Nelle città del mondo
Dal Giappone alla Norvegia, da Nazareth a Rio, dal Messico all’India

Oggetti preziosi
di nome tombini

 Oggetti preziosi sotto i piedi  QUO-061
16 marzo 2021

Sulle pareti cieche di alcuni edifici incontriamo sempre più spesso giganteschi murales che invitano a fantasticare su paesaggi più o meno esotici, affrontano temi sociali, evocano il mondo del lavoro, o propongono costruzioni macchinose, spesso astratte o legate alla concretezza di un realismo da fumetto. Senza risalire alla pittura rupestre, la tradizione dei muri disegnati nasce con alcuni precursori di un’importante componente dell’arte contemporanea, alquanto significativa soprattutto in America Latina. José Orozco, Diego Rivera, Alfaro Siqueiros danno vita al Rinascimento murale messicano che, a partire dai primi decenni del secolo scorso, si trasforma in una linea pittorica, espressiva di un pensiero politico e sociale chiaramente orientato.

In seguito gli statunitensi Keith Haring e Jean-Michel Basquiat danno forma al Graffitismo e, più recentemente, l’inglese Banksy alla Street Art. Partendo da iscrizioni e disegni clandestini, eseguiti sui muri e sulle vetture della metropolitana, le loro realizzazioni si impongono, con il passare degli anni, sempre più come forme espressive nobili e ricercate, presenti oggi anche in importanti Musei contemporanei di arti visive. È proprio da questi inventori che derivano gli affreschi di molti epigoni, certamente non tutti di qualità, sempre più diffusi sulle pareti “a disposizione” delle nostre città.

A essere curiosi e attenti esiste tuttavia un’altra forma d’arte di strada, povera e spontanea, non firmata, che accompagna ogni giorno i nostri passi: i pavimenti, asfaltati o lastricati, dove combinazioni di materiali diversi, iscrizioni e sagome disegnate, griglie e tombini raccolgono e propongono elementi figurativi apparentemente caotici, dai quali estrarre interessanti suggestioni, non solo di fantasia.

Alcune composizioni sono del tutto casuali, nessuna deriva da intenti artistici, bensì solo tecnici. La saldatura tra pavimentazioni diverse o i salti di quota che legano il verde a superfici calpestabili, offrono inquadrature di originali e inaspettate configurazioni. Così, estratte dal contesto, le parti si ricompongono in pannelli che trovano il loro equilibrio formale in modo apparentemente fortuito e modificato appena un passo più avanti. Alla base della loro suggestione, che non dimentica il paradosso della Pop art, si pongono la disponibilità a cercare e l’attenzione a raccogliere l’immagine per congelarla in una composizione conclusa e misurata da forme, colori e grafia. Mark Boyle (1934–2005), pittore scozzese, attento a riprodurre con maniacale precisione ciò che cattura dalle pavimentazioni stradali, ha lasciato tele, apparentemente del tutto casuali, che ritraggono frammenti anonimi in nature morte di pietra e bitume.

Alla ricerca di una composizione sostenuta dal desiderio di scoprire modelli non progettati, e soprattutto non controllati da un disegno prestabilito, si incontrano oggetti e scritture che, invece, hanno un ruolo preciso nell’uso della superficie stradale. Gli itinerari dove andare a correre nei parchi o le piste ciclabili sono fondali ricchi di grafica che, a seconda dei luoghi e dei periodi in cui sono stati realizzati, esprimono stili e motivi di richiamo originali. Una riflessione diversa riguarda griglie e tombini che derivano da una progettazione tecnica più elaborata, che ha comportato la predisposizione di uno stampo di fusione. Alcuni marchi sono ricorrenti, rintracciabili ovunque, perché prodotti da fonderie famose, come quelli di fabbricazione francese di Pont-à-Mousson e, proprio per questo, esportati in tutto il mondo. Molti sono invece regionali e narrano, attraverso episodi, anche curiosi, le tradizioni del posto. Alcuni Paesi, soprattutto quelli scandinavi, propongono immagini e storie diverse per ogni cittadina, richiamando i monumenti o le consuetudini lavorative del posto.

