L’ultimo saggio su Alighieri dello storico Raffaello Morghen

Poeta e profeta

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17 marzo 2021

Nel maggio del 1983, pochi mesi prima che la morte lo cogliesse, a ottantasette anni, l’insigne storico del medioevo Raffaello Morghen pubblicò un’opera di grande rilievo intitolata Dante profeta. Tra la storia e l’eterno, ora riproposta da Jaca Book (Milano, 2021, pagine 184, euro 20). Si tratta di una raccolta di saggi che, come avverte l’autore stesso, «costituiscono la testimonianza di un approccio graduale e, in processo di tempo, approfondito di un’opera che segna la conclusione di un’età storica e insieme la proiezione sempre attuale dello spirito umano verso le eterne attese della felicità, della vittoria sul male, dell’inesausta ricerca di Dio»

Continuando a presentare il suo lavoro, Morghen afferma di non aver voluto concentrare la propria attenzione sugli aspetti letterari ed eruditi della figura del sommo poeta, quanto piuttosto di averlo voluto avvicinare «nelle confessioni dei suoi errori e dei suoi ideali civili e morali; nella stretta aderenza alla concreta realtà degli uomini e delle cose del suo tempo (…) nella complessa formazione della sua cultura (…) e di una fede religiosa, rivissuta, oltre gli stessi confini della tradizione giudaico cristiana, nel culto della tradizione imperiale dei Romani antichi, il “popolo santo” considerato quasi alla pari di Israele». Colta in questa prospettiva, la personalità di Dante appare a Morghen simile a quella di un profeta biblico a cui Dio avrebbe affidato la missione di indicare a un’umanità sempre più smarrita la strada della redenzione, annunciando l’imminente giustizia divina ed esaltando «la gloria millenaria della Chiesa di Dio, fonte prima dell’Amore e della Vita immortale».

I primi tre saggi contenuti nel libro sono dedicati a ricostruire la Firenze in cui Dante visse i suoi primi trent’anni; seguono i contributi nei quali sono discussi i rapporti dell’Alighieri con il celebre filosofo arabo Averroè e prese in considerazione le lettere politiche scritte dal sommo poeta durante l’esilio.

In particolare, l’attenta disamina della missiva dantesca inviata ai cardinali italiani permette a Morghen di far luce sulla questione della missione religiosa che il genio fiorentino ritenne gli fosse stata affidata. Infine, molto significativi sono gli ultimi interventi accolti nel volume, centrati sulla dimensione profetica della figura di Dante che, come recita il sottotitolo, l’autore colloca fra il tempo e l’eterno, tra l’umano e la storia della salvezza.

Come è noto, l’Alighieri non lesinò aspre critiche alle alte gerarchie ecclesiastiche, e la lettera ai cardinali italiani riuniti nel conclave di Carpentras del 1314 è una viva e drammatica testimonianza della sua volontà di richiamare i porporati ai loro doveri, liberandosi dall’avidità dei beni materiali che sfregia il volto della Sposa di Cristo. Il Papa ha abbandonato Roma e la Chiesa tutta è sconquassata: il poeta avverte con forza la necessità di denunciare questa triste situazione e non risparmia toni duramente polemici che sfiorano l’eresia. «Ma — afferma con decisione Morghen — Dante non fu un eretico»; certo, la sua religiosità risulta venata di quelle esigenze evangeliche ed escatologiche che ispirarono anche le istanze di fondo dell’eresia medievale: ciò soprattutto perché, a parere di Morghen, egli si sentì pervaso da un’ansia profetica, quella che, in ultima analisi, costituì la vera molla che lo spinse a rivolgersi direttamente ai cardinali riuniti in conclave. Sostiene a questo riguardo l’autore: «Profeta volle dunque essere Dante come voce vivente della coscienza umana, impegnata nella meditazione degli eterni problemi della carne e dello spirito, della conoscenza e della grazia, del destino del mondo umano e delle speranze immortali».

Dunque, come si legge nel titolo dell’ultimo saggio, Morghen ritiene di dover collocare «Dante tra l’umano e la storia della salvezza». L’autore della Commedia non disprezzò le cose terrene, e nel suo capolavoro si incontrano e si scontrano la santità e il peccato, gli angeli e i demoni, le passioni infuocate e la lucida ragione, l’amore carnale e la sua trasfigurazione. Certo, guardando le vicende che si svolgono intorno a lui, il poeta coglie appieno la drammaticità della vita e l’insensatezza di tanti affanni che travolgono l’uomo, troppo attaccato alle cose terrene. Non casualmente — fa notare Morghen — all’inizio dell’ xi canto del Paradiso egli manifesta, non senza un orgoglio “quasi disumano”, la sua condizione, che è quella di colui che, soltanto grazie alla consapevolezza della vanità delle umane cure, è divenuto in grado di ascendere verso l’alto, verso quel Dio dal quale si sente predestinato ad annunciare la salvezza per tutti gli uomini.

di Maurizio Shoepflin