste persone hanno difficoltà e si capisce di cosa si tratta, subito le ferma e dice: “Ho capito. Andiamo avanti”.
Non dare più dolore, più “tortura”... E non fare domande. Ma dimmi, cosa stai facendo? Ti stai facendo il film nella tua mente?
Nelle basiliche c’è una opportunità tanto grande di confessarsi, ma i seminaristi nei collegi internazionali si passano la voce, anche i preti giovani: “Puoi andare da tutti meno che da quello; in quel confessionale non andare, perché quello sarà lo sceriffo che ti torturerà”.
Essere misericordioso non significa essere di manica larga. Significa essere fratello, padre, consolatore. 
Non fare il tribunale di esame accademico... Non fare il ficcanaso nell’anima degli altri.

(Discorso ai partecipanti al XXXI Corso sul Foro
interno, promosso dalla Penitenzieria apostolica)


Domenica 14


Rallegrati Gerusalemme

Nella quarta domenica di Quaresima la liturgia eucaristica inizia con questo invito: «Rallegrati, Gerusalemme…». Qual è il motivo di questa gioia in piena Quaresima? Ce lo dice il Vangelo: Dio «ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna». Questo gioioso messaggio è il cuore della fede cristiana: l’amore di Dio ha trovato il vertice nel dono del Figlio all’umanità debole e peccatrice. Ha donato suo Figlio a tutti noi.È quanto appare dal dialogo notturno tra Gesù e Nicodemo, [il quale] come ogni membro del popolo d’Israele attendeva il Messia, indentificandolo in un uomo forte. Gesù invece mette in crisi questa aspettativa presentandosi sotto tre aspetti: Figlio dell’uomo esaltato sulla croce; Figlio di Dio mandato nel mondo per la salvezza; e luce che distingue chi segue la verità da chi segue la menzogna.

Figlio dell’uomo

Allude al racconto del serpente di bronzo, che, per volere di Dio, fu innalzato da Mosè nel deserto quando il popolo era stato attaccato dai serpenti velenosi; chi veniva morso e guardava il serpente di bronzo guariva.
Analogamente, Gesù è stato innalzato sulla croce e chi crede in Lui viene sanato dal peccato e vive.

Figlio di Dio

Lo scopo del dono di Dio è la vita eterna degli uomini: infatti manda il Figlio nel mondo non per condannarlo, ma perché il mondo possa salvarsi per mezzo di Gesù. La missione di Gesù è missione di salvezza per tutti.

Il terzo nome è “luce”

La venuta di Gesù nel mondo provoca una scelta: chi sceglie le tenebre va incontro a un giudizio di condanna, chi sceglie la luce avrà un giudizio di salvezza.
Il giudizio sempre è la conseguenza della scelta libera di ciascuno: chi pratica il male cerca le tenebre, il male sempre si nasconde, si copre.
Chi fa la verità, cioè pratica il bene, viene alla luce, illumina le strade della vita.
Chi cammina nella luce, chi si avvicina alla luce, non può fare altro che buone opere.
La luce porta a fare delle buone opere. È quanto siamo chiamati a fare con più impegno durante la Quaresima: accogliere la luce nella nostra coscienza, per aprire i cuori  al  perdono.
Dio perdona sempre, se noi con umiltà chiediamo il perdono. Basta solo chiedere. Così troveremo la vera gioia e potremo rallegrarci del perdono di Dio che rigenera.
Maria ci aiuti a non avere paura di lasciarci “mettere in crisi” da Gesù. È una crisi salutare, per la nostra guarigione.

(Angelus in piazza San Pietro)


Martedì 16


Per la valorizzazione culturale del Palazzo Lateranense

La Chiesa nel corso dei secoli ha sempre operato per promuovere quanto frutto del genio e della maestria degli artisti, spesso testimonianza di esperienze di fede e quali strumenti per dare onore a Dio.
Non solo per amore dell’arte, ma anche per salvaguardare il patrimonio culturale di fronte a sfide e a pericoli che l’avrebbero privato della sua funzione e del suo pregio.
Tale speciale responsabilità, accompagnata dall’attenta sollecitudine nel considerare luoghi, edifici e opere espressioni dello spirito umano e parte integrante della cultura dell'umanità, ha consentito ai miei Predecessori di tramandarli alle diverse generazioni e di adoperarsi per conservarli e renderli disponibili a visitatori e studiosi.
Animato da queste ragioni destino a tale scopo anche gli edifici annessi alla Basilica Papale di San Giovanni in Laterano, Sede della mia Cattedra episcopale, ben conscio della natura che a quel complesso attribuiscono il percorso e gli accadimenti della storia.
Affido a Vostra Eminenza, il compito di realizzare, nel complesso di quello che è stato per secoli noto come Patriarchio Lateranense, attività museali e culturali nelle diverse forme e contenuti, dando l’assetto che sarà necessario.

(Lettera al cardinale Angelo De Donatis, vicario
per la diocesi di Roma)


Mercoledì 17


È lo Spirito a scrivere la storia

Completiamo la catechesi sulla preghiera come relazione con la Santissima Trinità, in particolare con lo Spirito Santo.
Il primo dono di ogni esistenza cristiana è lo Spirito.
Non è uno dei tanti doni, ma il Dono fondamentale.