È un tipo di ricerca, questa dell’immagine casuale, spesso composta da più parti che fanno riferimento a tessiture e disegni diversi, che può essere sviluppata soprattutto attraverso lo scatto fotografico, oggi sempre più a portata di mano perché facilitato dall’uso del cellulare. L’attenzione verso il dettaglio è per il viaggiatore una memoria delle abitudini del luogo. Cogliere il particolare, fotografarlo e, volendo dedicarsi con passione a prolungarne la curiosità, anche dipingerlo per studiare, oltre la forma e il volume appiattito, anche la consistenza e la materia. È un invito a curiosare, guardando per terra alla ricerca di oggetti preziosi, non smarriti e ritrovati, ma lasciati al godimento di tutti, senza la necessità di proteggerli perché privi di un reale valore intrinseco. La loro ricchezza risiede infatti nella trasmissione di un’informazione grafica che l’autore, spesso ignoto, ha elaborato all’interno di un ufficio tecnico, dedicandosi a costruire un’immagine che, negli anni, avrebbe accompagnato i passi di chi percorre le strade della città. La fotografia, ed eventualmente il dipinto, attento a cogliere tutti i dettagli e trasferirli con cura precisionista, se non addirittura iperrealista, sono una sorta di omaggio nei confronti di un artista sconosciuto, nobilitato attraverso il trasferimento della sua opera da un pavimento calpestabile a una parete espositiva.

Una volta esercitato lo sguardo a raccogliere in terra queste preziose testimonianze e diventando esigenti collezionisti, ci si accorge che alcuni Paesi dedicano particolare cura a questo decoro. Si scopre allora che il Giappone può essere considerato uno dei paradisi dei tombini. Qui la fantasia compositiva e la raffinatezza dei temi si legano a una cura del dettaglio che sorprende. Ordine e pulizia, sempre garantiti sui pavimenti stradali, accompagnano soprattutto delicati temi floreali impressi a rilievo sui piani di ghisa. Altro paradiso è la Norvegia dove il tombino è soprattutto dedicato alla rappresentazione figurativa dei paesaggi e degli agglomerati urbani come le case storiche di legno dei pescatori di Bergen.

A ben cercare, una volta che si sono sviluppate curiosità ed esperienza, si scoprono anche tombini “firmati”. Il più noto è sicuramente quello indiano di Chandigarh che riproduce sul tondo del coperchio il piano urbanistico di Le Corbusier per la città.

Altrettanto singolare e significativo è il tombino di Vienna che, posto a Michaelerplatz di fronte a un’opera di Adolf Loos terminata nel 1911, si dispone a parodiarne l’essenzialità decorativa della facciata, buona per diventare una griglia per lo scolo delle acque, in netto contrasto con l’imperante stile floreale a cavallo dei due secoli.

In alcune città si possono incontrare in terra i loro emblemi: Praga, Istanbul, Madrid, Palmanova, ma soprattutto Berlino che, dopo la riunificazione del 1989, ha commissionato un tombino celebrativo che propone nel piatto centrale una carrellata dei più rappresentativi monumenti della città, compresi quelli realizzati nella parte ovest a partire dagli anni Sessanta. Il suo successo è legato alla scelta di offrire, su una base comune e presente ovunque nella città, un girotondo di opere che precedentemente erano separate dal muro e inevitabilmente si trovavano in zone periferiche. A Roma il tombino emblema è costituito dal coperchio, tondo o quadrato, con la scritta “SPQR”; tuttavia se ne incontrano anche altri, fatti di lastre di pietra nobili, come quello sulla Scalinata di Trinità dei Monti, che, con una stella a rilievo, richiama un’espressione artistica riconducibile quasi a Michelangelo e al Rinascimento.

Raccogliendo l’invito di Mark Boyle e di altri pittori e fotografi che cercano sul terreno spunti e suggestioni, è possibile costruire, andando in giro per la città, un itinerario artistico, assolutamente personale e privato, corrispondente alla propria indole, sempre che questa abbia il gusto di servirsi di objets trouvés.

di Mario Panizza