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L’opera dei missionari saveriani nelle strade del Kivu

Tornare a essere bambini

 Tornare a essere bambini  QUO-062
17 marzo 2021

Padre Sebastiano Amato racconta la difficile situazione dei minori nella regione africana e le sfide da affrontare sull’esempio di Luca Attanasio


Peter ha gli occhi che brillano. Non ci crede neanche lui. Neanche nei sogni più belli aveva preso voti così alti a scuola. Per lui, un ex ragazzo di strada, si è dischiusa la porta di un avvenire più sereno. Lontano dagli abusi, dal freddo della notte, dalla fame, dalle malattie. Lontano da una vita precaria, di stenti nel Kivu, regione orientale della Repubblica Democratica del Congo. Lontano dalla miseria che attanaglia i luoghi che hanno visto morire l’ambasciatore Luca Attanasio e il carabiniere Vittorio Iacovacci.

«Sono qui da quarantasei anni e ho assistito a un progressivo deterioramento della situazione», dice rassegnato Sebastiano Amato, missionario saveriano a Bukavu: «Un tempo in questa zona non c’erano ragazzi di strada. La famiglia allargata africana (zii, nonni, parenti) si prendeva cura dei più piccoli rimasti orfani. Nel tempo la miseria si è diffusa. Il tessuto sociale è andato slabbrandosi. E così centinaia di ragazzi e ragazze si trovano abbandonati per strada e vivono di stenti».

Ogni ragazzo e ogni ragazza ha una storia diversa. Ci sono famiglie senza un genitore perché morto o andato altrove. Ci sono famiglie violente. Ci sono famiglie che non riescono da dare da mangiare ai figli, né possono mandarli a scuola. Così questi piccoli trovano sulla strada quello che loro necessita per sopravvivere. «È una vita di stenti — continua padre Sebastiano — rubacchiano, prendono elemosine, qualcuno purtroppo si prostituisce. Di giorno sono in strada, mescolati alla gente. Di notte si riuniscono in alcuni posti. E lì li troviamo».

Negli anni, i saveriani hanno strappato dalla strada un gruppo di ragazze. Le hanno aiutate ad andare a scuola, a imparare un lavoro e, quando si sposano, a crearsi una famiglia. «Quando le prendiamo dalla strada — osserva il missionario — hanno tra i 13 e i 14 anni; le teniamo con noi finché ne hanno 21-22. Recentemente abbiamo anche preso ragazze di 8-12 anni e siamo riusciti ad aiutarle offrendo loro assistenza psicologica e cure fisiche. Sulla strada abbiamo trovato anche ragazze più grandi, di 16-17 anni. A quell’età però il recupero è difficilissimo, quasi impossibile. Non conoscono altro che il marciapiede e le sue regole. Difficilissimo uscirne. Per noi questo è triste perché significa che le loro vite si perdono tra abusi e stenti».

I missionari curano anche i ragazzi fra gli 8 e i 12 anni che sono nella casa San Giuseppe. «Anche a loro diamo da mangiare, li vestiamo, li facciamo studiare», racconta padre Sebastiano. «Sono bambini molto intelligenti che, se seguiti, possono dare ottimi risultati a scuola. Alcuni, infatti, hanno voti molto alti. Con loro facciamo lunghe gite. Li facciamo giocare. Insomma, anche grazie a noi, tornano a essere bambini come è giusto che sia».

I bambini e le bambine pagano una situazione di povertà estrema. Intere famiglie non hanno di che mangiare. I più piccoli sono vittime di denutrizione e sono più esposti anche alle malattie. «L’ambasciatore Luca Attanasio è passato da Bukavu prima di essere ucciso insieme al carabiniere della sua scorta», ricorda Amato. «Faceva parte di un convoglio del Pam, il Programma alimentare mondiale. Insieme a lui e ai funzionari dell’organizzazione internazionale abbiamo valutato la possibilità di portare i viveri anche in città e non solo nelle campagne come già avviene. Perché in città la situazione è disastrosa, soprattutto nelle periferie. Speriamo che il progetto possa essere portato avanti anche dopo la scomparsa del diplomatico».

Alla povertà si unisce la violenza. Nella zona di Bukavu, raccontano i missionari, operano molte bande armate che rapinano e taglieggiano la povera gente. «L’ordine pubblico — spiega il saveriano — è un problema. Le forze dell’ordine non hanno i mezzi per intervenire, in alcuni casi non vogliono neppure farlo perché ci sono complicità con i criminali. L’instabilità non aiuta lo sviluppo. E pensare che questo Paese potrebbe essere il più ricco al mondo con tutte le risorse minerali di cui dispone (oro, diamanti, coltan, eccetera)».

A questa situazione difficile si è sommata nell’ultimo anno la pandemia di covid-19. «Non sappiamo quanto sia diffuso il coronavirus», conclude il missionario. «Qui la gente muore per molte malattie, soprattutto per la malaria che è molto diffusa. Il nuovo virus è certamente tra noi, ma probabilmente colpisce meno che altrove. Il problema sono state le chiusure imposte per evitare il diffondersi dell’epidemia. Nel Kivu, come altrove in Africa, la gente vive alla giornata senza garanzie sociali. Un lockdown, soprattutto se prolungato, può essere molto pericoloso perché li impoverirebbe ulteriormente».

di Enrico Casale