Il dono di Gesù

Lo Spirito è il dono che Gesù aveva promesso di inviarci. Senza lo Spirito non c’è relazione con Cristo e con il Padre.
Lo Spirito apre il nostro cuore alla presenza di Dio e lo attira in quel “vortice” di amore che è il cuore stesso di Dio.
Noi non siamo solo ospiti e pellegrini nel cammino su questa terra, siamo anche ospiti e pellegrini nel mistero della Trinità. Siamo come Abramo, che  accogliendo nella propria tenda tre viandanti, incontrò Dio.
Se possiamo  invocare Dio chiamandolo “Abbà - Papà”, è perché in noi abita lo Spirito Santo; è Lui che ci trasforma nel  e fa sperimentare la gioia commovente di essere amati come veri figli.
Tutto il lavoro spirituale dentro di noi verso Dio lo fa lo Spirito.
Lavora in noi per portare avanti la vita cristiana verso il Padre, con Gesù.
Lo Spirito  ci “ricorda” Gesù e lo rende presente a noi; possiamo dire che è la nostra memoria trinitaria.
Lo Spirito porta al presente Gesù nella nostra coscienza. Se Cristo fosse solo lontano nel tempo, noi saremmo soli e smarriti nel mondo.
Sì, ricorderemmo Gesù, lì, lontano ma è lo Spirito che lo porta oggi, adesso, in questo momento nel nostro cuore.
Nello Spirito tutto è vivificato: ai cristiani di ogni tempo e luogo è aperta la possibilità di incontrare Cristo... non soltanto come un personaggio storico.
No: Lui attira Cristo nei nostri cuori... non è distante, è con noi.
Ancora Gesù educa i suoi discepoli trasformando il loro cuore, come fece con Pietro, con Paolo, con Maria di Magdala, con tutti gli apostoli.

Mantenere vivo il fuoco

Ma perché è presente Gesù? Perché è lo Spirito a portarlo in noi.
È l’esperienza che hanno vissuto tanti oranti: uomini e donne che lo Spirito ha formato secondo la “misura” di Cristo, nella misericordia, nel servizio, nella preghiera, nella catechesi.
È una grazia poter incontrare persone così: in loro pulsa una vita diversa, il loro sguardo vede “oltre”.
Non pensiamo solo ai monaci, agli eremiti; si trovano anche tra la gente comune, gente che ha intessuto una lunga storia di dialogo con Dio, a volte di lotta interiore, che purifica la fede.
Questi testimoni umili hanno cercato Dio nel Vangelo, nell’Eucaristia ricevuta e adorata, nel volto del fratello in difficoltà, e custodiscono la sua presenza come un fuoco segreto.
Il primo compito dei cristiani è proprio mantenere vivo questo fuoco, che Gesù ha portato.
Qual è questo fuoco? È l’amore.
Senza il fuoco dello Spirito le profezie si spengono, la tristezza soppianta la gioia, l’abitudine sostituisce l’amore, il servizio si trasforma in schiavitù.
Viene in mente l’immagine della lampada accesa accanto al tabernacolo, dove si conserva l’Eucaristia.
Anche quando la chiesa si svuota e scende la sera, anche quando la chiesa è chiusa, quella lampada rimane accesa, continua ad ardere: non la vede nessuno, eppure arde davanti al Signore.
Lo Spirito nel nostro cuore, è sempre presente come quella lampada.
Tante volte non abbiamo voglia di pregare o  preghiamo come pappagalli con la bocca ma il cuore è lontano.
Questo è il momento di dire allo Spirito: “Vieni, riscalda il mio cuore. Insegnami a pregare,  a guardare il Padre [e] il Figlio. Insegnami com’è la strada della fede. Insegnami come amare e soprattutto ad avere un  atteggiamento di speranza”.
È lo Spirito a scrivere la storia della Chiesa e del mondo.

Come pagine aperte

Noi siamo pagine aperte, disponibili a ricevere la sua calligrafia. In ciascuno di noi lo Spirito compone opere originali, perché non c’è mai un cristiano del tutto identico a un altro. Nel campo sterminato della santità, l’unico Dio, Trinità d’Amore, fa fiorire la varietà dei testimoni: tutti uguali per dignità, ma anche unici nella bellezza che lo Spirito ha voluto si sprigionasse in ciascuno. Ascoltiamo lo Spirito, chiamiamo lo Spirito  e diciamogli: “Spirito Santo, io non so com’è la tua faccia — non lo conosciamo — ma so che tu sei la forza, che tu sei la luce, che tu sei capace di farmi andare avanti e di insegnarmi come pregare. Vieni”.

Mi inginocchio sulle strade del Myanmar

Ancora una volta e con tanta tristezza sento l’urgenza di evocare la drammatica situazione in Myanmar, dove tante persone, soprattutto giovani, stanno perdendo la vita per offrire speranza al loro Paese. Anch’io mi inginocchio sulle strade del Myanmar e dico: cessi la violenza! Anch’io stendo le mie braccia e dico: prevalga il dialogo! Il sangue non risolve niente.

(Udienza generale nella Biblioteca privata)